Guantanamo, ricorso alla Corte dei detenuti
«I diritti civili». Il Dipartimento Usa: «Li trattiamo così perché non sono in terra Usa». Emendamento Miranda addio? FRANCO PANTARELLI NEW YORK Quella in corso rischia di essere ricordata come la settimana cruciale in cui le destra americana riuscì ad avere ragione di quello che per decenni è stato il vanto dei giuristi di qui e l'oggetto del culto di tutti gli ammiratori degli Stati Uniti: la salvaguardia dei diritti dei cittadini di fronte alla legge e chi l'amministra. Lunedì è stata presentata alla Corte d'Appello di Washington l'istanza di 16 detenuti nella base di Guantanamo, due inglesi, due australiani e dodici kuwaitiani, perché venga loro riconosciuto «il più elementare dei diritti», come dice uno dei loro avvocati: quello di conoscere la ragione della loro detenzione, di parlare con i loro avvocati e di vedere i loro parenti. E oggi, di fronte alla Corte Suprema, cioè il massimo organismo giudiziario, verrà discusso un caso che potrebbe portare addirittura all'annullamento del famoso «emendamento Miranda», quello celebrato in tanti film in cui il poliziotto, al momento di arrestare uno, gli ricorda che ha «il diritto di tacere», perché «ogni cosa che dirà potrà essere usata contro di lui», che ha diritto alla presenza di un avvocato e che se non ce l'ha ha il diritto che ne venga nominato uno d'ufficio. Dei detenuti di Guantanamo si è parlato molto e sull'amministrazione Bush sono piovute condanne dell'Onu, dei più fidati fra gli amici degli Stati Uniti, compresa la Gran Bretagna, per non parlare di tutte le organizzazioni in difesa dei diritti umani. Ma ora quella loro situazione di «detenuti anomali» si trova ad essere discussa non più in termini di «emergenza» ma in termini di legge, e il terreno su cui la disputa si svolge è talmente balordo che un verdetto della Corte d'Appello a favore dell'operato del governo costituirebbe una sorta di trionfo dell'abuso. Il concetto sostenuto da Paul Clement, il rappresentante del Dipartimento della Giustizia, è stato infatti che se i detenuti in questione si trovassero sul territorio degli Stati Uniti i loro diritti verebbero certamente rispettati, per carità. Ma siccome si trovano a Guantanamo, che tecnicamente è solo una striscia di terra che gli Stati Uniti hanno «in affitto», la legge americana non vale. Clement ha spiegato che la necessità di tenere quei detenuti nell'attuale condizione sta nel fatto che ogni volta che i servizi segreti ottengono qualche nuova informazione ci si possa rivolgere a loro per verificarne l'affidabilità, ma se quelli ottengono il diritto di parlare con gli avvocati o di vedere i parenti viene a mancare ogni «efficacia». In conclusione, ha detto Clement ai tre giudici della Corte d'Appello, «tenerli prigionieri ha un senso solo se li si tiene in questo modo». E allora ben venga il cavillo che Guantanamo, formalmente, è «territorio cubano», una cosa che gli Stati Uniti si sono rifiutati di ammettere per 50 anni. Insomma «si direbbe che Guantanamo è unica - argomentano gli avvocati Joe Margulis, difensore dei due inglesi e dei due australiani, e Thomas Wilner, che rappresenta i dodici kuwaitiani - l'unico posto al mondo in cui il governo può fare ciò che vuole, senza controllo». Ma non pare che la Corte d'Appello condividerà la sua stupita indignazione. Uno dei tre giudici, Raymond Randolph, è stato nominato da Bush padre; un altro, Stephen William, è stato nominato da Reagan e il terzo, Merrick Garland, è stato nominato da Clinton. Quello da cui scaturisce il rischio per l'emendamento Miranda non è un caso di terrorismo, ma è evidente che l'amministrazione Bush è pronta ad approfittare di un risultato «buono» per poter fare anche in casa ciò che per ora ritiene di poter fare solo in «territorio cubano». E infatti, il ricorrente ufficiale alla Corte Suprema è la città di Oxnard, 60 miglia da Los Angeles, ma la Casa Bianca ha dato il proprio appoggio. Il problema è che un poliziotto di quella città, il sergente Ben Chavez, non solo non ha usato la classica formula «garantista» verso Oliviero Martinez, un uomo da lui arrestato (e poi non accusato di nulla) 5 anni fa, ma ha continuato a interrogarlo malgrado questi avesse in corpo cinque colpi sparati da un collega di Chavez. «Sto morendo, che volete da me», si sente in una registrazione dell'interrogatorio. Martinez ora è cieco e con le gambe paralizzate e il processo che ha portato alla Corte Suprema riguarda il ricorso alla sua richiesta di risarcimento. Gli argomenti contro l'emendamento Miranda sono due: uno, che deve valere nei processi penali, non civili, com'è questo il caso; due, che la legge viene violata solo se il modo di interrogare è «tanto eccessivo da scuotere la coscienza della comunità» - cinque pallottole non scuotono abbastanza? L'emendamento Miranda si chiama così perché la sentenza della Corte Suprema del 1966 che lo ha stabilito riguardava un accusato di violenza carnale che si chiamava Ernesto Miranda. «Un'intera generazione di americani è cresciuta con la fiducia in quella garanzia», dice l'Aclu, l'associazione per la difesa delle libertà civili. «Se la teoria dei ricorrenti dovesse passare, quella fiducia ne risulterebbe distrutta». Tratto da Il Manifesto Per annullare l'iscrizione a questo gruppo, manda una mail all'indirizzo: [EMAIL PROTECTED] Amnesty International gruppo 10 Pisa Via Lungarno Fibonacci 1 e-mail [EMAIL PROTECTED] sito web http://www.pisa.amnesty.it L'utilizzo, da parte tua, di Yahoo! Gruppi è soggetto alle http://it.docs.yahoo.com/info/utos.html