I Balcani scacchiere della guerra della NATO contro la Russia


1) Gli avvoltoi atlantici tornano a volteggiare sui Balcani (di A. Fazolo)
Sul convegno "I Balcani occidentali ad un bivio" organizzato dalla NATO a Roma 
il 6-7/12 u.s.


2) I piani di Washington per i Balcani (di Luca Susic)
Sullo studio pubblicato dall' Atlantic Council (AC) intitolato “Balkans 
Forward. A new US strategy for the region”


3) La ricetta choc Usa: «I confini di Tito da ridisegnare» (di Mauro Manzin)
L’analista Schindler sul New York Observer, quotidiano del genero e consigliere 
di Trump, vuole cancellare Dayton




Sulle incessanti sollecitazioni eversive angloamericane verso i Balcani si veda 
anche, ad esempio:
British diplomat [Timothy Less] advocates reshaping of Balkan boundaries (Dic. 
2016)
https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8642




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http://www.lantidiplomatico.it/dettnews-gli_avvoltoi_atlantici_tornano_a_volteggiare_sui_balcani/82_22455/


Gli avvoltoi atlantici tornano a volteggiare sui Balcani


di Alberto Fazolo*, 12/12/2017




Dai primissimi anni '90 la Jugoslavia si trasformò in un laboratorio per le 
ingerenze occidentali, vi vennero sperimentate tutte le tecniche di 
destabilizzazione che poi abbiamo visto applicate nel resto del mondo per un 
quarto di secolo. Dapprima ci si adoperò per smembrare lo Stato fomentando 
l'odio etnico (da cui venne coniato il neologismo "balcanizzazione") poi si 
scatenarono sanguinose guerre fratricide. Dove la NATO non riuscì ad arrivare 
con le bombe, arrivò con la guerra non convenzionale, varando il modello di 
regime change chiamato "rivoluzioni colorate". Gli avvoltoi atlantici hanno 
divorato il cadavere della Jugoslavia causando danni immani.


I Balcani si trovano in una fase più avanzata rispetto ai paesi che 
successivamente subirono la stessa ingerenza, anche per questo è d'interesse 
studiare la loro storia e scrutarne il futuro prossimo. A Roma il 6 e 7 
dicembre 2017 si è tenuta una conferenza pubblica organizzata dal NATO Defence 
College dal titolo "I Balcani occidentali ad un bivio". Questa è stata 
l'occasione per capire quali siano le intenzioni della NATO e cosa potrebbe 
succedere a breve.


Il dramma dei Balcani sono le tensioni etniche, tuttavia ci sono anche dei 
problemi consolidati relativi alla criminalità che in particolare si dedica a 
traffici di droga, sigarette, armi, esseri umani, ecc. In questa fase la NATO 
individua ulteriori e più pericolose minacce (almeno dal suo punto di vista), 
rappresentate dall'azione di tre entità: Russia, Cina e paesi arabi.


La NATO si lamenta dell'efficace penetrazione russa tra le popolazioni d'etnia 
Serba, questa azione si attuerebbe prevalentemente attraverso la cooperazione e 
l'informazione. In questo quadro, la NATO è molto allarmata dal fatto che la 
Serbia abbia deciso di comprare degli aerei da combattimento e dei carri armati 
di produzione russa. Il timore della NATO è che la penetrazione russa si 
rafforzi sul piano politico arrivando a trasformarsi in una presenza militare, 
teme cioè che la Russia possa costruire una "testa di ponte" all'interno della 
UE: cosa che la NATO impedirà ad ogni costo.


La penetrazione cinese nei Balcani è solo di tipo commerciale, con investimenti 
in impianti industriali e in infrastrutture. La NATO e la UE vogliono impedire 
che la Cina diventi un competitor nella regione, non ammettono cioè che altri 
si intromettano in quello che considerano un terreno di conquista esclusivo.


Più particolare è la minaccia rappresentata da alcuni paesi arabi, nello 
specifico monarchie del Golfo e Turchia, che stanno promuovendo la 
radicalizzazione religiosa in Bosnia, Kosovo e Albania.


Si stima che in Siria attualmente combattano circa 800 integralisti islamici 
balcanici che con l'imminente capitolazione del Califfato potrebbero tornare 
nelle proprie terre. La NATO teme che questi possano compiere attentati 
terroristici in Europa. La vicenda ha degli aspetti grotteschi, infatti da un 
lato ci si lamenta che alcuni di questi combattenti dell'ISIS in precedenza 
lavoravano per la NATO, dall'altro non ci si interroga su chi sia a sostenere 
la radicalizzazione: la Turchia è uno dei più importanti membri della NATO e le 
monarchie del Golfo sono degli stretti alleati degli USA. Se solo lo volessero, 
gli USA sarebbero in grado d'arrestare il fenomeno, ma non lo stanno facendo; 
la cosa è molto interessante, perché potrebbe essere la manifestazione di 
qualcosa di diverso dalle apparenze.


La Bosnia, la Serbia e il Kosovo non sono né nella UE, né nella NATO, e 
probabilmente non vi entreranno mai, sono tre distinte testimonianze del 
fallimento delle ingerenze. La Bosnia non ha risolto gli scontri etnici, vive 
in un equilibrio estremamente fragile. La Serbia non si doma e non perdona. Il 
Kosovo è un narco-Stato che non sarà mai presentabile e soprattutto non si sa 
autorganizzare. In queste tre entità regna un caos che determina un vuoto 
politico in cui si può inserire l'azione di Russia, Cina e paesi arabi. L'unica 
soluzione che la NATO ha per scongiurare questa evenienza è di andare contro la 
volontà dei popoli e imporre l'integrazione, magari ricorrendo anche a qualche 
forma di commissariamento (andrebbe insediato un plenipotenziario che possa 
essere espressione della NATO o dell'OSCE). La NATO è pronta a forzare la mano, 
i Balcani sono di nuovo ad un bivio: o la sudditanza, o la guerra.


La crisi tra EU e USA non è un mistero, si era già manifestata in molte 
occasioni (come in Libia e poi in Ucraina), ma forse ora si potrebbe acuire. 
Facendo la forzatura d'imporre l'ingresso di Serbia, Bosnia e Kosovo nella UE 
si crea una contraddizione che potrebbe far crollare tutti gli equilibri del 
continente. Dopo aver infiammato il Medioriente con la provocazione di 
Gerusalemme, ancora una volta gli USA accenderebbero un fuoco nella polveriera 
balcanica destabilizzando l'Europa.


Forse il cadavere che gli avvoltoi atlantici vogliono divorare non è solo 
quello dell'ex-Jugoslavia.



*Articolo esce in contemporanea Contropiano e Antidiplomatico




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http://www.analisidifesa.it/2017/12/i-piani-di-washington-per-i-balcani/


I piani di Washington per i Balcani (secondo l’Atlantic Council)


di Luca Susic, 10 dicembre 2017

Nel mese di novembre, il think tank statunitense Atlantic Council (AC) ha 
pubblicato uno studio di 20 pagine intitolato “Balkans Forward. A new US 
strategy for the region”, partendo dal presupposto che “mentre gli Stati Uniti 
e l’Europa sono concentrati sui propri problemi interni, la Russia e altri 
paesi stanno ridisegnando il paesaggio geopolitico della regione”. Gli autori, 
infatti, hanno evidenziato quelle che a loro modo di vedere sono le principali 
azioni con cui Mosca tenta di far precipitare la regione verso uno stato di 
caos (indebolendo così sia Bruxelles che Washington), nonché le possibili 
soluzioni per contrastare questa “influenza maligna”.


Per comprendere il testo è innanzitutto fondamentale notare come secondo l’AC 
lo scopo finale della politica statunitense verso i Balcani dovrebbe essere 
quello di giungere all’integrazione euroatlantica dell’area, facendo quindi 
entrare quanto prima nella NATO e nella UE gli Stati non ancora membri. Questa 
tesi viene ritenuta in linea con lo sforzo intrapreso in seguito agli accordi 
di Ohrid del 2001, quando emerse l’idea che la partecipazione all’Alleanza 
Atlantica avrebbe garantito i confini allora esistenti, mentre la possibilità 
di accedere ai mercati europei avrebbe spinto i governi locali a intraprendere 
con decisione la via delle riforme interne e ad abbandonare le tradizionali 
divisioni.


L’insuccesso della politica appena menzionata, viene però fatta dipendere non 
tanto dagli errori commessi dai cosiddetti policymakers o dagli atteggiamenti 
spesso paternalistici con cui Bruxelles e Washington si relazionano con gli 
attori ex – jugoslavi, ma alla combinazione di diversi fattori quali 
l’influenza russa (Mosca viene apertamente accusata del presunto tentativo di 
golpe in Montenegro), la Brexit e il referendum olandese sull’Ucraina, 
<http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2016-04-07/accordo-ue-ucraina-referendum-olandese-arriva-bocciatura-070351.shtml?uuid=ACUD1o2C>
 nonché le dichiarazioni di Trump sulla politica estera statunitense.


Il risultato di ciò, sempre secondo gli autori, è che “i Balcani occidentali 
sono diventati un posto molto più pericoloso”, mentre la credibilità 
dell’Unione Europea, soprattutto dopo la moratoria sull’allargamento imposta da 
Juncker, è rimasta intatta solo grazie al ruolo della Germania, che ha creato 
una sua politica indipendente verso l’area sud-orientale del continente.


Partendo quindi da questi presupposti, vengono sviluppate una serie di altre 
considerazioni, che per semplicità del lettore verranno riassunte nell’ordine 
in cui compaiono nel paper.


LE DIVISIONI ABBONDANO: in questo primo capitolo, grande attenzione viene data 
all’ascesa al potere di Aleksandar Vucic e alla sua promessa iniziale di 
avvicinarsi alla UE e trovare una soluzione accettabile per la Serbia sulla 
questione kosovara. In particolare il presidente serbo viene criticato per aver 
cercato il supporto della Russia, vista come un possibile appoggio nel caso in 
cui il progetto europeo dovesse continuare ad affondare. Mosca, dal canto suo, 
viene attaccata a causa dei suoi stretti rapporti con Milorad Dodik (presidente 
della Rep. Srpska), ossia il leader che assieme ai suoi più stretti 
collaboratori avrebbe “speso un decennio a cercare di distruggere le fragili 
strutture della Bosnia”. Sorprendentemente, però, nell’ambito della crisi del 
Paese viene anche riconosciuta una certa responsabilità alla comunità croata di 
Bosnia e, in misura minore, a quella musulmana. La responsabilità del Cremlino, 
comunque, secondo l’AC si estende ulteriormente al Kosovo, in cui viene 
accusato di aver realizzato “fake news” per aizzare i serbi contro gli 
albanesi, al Montenegro e, soprattutto, alla Macedonia. Proprio quest’ultima è 
l’oggetto di un lungo approfondimento, nel quale, viene elogiato il nuovo Primo 
Ministro Zoran Zaev, capace di spodestare il VRMO-DPMNE, ossia il partito 
dell’ex premier Gruevski, considerato troppo vicino alla Russia. Ciò che 
stupisce di più, però, è l’ammissione che anche in Kosovo il nazionalismo 
spinto rappresenti una preoccupazione, nonostante Pristina venga spesso 
rappresentata come un alleato di ferro degli USA e la dimostrazione più chiara 
del successo della politica estera americana nell’area.
COSA VUOLE LA RUSSIA? Si tratta del passaggio probabilmente più controverso 
dell’intero studio, in quanto, più che di un’analisi, assume i toni di un vero 
e proprio attacco nei confronti di Mosca. Questa, infatti, viene accusata di 
condurre una politica distruttiva incentrata sull’ottenimento di 3 obiettivi 
separati:
Distrazione: ossia la creazione di confusione nell’area balcanica allo scopo di 
spostare il focus euro-atlantico dalle zone di maggiore interesse (come 
l’Ucraina) ai Balcani;
Minaccia: destabilizzare scientemente l’ex-Jugoslavia, in quanto un’eventuale 
escalation (viene fatto esplicito riferimento ad una nuova guerra civile) 
rappresenterebbe appunto una minaccia diretta all’Europa;
Precedente: mettere cioè in discussione i confini post-Dayton per modificare 
anche quelli della Crimea, del Donbass e delle Repubbliche Baltiche.
Come già avvenuto nel caso delle simulazioni della Rand e di altri think-tank 
su un’ipotetica invasione russa del Baltico, emerge qui l’idea che Mosca 
rappresenti ormai un chiaro nemico non solo dell’Occidente, ma anche delle 
stesse popolazioni destinate ad essere vittime della Sua politica estera. 
Proprio l’aspetto relativo alla volontà di queste nazioni assume una notevole 
importanza in quanto, contrastando parzialmente con quanto scritto nelle pagine 
precedenti, l’AC evidenza come “la popolazione della regione sa che non c’è 
futuro assieme alla Russia” che “rimane un attore relativamente debole nella 
regione”. Questi aspetti, quindi, vengono usati in quella che sembra essere a 
tutti gli effetti la riproposizione della missione universalistica americana 
per la liberazione dei popoli oppressi da regimi o influenze non democratiche.


SOTTO I RIFLETTORI: CORRUZIONE, NON “ODI ANTICHI”: abbandonando per un attimo 
il ruolo “malefico” di Mosca, in questa sezione l’accento viene messo sulle 
ragioni che hanno portato le diverse etnie a combattersi nel corso dei secoli. 
Secondo gli autori, la causa scatenante di questo fenomeno è da ricercare nella 
presenza di stati disfunzionali, corrotti e frutto di una scarsa esperienza 
nell’autogoverno. Conseguenza di ciò sarebbe l’affermazione costante, negli 
ultimi anni, di uomini forti, attorno ai quali si concentra l’intero potere 
istituzionale. A sostegno di tale tesi vengono portati i casi di Milo Đukanović 
(Montenegro), Hashim Thaçi (Kosovo) e Milorad Dodik (Rep. Sprska), ma anche di 
Aleksandar Vučić (Serbia), Dragan Ćović (Croati di Bosnia) e Bakir Izetbegović 
(comunità bosgnacca).
Il ragionamento, per quanto sensato, incontra però un grosso limite nel momento 
in cui ci si accorge che alcuni di questi “big men” sono stati e sono tutt’ora 
dei partner fondamentali per Washington e Bruxelles, nonché che la loro stessa 
ascesa al potere è stata fortemente caldeggiata dagli Stati Occidentali. Lo 
stesso procedimento è infatti attualmente in atto con Zoran Zaev, che sta 
lentamente sostituendo Gruevski nel ruolo di “uomo forte” della Macedonia. 
Infine, non va neppure dimenticato che buona parte della politica europea 
dell’ultimo secolo è stata, nel bene e nel male, dettata e plasmata da singoli 
leader carismatici o “illuminati”.


UNA SVEGLIA PER GLI STATI UNITI: partendo dall’assioma secondo cui i Balcani 
rappresentano il “ventre molle dell’Europa”, l’Atlantic Council ritiene che la 
chiave della sicurezza e di conseguenza dell’instabilità dell’area, sia 
rappresentata dalla Bosnia Erzegovina, la cui unità è messa a repentaglio da 
quello che viene definito “settarismo” (il nazionalismo). A questa 
considerazione vengono affiancati anche un approfondimento sulla cosiddetta 
“rotta balcanica” dell’immigrazione e una breve descrizione del fenomeno 
dell’estremismo islamico.Lo scopo è quello di evidenziare gli ambiti su cui la 
Russia (sempre lei) ha investito maggiormente per seminare discordia nella 
regione. Proprio in risposta a questo sforzo nemico, l’AC ritiene sia 
fondamentale che gli USA riprendano il proprio ruolo di stabilizzatori, il che 
sarebbe possibile attraverso 3 azioni potenzialmente in grado di mutare 
l’intero scenario locale:
Stabilire una presenza militare permanente nell’Europa sud-orientale,  
<https://www.rferl.org/a/balkans-us-military-presence-atlantic-council/28886879.html>partendo
 chiaramente dalla base di Bondsteel, già in grado di ospitare un contingente 
di 7000 uomini. Il tutto potrebbe essere facilitato dalla fine della missione 
KFOR, a cui dovrebbe seguire un crescente impegno militare statunitense 
nell’area. Come è facile immaginare, infatti, il Kosovo sarebbe ben felice di 
poter ospitare altri soldati statunitensi, mentre la popolazione serba non 
avrebbe altra scelta che affidarsi alle truppe straniere per veder garantita la 
propria sopravvivenza e permanenza. Un contingente “sostanzioso”, inoltre, 
garantirebbe gli attuali confini degli alleati e permetterebbe di accreditare 
gli USA come potenza realmente interessata alla difesa dello status quo. 
Secondo gli autori, inoltre, a ciò dovrebbe essere affiancata la proposta di 
fornire supporto agli “amici” nelle operazioni di controspionaggio, spingendoli 
magari proprio a richiedere un tale intervento.

Perseguire uno “storico” riavvicinamento con la Serbia, ossia convincere Vučić 
ad annacquare i legami con Mosca e i media locali a dare “un’adeguata copertura 
mediatica” a quelli che sarebbero i risultati (positivi) di un avvicinamento 
agli USA. Quest’ultimo aspetto, in particolare, è interessante, in quanto 
evidenzia una parziale verità. Infatti, sebbene il Presidente sia in grado di 
influenzare pesantemente quotidiani e televisioni, non va dimenticato che una 
buona fetta dei media locali sono di proprietà straniera (soprattutto tedesca, 
americana e turca).
Riguadagnare la reputazione statunitense di onesto intermediario, ossia 
sfruttare le debolezze europee per guadagnare terreno. Nella prima parte di 
questo paragrafo, infatti, viene ribadita l’attitudine (sbagliata) che ha 
portato l’Europa a credere che qualsiasi problema potesse essere risolto con la 
semplice promessa di entrare a far parte dell’unione, usando cioè una leva 
prettamente burocratica. Nella più classica versione dell’eccezionalismo 
statunitense, quindi, risulterebbe compito di Washington correggere la miopia 
di Bruxelles, soprattutto attraverso una diversa gestione del rapporto con gli 
uomini forti locali.
DALLA SICUREZZA ALLA PROSPERITÀ: l’ultimo capitolo, forse quello più politico e 
meno tecnico, può essere riassunto con una semplice frase: “dovrebbe essere 
reso chiaro ai Russi che stanno solo perdendo tempo e denaro cercando di 
spargere caos nella regione”.
Alla luce di quanto sopra, è ora possibile fare una serie di commenti tecnici 
sul paper. Il primo aspetto da portare all’attenzione è certamente che non si 
tratta di un lavoro qualitativamente interessante, quanto piuttosto di un 
manifesto programmatico che risponde ad una serie di esigenze.


La più importante è quella di dare una giustificazione al perseguimento di una 
politica anti-russa nei Balcani. Nonostante lo sforzo di inserire dei sondaggi 
relativi al supporto di cui godono gli USA nell’area, però, questa sembra 
essere motivata più da una chiara ostilità nei confronti del Cremlino unita ad 
una sorta di “fardello dell’uomo bianco” che da una reale paura delle 
popolazioni locali per quanto sia in grado di fare Mosca.


Inoltre, risulta anche peculiare il fatto che ad una presunta minaccia 
asimmetrica, l’Atlantic Council proponga di rispondere nel modo più 
convenzionale che gli USA conoscono, ossia mettendo sulla bilancia il peso 
delle proprie forze armate e della propria economia.


Oltre a ciò, emerge con chiarezza la sottovalutazione del pericolo 
rappresentato dall’estremismo islamico rafforzatosi lungo l’asse 
Bosnia-Sangiaccato-Kosovo-Albania, il che però non stupisce, in quanto il think 
tank gode di forte supporto proprio in alcuni dei paesi che hanno maggiormente 
investito per “reislamizzare” i Balcani. Questo “omissis” è particolarmente 
grave, in quanto si inserisce in quella diffusa tendenza a sottostimare il 
ruolo imperialista di alcuni stati musulmani per ragioni economiche e politiche.


Il terzo punto che colpisce è la totale assenza di fonti in lingua locale e la 
presenza di pochi riferimenti a studiosi o esperti provenienti dall’area. Se 
ciò è da un lato giustificato dall’oggettiva difficoltà del mondo accademico 
locale di realizzare opere di qualità, dall’altro finisce per limitare 
notevolmente le fonti e orientarle inevitabilmente in senso-filo occidentale, 
dato che solitamente i grandi network in lingua inglese non danno troppo spazio 
alle voci più critiche delle politiche euro-atlantiche.


Infine, sebbene vi siano numerosi riferimenti al ruolo complementare di USA e 
UE, il documento sembra tracciare piuttosto le linee guida per sostituire 
Bruxelles in loco, un’ambizione non esagerata visto che, come sottolineato in 
precedenza, a causa della debolezza italiana e del disinteresse francese, la 
politica europea nei Balcani si limita alle azioni tedesche e agli spunti 
individuali di Federica Mogherini.


Quanto sopra, sebbene non rifletta in pieno la linea dell’attuale 
amministrazione americana, deve rappresentare un campanello d’allarme per tutti 
quei paesi (Italia in primis) che hanno forti interessi nell’area e che 
rischierebbero seriamente di trovarsi “fuori dai giochi” qualora anche solo 
alcune delle linee guida proposte dovessero essere messe in pratica. In 
aggiunta a ciò, grande attenzione e cautela dovrebbe essere applicata anche 
alla tendenza di alcuni ambienti interventisti presenti fra i democratici e i 
conservatori americani a interpretare qualunque sfida geopolitica con il prisma 
dello scontro fra Est e Ovest, sia perché ci farebbe nuovamente finire sulla 
linea di fuoco, sia perché ci impedirebbe di prestare le dovute attenzioni ai 
competitors più attivi, come Turchia, monarchie del Golfo e Cina.


Foto: Reuters, EPA, KFOR e RT




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http://ilpiccolo.gelocal..it/trieste/cronaca/2017/05/15/news/la-ricetta-choc-usa-i-confini-di-tito-da-ridisegnare-1.15340982
 
<http://ilpiccolo.gelocal.it/trieste/cronaca/2017/05/15/news/la-ricetta-choc-usa-i-confini-di-tito-da-ridisegnare-1.15340982>



La ricetta choc Usa: «I confini di Tito da ridisegnare»


L’analista Schindler sul New York Observer, quotidiano del genero e consigliere 
di Trump, vuole cancellare Dayton


di Mauro Manzin, 15 maggio 2017




TIRANA Tirana strizza l’occhio al Kosovo per creare la Grande Albania, la 
Republika srpska non ha mai nascosto le sue ambizioni di diventare parte 
integrante della Serbia, in Bosnia-Erzegovina i croati chiedono di diventare 
entità come i serbi e i bosgnacchi. Insomma, tutti contro tutti. In mezzo 
un’Unione europea che rischia di fare la fine del vaso di coccio tra i due 
giganti mondiali d’acciaio: Usa e Russia. Lo scenario balcanico anche in vista 
del Summit di Trieste, prolungamento naturale del Processo di Berlino è 
decisamente oscuro e pieno di nubi.
A ulteriormente complicare le cose ci mette lo zampino anche la nuova 
amministrazione a stelle e striscie capitanata da Donald Trump. Il messaggio 
arriva chiaro dalle righe del New York Observer, il quotidiano è di proprietà 
di Jared Kushner, genero e consigliere del presidente Usa e reca la firma di 
John Schindler, esperto di difesa ed ex analista dell’agenzia per la sicurezza 
nazionale (Nsa) e riprese dal Delo di Lubiana. Ebbene, secondo Schindler, 
quanto sta succedendo ora nei Balcani altro non è se non il frutto del peccato 
mortale messo in atto dall’Occidente, Ue e Nato su tutti, che ha accettato le 
vecchie frontiere comuniste di Tito quali confini delle repubbliche nate sulle 
ceneri di quella che fu la Repubblica federativa socialista di Jugoslavia. Non 
è stato capito che quei confini, tra le repubbliche della Federativa, sostiene 
Schindler, altro non erano se non un capriccio dei funzionari comunisti e non 
rispecchiavano la realtà etnica del Paese.
Per l’analista americano la Ue e la Nato hanno con cocciutaggine predicato 
l’illusione di una convivenza interetnica che presupponesse che nella regione 
fosse possibile vivere nell’unità e nella fratellanza (guarda caso uno dei 
concetti fondamentali di Tito ndr.).
È una triste realtà, invece, obietta Schindler, che Tito ha preservato la 
Jugoslavia con una combinazione fatta di carisma personale, saggezza politica e 
di una sgradevole polizia segreta.. L’Occidente, ribadisce l’analista Usa, ha 
con insuccesso cercato di mantenere i confini comunisti. In Bosnia e in Kosovo 
poi, continua Schindler, le minoranze che sono fuggite di fronte alla guerra 
non vogliono tornare nei loro luoghi d’origine. Forse per paura o forse per una 
sorta di particolarismo etnico. Sta di fatto che non tornano.
Quindi, e qui c’è veramente da aver paura, l’analista statunitense propone di 
ridisegnare i confini della ex Jugoslavia. Su tutto va, per Schindler, 
“rettificata” la Bosnia-Erzegovina permettendo che la Republika srspka si 
unisca alla Serbia e che l’Erzegovina occidentale si riunisca alla Croazia 
visto anche in quell’area la stragrande maggioranza dei cttadini ha già oggi il 
passaporto croato. Schindler definisce l’architettura istituzionale degli 
Accordi di Dayton del 1995 «grottesca» che impedisce il funzionamento di 
qualsivoglia istituzione statale, e, in effetti, la crisi politica e lo stallo 
istituzionale permanente a Sarajevo lo sta ampliamente dimostrando.
Ma non finisce qui. Schindler invita la Serbia a riconoscere il Kosovo non 
prima di aver ottenuto in cambio la regione di settentrionale (serba) e della 
valle di Preševo. L’analista poi giudica «irrevocabile» la futura unione di 
Kosovo e Albania nella cosiddetta Grande Albania che comprenderebbe però anche 
parti della Macedonia. Perché lasciare che ciò avvenga autonomamente e quindi 
con un conflitto e non pilotare meglio il tutto a livello di mediazione 
internazionale dando alla Russia lo status di Paese equivalente a quello degli 
altri attori occidentali? Come contropartita ci sarebbe l’ingresso nell’Ue dei 
nuovi Balcani occidentali che otterrebbero anche una buona iniezione di 
finanziamenti. Una compensazione che dovrebbe giungere soprattutto alla 
Macedonia che in questo processo avrebbe il ruolo di agnello sacrificale.
Diverso però è l’approccio russo. Jelena Ponomarjova, una dei principali 
esperti di Mosca per i Balcani sostiene che la crisi politica in Macedonia e 
l’idea di Grande Albania sono strumenti degli Usa per destabilizzare l’Europa 
e, contemporaneamente, per cercare di togliere l’area dall’influenza russa. 
Ponomarjova non esclude neppure una guerra civile in Macedonia che spezzerebbe 
il Paese in due.
Insomma, dipinto da Washington o da Mosca lo scenario balcanico minaccia 
nuovamente di grondare sangue. Sangue di innocenti nel nome della nuova Guerra 
fredda.


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