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Rom e pogrom


1) Pogrom in Kosmet
– Sono nata in Kosovo e sono rom...


2) Pogrom a Roma
– “I media smettano di parlare di clan o faide tra rom”. Parla lo zio delle 
bambine uccise (di Graziano Halilovic)
– L’orrenda strage di Centocelle: finalmente la sinistra si mobilita (di 
Annamaria Rivera)
– Cambiare subito le politiche rivolte a Rom, Sinti e Caminanti. Appello per 
commissione d’inchiesta
– Rogo di Centocelle. La pista rom si arena sull’alibi. Le altre dove sono?


3) Torino. A un passo dal pogrom




=== 1: Pogrom in Kosmet ===


da FuoriBinario (Firenze) n.190, Maggio 2017, p.15
PDF: 
http://www.fuoribinario.org/blog/wp-content/uploads/2017/06/FB190maggio2017_small.pdf
 
<http://www.fuoribinario.org/blog/wp-content/uploads/2017/06/FB190maggio2017_small.pdf>


Sono nata in Kosovo e sono rom...


Sono nata in Kosovo e sono rom, ho frequentato la scuola per alcuni anni, poi 
ho conosciuto un giovane e mi sono sposata, avevo 15 anni. Sono nata in una 
famiglia cristiano-ortodossa, poi mi sono avvicinata alla religione musulmana 
che è la religione di mio marito. Tito, il presidente jugoslavo, è morto nel 
1980, quando c'era Tito la vita per i rom in Jugoslavia era buona, c'erano 
giornali, radio e televisioni in lingua rom, si trovava lavoro, avevamo le case 
e frequentavamo le scuole. Dal 1982 la situazione generale è iniziata a 
peggiorare, io lavoravo all'ospedale, facevo le pulizie, aiutavo in cucina, ma 
mio marito aveva difficoltà a trovare lavoro, così ha deciso di partire per 
l'Italia per cercare lavoro ed è arrivato a Firenze, era il 1988, ogni tre o 
quattro mesi mio marito tornava a trovarci, abbiamo avuto quattro figli, un 
ragazzo e tre ragazze, io vivevo con i miei figli e con la madre ed un fratello 
di mio marito. Era un grande sacrificio stare per lungo tempo senza mio marito, 
ma i soldi che guadagnava in Italia servivano per la nostra famiglia in Kosovo, 
io continuavo a lavorare all'ospedale e in questi anni siamo riusciti a 
costruire una nuova grande casa ed è venuto a stare con noi anche un altro 
fratello di mio marito con la sua famiglia.
A marzo del 1999, una sera hanno fatto un appello al telegiornale delle 20: 
"Preparate un po' di bagagli, qualcosa per mangiare e cercate di nascondervi, 
se avete la possibilità di usare una cantina o salite in montagna." Noi siamo 
andati tutti da un nostro parente che aveva una grande cantina ed eravamo circa 
70 persone. Sono iniziati i terribili bombardamenti (24 marzo 1999), quando 
suonava l'allarme noi si correva in questa cantina sotto la casa, i bambini 
piangevano a sentire questi grandi scoppi. Eravamo spesso senza luce e con il 
passare dei giorni era sempre più difficile trovare da mangiare. Poi gli 
albanesi dell'UCK sono venuti a casa col viso coperto e con le armi, hanno 
portato via tutto quello che poteva avere un valore e poi ci hanno costretto a 
scappare minacciando che avrebbero ucciso i bambini. Siamo riusciti a trovare 
dei posti su un autobus e ci siamo rifugiati in una cittadina serba, abbiamo 
trovato una casa in affitto. Ma dopo poco dovevo tornare a lavorare in ospedale 
così sono ritornata con i miei figli nella nostra casa a Pristina in Kosovo. Il 
10 giugno del 1999, dopo 78 giorni, i bombardamenti si sono fermati e si 
pensava finalmente di avere un po' di pace, invece sono venuti di nuovo quelli 
dell'UCK, erano persone che conoscevamo bene, abitavano vicino a noi, prima si 
può dire che eravamo come amici, sono arrivati armati, hanno picchiato mia 
suocera, anche io sono stata ferita, volevano uccidere mio figlio ed hanno 
anche dato fuoco alla nostra casa così siamo stati costretti a scappare di 
nuovo, in quei giorni tante famiglie rom, serbe, ecc sono dovute scappare ed 
hanno perso le loro case.
Siamo scappati a Belgrado, abbiamo vissuto in una palestra, eravamo tante 
famiglie rom. Volevamo raggiungere l'Italia, ma ci volevano molti soldi, verso 
metà agosto si pensava di prendere un traghetto, ma proprio in quei giorni un 
traghetto carico di rom del Kosovo affondò vicino alle coste del Montenegro e 
morirono 115 persone, si salvò solo un giovane. Così noi si decise di 
aspettare ancora e cercare di trovare i soldi (migliaia di euro) per poter 
arrivare in Italia via terra. Finalmente nel mese di ottobre del 2001 siamo 
riusciti ad arrivare a Firenze.




(testimonianza raccolta da Paola Cecchi)




=== 2: Pogrom a Roma ===


Sulla strage di Centocelle si vedano anche:


Roma. Centocelle reagisce al rogo omicida (di Redazione Contropiano, 11 maggio 
2017)
Ieri pomeriggio decine di persone si sono recate al parcheggio del centro 
commerciale Primavera dove è stato bruciato il camper e sono state uccise una 
ragazza e due bambine di una famiglia rom. Poco dopo un corteo si è composto su 
viale della Primavera aperto dallo striscione "Centocelle antirazzista". Per 
sabato prossimo alle 16.00 è stato convocato un corteo nel quartiere.
FOTO: 
http://contropiano.org/regionali/lazio/2017/05/11/roma-centocelle-reagisce-al-rogo-omicida-091743
 
<http://contropiano.org/regionali/lazio/2017/05/11/roma-centocelle-reagisce-al-rogo-omicida-091743>
VIDEO: https://www.facebook.com/riadh.zaghdane/videos/10208675038903578/ 
<https://www.facebook.com/riadh.zaghdane/videos/10208675038903578/>


Rogo di Centocelle. Tragedie Rom e dell’informazione (di Alberto Tarozzi, 3 
giugno 2017)
... a Torino, sette anni fa, i rom musulmani chiedono l’apartheid nei pulmini 
che portano i bambini a scuola, per non mescolarsi ai rom ortodossi. In 
effetti, su quel pulmino, erano risse quotidiane. Poi a Roma, quel che nessuno 
ricorda, nel 2013, a Castel Romano, rom serbi di una piccola comunità che 
scappano per sfuggire alle aggressioni continue dei rom bosniaco musulmani, che 
sono la grande maggioranza...
http://contropiano.org/altro/2017/06/03/rogo-centocelle-tragedie-rom-dellinformazione-092552
 
<http://contropiano.org/altro/2017/06/03/rogo-centocelle-tragedie-rom-dellinformazione-092552>


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http://contropiano.org/regionali/lazio/2017/05/12/roma-media-smettano-parlare-clan-faide-rom-parla-lo-zio-delle-bambine-uccise-091794
 
<http://contropiano.org/regionali/lazio/2017/05/12/roma-media-smettano-parlare-clan-faide-rom-parla-lo-zio-delle-bambine-uccise-091794>


Roma. “I media smettano di parlare di clan o faide tra rom”. Parla lo zio delle 
bambine uccise


di Redazione Roma <http://contropiano.org/author/redazione-contropiano>, 12 
maggio 2017


Graziano Halilovic, lo zio delle bambine rom bruciate vive nel rogo del camper 
in cui dormivano a Centocelle, ha diffuso pubblicamente un comunicato che 
riproduciamo qui di seguito integralmente e consigliamo di leggere con grande 
attenzione:




Sono Graziano Halilovic, cugino di Romano Halilovic e zio di Francesca, 
Angelica ed Elisabeth,
Qualcuno, un mostro, ha bruciato vive tre bambine nel sonno, con una bottiglia 
incendiaria che ha trasformato in un rogo il camper di Romano, l’altra notte, a 
Centocelle, in un parcheggio pubblico, dove stazionavano senza disturbare 
nessuno.
Non sappiamo chi sia stato potrebbe essere stato chiunque: un rom, un gagiò, un 
giornalista per fare notizia, un razzista per odio, un italiano o uno 
straniero….
Un mostro, di certo, che ha commesso un crimine orribile, imperdonabile e 
disumano, che ha visto dei genitori assistere inermi alla morte dei figli 
bruciati dal fuoco.
Il punto è che non sappiamo chi sia stato e non possiamo usare la fragilità e 
il dolore del momento per individuare un colpevole prima che le indagini 
facciano il loro corso.
Confido che le forze dell’ordine svolgano le indagini senza farsi influenzare 
da pregiudizi razziali e riescano a dare un nome e un volto al colpevole.
Ma fino ad allora chiedo agli attivisti rom e non rom, alla società civile, a 
tutte le organizzazioni e ong dei diritti umani, ai politici italiani ed 
europei di intervenire sui media affinché nel rispetto del dolore della 
famiglia e nel rispetto delle vittime e della comunità rom, vengano diffidati 
ad utilizzare termini diffamatori, parlando di “clan” e di “faide tra rom”, 
associando così la comunità rom ancora una volta a termini che richiamano la 
criminalità organizzata, finché le indagini di chi ne ha la competenza non 
porteranno alla luce la verità.
Non sappiamo al momento se il colpevole sia un rom, un italiano, uno straniero, 
un giornalista o di quale ideologia politica sia. Fare delle illazioni a 
riguardo, cercando di coinvolgere un’intera comunità, è un gioco inutile e 
irrispettoso nei confronti dei rom che colpisce la famiglia delle vittime due 
volte: prima nella irrimediabile perdita e poi nella continua discriminazione.
Voglio ringraziare Papa Francesco, il Presidente della Repubblica Mattarella, 
il Pontificio Romano e il Vescovo Don Paolo LoJudice, la Comunità di 
Sant’Egidio, i cittadini di Centocelle e tutti coloro, politici e cittadini 
italiani, che hanno espresso solidarietà alla famiglia di Romano in questo 
momento di insuperabile dolore.
Questo è il momento della preghiera e del silenzio, e non della 
strumentalizzazione per fini diversi di quanto è accaduto: dobbiamo stare 
vicini a Romano, a Mela e ai loro figli superstiti, e rispettare il loro lutto.
Grazie


Graziano Halilovic




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http://temi.repubblica.it/micromega-online/l’orrenda-strage-di-centocelle-finalmente-la-sinistra-si-mobilita/
 
<http://temi.repubblica.it/micromega-online/l%E2%80%99orrenda-strage-di-centocelle-finalmente-la-sinistra-si-mobilita/>


L’orrenda strage di Centocelle: finalmente la sinistra si mobilita


di Annamaria Rivera*


Chiunque sia l’assassino che nella notte fra il 9 e il 10 maggio scorsi ha 
ridotto in cenere i poveri corpi di Francesca, Angelica ed Elisabeth, è 
indubbio che quest’atto atroce sia stato favorito dalla marginalità, dalla 
stigmatizzazione, dalla condizione di povertà estrema inflitte a una parte 
della diaspora rom: tali da costringere una famiglia di tredici persone a 
stiparsi in un camper parcheggiato in un’area della borgata romana di 
Centocelle.


Non potrebbe essere più surreale il contrasto fra una tale condizione 
miserabile e il luogo in cui si è consumato il rogo delittuoso: il parcheggio 
di un grande centro commerciale, freddo e anonimo anche nella struttura, 
concepita come una sorta di tempio del consumismo. Eppure, allorché, dopo un 
lungo percorso, vi è approdato il folto corteo del 13 maggio scorso – che 
rivendicava verità e giustizia per le tre sventurate sorelle di quattro, otto e 
venti anni –  gli slogan e gli interventi al microfono si sono spenti d’un 
tratto, soverchiati da una commozione corale intensa e palpabile.


In realtà, l’intero corteo si è caratterizzato non solo per radicalità e 
chiarezza politiche, ma anche per empatia e autentica indignazione. A 
conferirgli questo tono ha contribuito la presenza di una molteplicità di 
soggetti: dalle femministe di “Non una di meno” alla locale sezione dell’Anpi, 
dai partiti della sinistra ai centri sociali, dai rappresentanti di alcune 
associazioni rom al movimento per il diritto all’abitare, fino agli insegnanti 
e ai genitori dell’Istituto di via  Ferraironi, che comprende scuole primarie 
decisamente all’avanguardia quali la “Iqbal Masiq” e la “Romolo Balzani”. Il 
giorno prima ben settecento bambini, accompagnati dalle/dagli insegnanti, 
avevano raggiunto il luogo della strage a recare fiori e disegni.


Nonostante il processo di gentrificazione, Centocelle conserva tracce di 
memoria e retaggi concreti della sua storia di borgata “rossa”: ricordo che, 
insieme al Quarticciolo e al Quadraro, la borgata fu focolaio decisivo della 
Resistenza romana – cosa pagata con deportazioni e fucilazioni– e, più tardi, 
fu anche nodo importante dei movimenti degli anni ’70. Di una tale storia è 
erede la rete di presidî democratici e antirazzisti presente nel quartiere. E’ 
anzitutto questa – mi sembra – ad aver permesso la riuscita del corteo e ad 
aver sventato il rischio che prevalesse, anche in un caso così tragico, l’ormai 
consueto sussulto di razzismo popolare: in realtà, spesso aizzato e organizzato 
da qualche Casa Pound o Forza Nuova, nondimeno fatto passare per “guerra tra 
poveri”.


D’altra parte, nel corso degli anni recenti, la sinistra, anche quella detta 
alternativa, non si era certo contraddistinta per attivismo in favore dei 
diritti dei rom, se non in qualche occasione e soprattutto per merito 
dell’associazionismo antirazzista. Né valse a mobilitarla la morte atroce di 
quattro bambini nel 2011: anch’essi morti carbonizzati da un incendio, quella 
volta scoppiato nel campo-rom di Tor Fiscale, sull’Appia Nuova. 


Per dire di quali pregiudizi alberghino anche nelle nostre file, basta un 
piccolo esempio: tre giorni dopo l’orrendo attentato di Centocelle, su una 
testata online d’estrema sinistra qualcuno – evitando il più piccolo cenno alla 
strage – scriveva dei rom come di “un’etnia i cui usi e costumi non consentono 
l’integrazione nel tessuto civile”.


A mia memoria, la mobilitazione di sinistra più ampia ed efficace risale al 
2008. Allorché il ministro dell’interno Maroni predispose la schedatura di 
massa dei rom, con prelievo forzoso delle impronte digitali anche ai bambini: 
un provvedimento simile alle schedature razziste dei regimi nazifascisti, 
finalizzate a costruire archivi per l’individuazione, segregazione, 
concentramento, deportazione delle minoranze. Fu per merito di tale 
mobilitazione, oltre che per le condanne anche da parte d’istituzioni 
internazionali, che Maroni e il sindaco Alemanno furono costretti a fare 
qualche passo indietro.


Al di là di questa piccola vittoria, nulla è cambiato, a Roma e altrove, nella 
condizione dei rom in emergenza abitativa. Ricordo che, se in Italia la 
popolazione di rom e sinti conta al massimo 180mila persone – delle quali 
almeno 70mila sono di cittadinanza italiana – appena 28mila sono quelle che 
vivono in baraccopoli istituzionali o in insediamenti informali: cifra che 
corrisponde a uno scarso 0,05% della popolazione italiana.


Sebbene così esiguo sia il numero dei casi che occorrerebbe risolvere con 
politiche abitative adeguate, si perpetuano la logica del famigerato Piano 
nomadi, la politica degli sgomberi forzati – talvolta violenti – dei campi 
“abusivi”, l’esclusione dall’edilizia residenziale pubblica, la repressione di 
attività informali, uniche possibili fonti di reddito. In realtà, i campi 
rappresentano il dispositivo con cui si compie, in modo estremo ed esemplare, 
il processo di allontanamento spaziale e simbolico dalla società e dalla 
civitas di persone reputate ed etichettate come altre, dunque indesiderabili 
per eccellenza.


Per non dire che tuttora insoddisfatte restano le rivendicazioni contenute in 
una proposta di legge 
<http://www.giovannamartelli.it/rom-e-sinti-una-legge-per-lintegrazione/>, a 
sua volta modellata su una d’iniziativa popolare: il riconoscimento quale 
minoranza storico-linguistica, in rispetto degli articoli 3 e 6 della 
Costituzione; l’incentivo e la tutela delle associazioni costituite da rom e 
sinti; il diritto di vivere dignitosamente e secondo il modo liberamente 
scelto, che sia la sedentarietà o l’itineranza.


Su un numero così esiguo di persone si addensa il massimo non solo di 
stigmatizzazione, ma anche di valenza simbolica. Quest’ultima vale anche in un 
altro senso: la legge del 18 aprile 2017, n. 48, in materia di sicurezza 
urbana, con cui s’intende sorvegliare, criminalizzare e punire la marginalità, 
la povertà, ma anche la non-conformità sociale, colpirà, sì, in primo luogo i 
rom, ma pure chiunque si sottragga alla “norma” sociale. Non foss’altro che per 
questo, tutti/e noi dovremmo sentircene coinvolti/e.




Versione ampliata dell’articolo pubblicato dal manifesto il 17 maggio 2017


(18 maggio 2017)


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http://www.rifondazione.it/primapagina/?p=29132 
<http://www.rifondazione.it/primapagina/?p=29132>


Cambiare subito le politiche rivolte a Rom, Sinti e Caminanti. Appello per 
commissione d’inchiesta
Pubblicato il 19 mag 2017


Gentile Presidente della Camera dei deputati dott. Laura Boldrini,
alla luce dell’ennesima, orribile tragedia di cui sono rimaste vittime tre 
ragazze rom nella Capitale, i cui contorni si fanno purtroppo sempre più 
nebulosi, ci rivolgiamo a lei per chiedere alle istituzioni un drastico e 
fattivo cambiamento nelle politiche rivolte alla minoranza rom, sinti e 
caminanti.
 Gli esiti delle azioni intraprese, in primis a Roma, negli ultimi trent’anni 
con la creazione dei campi nomadi e le trame sorte intorno ad essi sono 
drammaticamente esemplificati non soltanto dalle verità emerse con la 
“Operazione Mondo di Mezzo” ma, a nostro avviso, anche dalla strage appena 
avvenuta.
 Il 25 luglio dello scorso anno l’on. Giovanna Martelli ha presentato in 
qualità di prima firmataria la proposta di istituzione di una commissione 
d’inchiesta parlamentare sull’allestimento, la gestione e la manutenzione dei 
campi nomadi nel territorio di Roma Capitale.
 Il testo, che riprende la denuncia sporta da Marco Pannella nei confronti del 
Comune per discriminazione razziale verso i Rom e i Sinti, sottolinea la 
necessità della massima attenzione da parte del Parlamento sul legame tra 
criminalità organizzata e violazioni dei diritti umani fondamentali. 
All’origine della inchiesta della Procura che ha messo in risalto questo 
preoccupante legame, un “sistema-campi” che a tutt’oggi è ancora in piedi, con 
l’odioso carico di segregazione e speculazione che porta con sé.

Ora, non si può trascurare il fatto che la corruzione connessa all’esclusione 
sociale, col tempo, non può che sollecitare le peggiori pulsioni: un rischio 
che non si scongiurerà né col populismo né con la demagogia, che possono 
unicamente, semmai, affrettarne l’esplosione. Riteniamo inoltre che lo scandalo 
noto come “Mafia Capitale” sia, purtroppo, un pezzo di storia del nostro paese 
di cui non è sufficiente vergognarsi, che non può essere cancellato con la 
retorica o con la speranza in un cambiamento possibile.
 Al contrario, abbiamo l’obbligo di far emergere la verità su questo pezzo di 
storia, calendarizzando la proposta d’inchiesta parlamentare affinché le 
istituzioni stesse siano investite di questo compito.
 Un passo che, a nostro avviso, il Parlamento deve non solo ai cittadini rom né 
unicamente ai romani, ma a tutti gli italiani che hanno il diritto di conoscere 
tanto le responsabilità quanto i meccanismi che hanno reso possibile “Mafia 
Capitale”. Senza questo passo, è inutile parlare di superamento dei campi, che 
resteranno dove sono fino a quando le istituzioni non vorranno assumersi le 
proprie responsabilità.
 Per questo ci rivolgiamo a lei e le chiediamo di calendarizzare la proposta 
dell’on. Martelli, confidando nella sua sensibilità e volontà di opporsi al 
razzismo, alla speculazione e alla corruzione. Se la Camera si esprimerà sulla 
necessità di un’inchiesta romperà un silenzio assordante anzitutto su un fatto 
inaccettabile: i contribuenti hanno pagato per mantenere un sistema di 
segregazione razziale, rendendosi complici di una serie di reati.

 E su questo le istituzioni devono, pena una irrimediabile perdita di 
credibilità, indagare e cercare di fornire risposte.

Maurizio Acerbo, segretario nazionale di Rifondazione Comunista
Samir Alija, attivista e mediatore culturale
Carmine Amoroso, regista e scrittore
Laura Arconti, presidente di Amnistia Giustizia e Libertà
Nedzat Beganaj, membro di Alleanza Romani e Nazione Rom
Federica Benguardato, tesoriera di Amnistia Giustizia e Libertà
Marco Brazzoduro, presidente di Cittadinanza e Minoranze
Gianni Carbotti, co-autore di “Dragan aveva ragione”
Francesca Danese, ex assessora alle politiche sociali di Roma Capitale
Vincenzo Di Nanna, segretario di Amnistia Giustizia e Libertà
Saska Jovanovic Fetahi, coordinatrice Romni Onlus, presidente RoWNI
Camillo Maffia, co-autore di “Dragan aveva ragione”
Moni Ovadia, attore e scrittore
Dijana Pavlovic, attrice e attivista
Giuseppe Rippa, direttore di Agenzia Radicale e Quaderni Radicali
Marcello Zuinisi, legale rappresentante dell’Associazione Nazione Rom


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http://contropiano.org/altro/2017/06/14/rogo-centocelle-la-pista-rom-si-arena-sullalibi-le-092894
 
<http://contropiano.org/altro/2017/06/14/rogo-centocelle-la-pista-rom-si-arena-sullalibi-le-092894>


Rogo di Centocelle. La pista rom si arena sull’alibi. Le altre dove sono?


di F.R., 14 giugno 2017


Seif Seferovic è il giovane rom accusato del rogo del camper di Centocelle in 
cui morirono bruciate vive tre sorelle, di cui due bambine. Quasi subito si 
parlò di lui come l’autore dell’orribile omicidio. Lo stesso Seferovic lo 
apprese leggendo il giornale, ragione per cui si affrettò a chiedere 
informazioni in Procura tramite il suo avvocato Gianluca Nicolini rendendosi 
disponibile ad essere interrogato. Dalla sua aveva un alibi a prova di bomba: 
la notte del rogo di Centocelle stava dormendo in un autogrill lungo 
l’autostrada Roma-Civitavecchia ed era stato identificato proprio dalla polizia 
che poi lo aveva pure fermato.


Per precauzione si era allontanato dal campo rom di Salviati dove viveva, (zona 
Tor Sapienza, periferia Est di Roma). L’idea molto probabilmente era quella di 
rifugiarsi all’estero. Poi però si fece trovare a Torino, dove aveva dato 
appuntamento alla sua compagna che però era stata pedinata dalla polizia, la 
quale ha arrestato Seferovic con l’accusa del rogo omicida di Centocelle.
Gli investigatori della Capitale restano convinti che sia stato Seferovic a 
lanciare la molotov omicida la notte del 10 maggio.


Seferovic però si professa innocente e deve rispondere di omicidio plurimo, 
tentato omicidio (nel camper quella notte c’erano tutti e 13 i componenti della 
famiglia Halilovic), detenzione, porto e utilizzo d’arma da guerra e incendio 
doloso. Il 6 giugno c’è stato il primo accertamento tecnico irripetibile sulle 
impronte lasciate sui frammenti della bottiglia.  Seferovic è stato scarcerato 
e non ha dovuto partecipare di persona all’accertamento. Al momento è rimasto a 
Torino e, secondo il suo legale, è perfettamente reperibile.


Il provvedimento con cui il Gip di Torino ha convalidato il fermo di Seferovic 
ma non ha disposto alcuna misura cautelare potrebbe essere impugnato dalla 
Procura di Roma. I magistrati romani stanno infatti valutando l’ordinanza 
emessa dalla Procura torinese e non è escluso che possano impugnare il 
provvedimento davanti al Tribunale del riesame. Ma a otto giorni 
dall’accertamento tecnico ancora non se ne sa nulla.


Forse è venuto il momento di riporre la stessa domanda che ponemmo il giorno 
stesso del rogo omicida di Centocelle.


a) Gli investigatori sulla base delle dichiarazioni del padre delle bambine 
uccise indicarono subito la pista della “faida tra rom”, anzi la indicarono 
come l’unica pista investigativa. Alla luce di quanto emerso successivamente – 
incluso l’alibi di ferro di Seferovic rappresentato dai funzionari di polizia 
che lo hanno identificato e fermato in un luogo distante dal rogo di Centocelle 
– questa pista può essere ancora considerata l’unica da percorrere oppure si 
può cominciare a guardare alle indagini con una visione più ampia e non a senso 
unico?




=== 3 ===


http://contropiano.org/altro/2017/06/09/torino-un-passo-dal-pogrom-092724 
<http://contropiano.org/altro/2017/06/09/torino-un-passo-dal-pogrom-092724>


Torino. A un passo dal pogrom


di Patrizia Buffa, 9 giugno 2017


Porrajmos, il grande divoramento, lo sterminio degli zingari: una parola che 
non dovremmo mai dimenticare, ma che non abbiamo mai voluto ricordare.


Al grido di “vi uccidiamo”, “siete animali”, “vi cacceremo via”, due giorni fa, 
il 6 giugno, i comitati anti-rom hanno manifestato a ridosso del campo nomadi 
di Strada dell’Aeroporto a Torino. Improvvisamente e senza preavviso una 
colonna di persone, animate da isteria collettiva e odio razziale e munite di 
torce accese, è spuntata minacciosa dall’oscurità: rituali che, purtroppo, si 
ripetono sempre più frequentemente in una “ordinarietà” che li sta 
progressivamente svuotando della loro essenza criminosa. Nel cielo notturno le 
fiaccole erano puntate come dei riflettori. Poi sono state lanciate nel campo, 
provocando il panico generale.


“Nessuno aveva preavvisato le famiglie del campo a proposito della 
manifestazione – racconta Vesna Baxtali Vuletic, presidente di Idea Rom Onlus – 
con il risultato che alcune donne erano sole al campo con i bambini. Nessun 
veicolo delle forze dell’ordine era presente all’ingresso del campo nomadi per 
presidiare eventuali situazioni di emergenza.”


Alcune frange del corteo si sono poi staccate, dirigendosi verso le abitazioni 
più isolate e costringendo molte persone alla fuga in mezzo ai rovi e in 
direzione del fiume. I bambini sono fuggiti a piedi lungo la tangenziale, tra 
le macchine che sfrecciavano ad altissima velocità. Molti di loro si sono persi 
e sono stati poi ritrovati dopo alcune ore, pieni di graffi causati, durante la 
fuga, dagli arbusti.


C’è una sola parola che restituisce efficacemente quanto accaduto: pogrom, 
metastasi di un sistemache criminalizza rom, migranti, senza casa, poveri, 
disoccupati e che esercita il potere in modosadico, al punto da modificare 
anche la percezione che i più deboli hanno di sé e della realtà,riducendoli a 
un sentimento d’impotenza, di fragilità, di solitudine, la condizione dei 
“sottouomini”.


Il razzismo e la xenofobia possono dare impulso ad accessi di violenza 
collettiva, a vere e proprie “liturgie” di massa scandite sulla dialettica 
amico/nemico, a scenari sinistri di cui, purtroppo, la nostra storia è 
costellata. Gli psicologi delle masse spesso hanno spiegato l’adesione a 
rituali xenofobi collettivi, riconducendoli alla ricerca di un rifugio di 
fronte al senso di smarrimento. “Il cerimoniale permette a un gruppo di 
comportarsi in un modo simbolicamente ordinato così da dare l’impressione di 
rivelare un universo ordinato; ogni particella acquista la sua identità 
mediante la semplice interdipendenza con le altre” (Erik Erikson).


Eppure varrebbe la pena interrogarsi non solo sul “perché” le cose accadono ma 
anche sul “come”.


Quel “come” non è riconducibile solo agli aspetti irrazionali. Sono i 
dispositivi politici, le strutture giuridiche e le macchine amministrative che 
fanno apparire accettabile, “ordinario”, se nonaddirittura socialmente 
giustificabile, il volto della persecuzione. È quanto si sta verificando col 
nuovo decreto Minniti – Orlando che rappresenta la “normalizzazione” di una 
politica checriminalizza i deboli e gli antagonisti e rivela, senza grattare 
troppo il fondo del barile, un processo in atto di fascistizzazione della 
società.


Peraltro, l’inasprimento dei dispositivi repressivi da un lato aggrava le 
spinte xenofobe presenti nel nostro paese, dall’altro indebolisce ulteriormente 
la manodopera extracomunitaria, fiaccandola e rendendola sempre più flessibile, 
mentre il rafforzamento delle politiche securitarie si statraducendo in una 
guerra, sempre più violenta, dichiarata dall’alto a tutti i marginali, 
trasformatiin detenuti senza processo, senza ragioni, senza sentenze, senza 
condanne, rinchiusi in luoghi dieccezione e di sospensione del diritto. I 
continui episodi di vera e propria caccia all’uomo e dirastrellamenti ci 
riportano a scenari non diversi da quelli sudafricani che videro la 
discriminazionerazziale diventare norma e tradursi nelle “leggi 
dell’apartheid”: una società dunque declinata attraverso la logica del doppio 
binario, sempre più armata di razionalità scientifica nelle operazioni di 
contabilizzazione e di divisione degli esclusi dagli inclusi.


Nei prossimi mesi e nei prossimi anni le rigide politiche della UE si faranno 
sempre più antipopolari e di conseguenza aumenterà inevitabilmente la 
conflittualità sociale. Di qui la necessità da parte del governo di anticiparne 
l’esplosione, aumentando la stretta repressiva.


Combattere il decreto Minniti – Orlando è oggi un compito a cui non ci si può 
sottrarre.


9 giugno 2017




  • [JUGOINFO]... 'Coord. Naz. per la Jugoslavia' jugoco...@tiscali.it [jugoinfo]
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