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Mussolini il criminale e i Balcani

di Davide Conti, 20.11.2018

Un programma razzista, liberticida e dittatoriale fin dagli anni 20. Le 
sanguinarie imprese del fascismo in Jugoslavia, Albania, Grecia. Il duce: 
“Quando l’etnia non va d’accordo con la geografia, è l’etnia che deve muoversi; 
gli scambi di popolazioni e l’esodo di parti di esse sono provvidenziali perché 
portano a far coincidere i confini politici con quelli razziali”


Il fascismo non aspettò di certo la metà degli anni trenta (ovvero 
l’occupazione dell’Etiopia del 1936 e le leggi razziali del 1938) per 
manifestare il proprio intrinseco e costituente carattere razzista, liberticida 
e dittatoriale. Mussolini esplicitò fin dalle origini il suo «programma 
criminale» impegnando se stesso e poi il regime da lui guidato al mantenimento 
delle «promesse» lungo l’intero arco temporale del ventennio fascista, 
conformando la struttura identitaria della dittatura italiana a quelle linee 
programmatiche.
In questo articolo, in una misura necessariamente sintetica, indicheremo alcuni 
esempi della corrispondenza tra la verbale propaganda razzista del fascismo 
delle origini e le sue fattuali conseguenze una volta instaurata la dittatura 
sulle popolazioni civili dei Balcani.
Jugoslavia
Una particolare attenzione venne riservata dalle camice nere alla regione dei 
Balcani, destinata a divenire il principale campo di battaglia 
dell’imperialismo fascista in Europa.
Lo squadrismo riuscì a presentarsi fin dall’inizio degli anni 20 come elemento 
di sintesi delle istanze antislave (sul piano nazionalista) e anticomuniste 
(sul piano politico-sociale) dando rappresentanza a settori non marginali della 
società civile italiana che andavano dalla piccola e media borghesia alla 
proprietà terriera fino ai militari.
In questo quadro di embrionale manifestazione del fascismo Mussolini, a 
proposito della regione di confine con la Jugoslavia, poteva già scrivere nel 
1920 sul «Popolo d’Italia»: «In altre plaghe d’Italia i fasci di combattimento 
sono appena una promessa, nella Venezia-Giulia sono l’elemento preponderante e 
dominante della situazione politica».
Il fascismo triestino ed istriano accanto alla lotta contro il sovversivismo 
sociale nelle terre della Venezia-Giulia sperimentò quel fascismo di frontiera 
che tra il 1920 ed il 1922 intensificò la propria azione violenta in tutta la 
regione sotto la guida di Francesco Giunta, a Trieste, e di Luigi Bilucaglia. 
All’attivismo anti-operaio promosso durante gli scioperi, in particolare a 
Pola, si associò una politica di provocazione e scontro con i gruppi croati fin 
dall’estate del 1920.
Il consenso ed il consolidamento politico dello squadrismo si manifestò quando 
Mussolini espresse le linee politiche anti-socialiste ed anti-slave del 
programma del fascismo nel suo intervento del 22 settembre 1920 a Pola: «Di 
fronte ad una razza come la slava, inferiore e barbara non si deve seguire la 
politica che da lo zuccherino, ma quella del bastone […] i confini dell’Italia 
devono essere: il Brennero, il Nevoso e le Dinariche […] io credo che si 
possano più facilmente sacrificare 500.000 slavi barbari a 50.000 italiani» .[1]
Nel pieno della guerra di aggressione alla Jugoslavia e della pianificazione 
del controllo territoriale delle regioni balcaniche occupate, Mussolini, il 31 
luglio 1942 a Gorizia, indicò ai generali Ugo Cavallero, Mario Roatta e 
Vittorio Ambrosio la linea di condotta che le truppe italiane avrebbero dovuto 
seguire:
«Sono convinto che al terrore dei partigiani si deve rispondere col ferro e col 
fuoco. Deve cessare il luogo comune che dipinge gli italiani come sentimentali 
incapaci di essere duri quando occorre […] come avete detto è cominciato un 
nuovo ciclo che fa vedere gli italiani come gente disposta a tutto […] questa 
popolazione non ci amerà mai […] il ritmo delle operazioni deve essere 
sollecitato […] l’aviazione ha qui un compito abbastanza importante.
Questo territorio deve essere considerato territorio di esperienza. Non vi 
preoccupate del disagio della popolazione, lo ha voluto! Ne sconti le 
conseguenze, così come non mi preoccupo dell’università che sarà un focolaio 
contro di noi. Non sarei alieno dal trasferimento di masse di popolazione». [2]

Queste direttive politiche furono tradotte in termini operativi dai vertici del 
regio esercito rispetto al modus operandi delle truppe italiane impiegate nella 
controguerriglia anti-partigiana e nella repressione della popolazione civile.
Nel quadro di questa logica consequenziale i comandi militari dell’esercito 
mostrarono la propria corrispondenza agli ordini del duce attraverso la 
realizzazione di operazioni come quelle effettuate nella cittadina di Podhum 
attaccata il 12 luglio 1942 (91 uomini tra i 16 ed i 64 anni fucilati sul posto 
e altre 800 persone deportate) o nei villaggi di Zamet e nella zona di 
Danilovgrad che vennero rastrellati e rasi al suolo nell’agosto 1942 con 
l’approvazione di Mussolini.
Cicli operativi di questo tipo rientravano nella strategia di sostituzione 
della popolazione finalizzata ad uniformare confini politici e razziali 
nell’ambito del più generale progetto di snazionalizzazione:
«Il Duce ha approvato le modalità esecutive delle operazioni […]; abbiamo 
adottato il provvedimento successivo di sgomberare tutti gli uomini validi ad 
Arbe. Non importa se nell’interrogatorio si ha la sensazione di persone innocue 
[…] quindi sgombero TOTALITARIO […] resta inteso che il provvedimento 
dell’internamento non elimina il provvedimento di fucilare tutti gli elementi 
colpevoli o sospetti di attività comunista.  Non limitarsi negli internamenti.  
Le autorità superiori non sono aliene dall’internare tutti gli sloveni e 
mettere al loro posto gli italiani (famiglie dei caduti e dei feriti italiani). 
In altre parole far coincidere i confini razziali con quelli politici». [3]

D’altro canto la declinazione fascista di confini territoriali e confini 
razziali era stata sin dall’inizio della guerra una delle chiavi di lettura 
della misura imperialista del regime.
Mussolini il 10 giugno 1940 in un discorso tenuto alla Camera dei Fasci e delle 
Corporazioni aveva affermato: «Noi avremmo potuto, volendo, spingere i nostri 
confini dai Velibiti alle Alpi albanesi ma avremmo, a mio avviso, commesso un 
errore […]; avremmo portato entro le nostre frontiere parecchie centinaia di 
migliaia di elementi allogeni, naturalmente ostili […]; gli Stati che si 
caricano di troppi elementi alloglotti hanno una vita travagliata […]; bisogna 
adottare verso di essi un trattamento speciale […]; quando l’etnia non va 
d’accordo con la geografia, è l’etnia che deve muoversi; gli scambi di 
popolazioni e l’esodo di parti di esse sono provvidenziali perché portano a far 
coincidere i confini politici con quelli razziali». [4]
Di fronte alla Resistenza jugoslava ed alla rivolta antifascista nella regione 
del Montenegro Mussolini cercò di ripristinare l’ordine fascista sul territorio 
inviandovi il generale di Corpo d’Armata Alessandro Pirzio Biroli che diverrà 
governatore del Montenegro e che al termine della guerra sarà iscritto nelle 
liste delle Nazioni Unite dei «presunti» criminali di guerra italiani in 
ragione delle misure di repressione operate contro la popolazione civile 
jugoslava:
«Recatevi a Cettigne per dirigere sul posto operazioni di questa che ormai è 
una guerra ed insieme ai poteri militari assumete quelli civili. F. to 
Mussolini». [5]
Al termine della guerra i danni complessivi denunciati dalla Jugoslavia alla 
Conferenza per le riparazioni di Parigi ammontarono a 9 miliardi e 145 milioni 
di dollari di danni materiali e 1.706.000 morti, pari al 10,8% della 
popolazione totale. Di questi, la stragrande maggioranza era rappresentata da 
vittime civili giacché, secondo le stime ufficiali jugoslave le perdite tra i 
combattenti inquadrati nelle formazioni partigiane E.P.L. e D.P.J. ammontarono 
complessivamente a 306.000 uomini. Queste cifre vennero integrate dai dati dei 
reduci dei campi di concentramento in Jugoslavia e Italia, dalla distruzione 
del 25% degli abitati e dai danni arrecati dagli occupanti ai rami 
dell’industria, dell’agricoltura dei trasporti e delle materie prime.
L’Italia a conclusione dei trattati di Parigi venne condannata a pagare alla 
Jugoslavia, a titolo di riparazione, 125 milioni di dollari. [6]

Albania
Nella riunione del 13 aprile 1939 del Gran Consiglio del Fascismo Mussolini 
affermò: «L’Albania è la Boemia dei Balcani, chi ha in mano l’Albania ha in 
mano la regione balcanica. L’Albania è una costante geografica dell’Italia. Ci 
assicura il controllo dell’Adriatico […] nell’Adriatico non entra più nessuno 
[…] abbiamo allargato le sbarre del carcere del Mediterraneo». [7]
Il 7 aprile 1939 l’Albania venne occupata dalle truppe militari del regio 
esercito.
Nel corso della guerra la Resistenza albanese rappresentò il principale 
elemento politico di contrasto all’invasore fascista e per questo le misure di 
repressione territoriale assunsero un carattere uniforme a quello presente nel 
resto dei alcani occupati.
Il 14 luglio 1943 venne realizzata, dal regio esercito, un imponente operazione 
militare antipartigiana nei villaggi intorno a Mallakasha ed al termine di 
quattro giorni di combattimento, in cui vennero usati artiglieria pesante ed 
aviazione, tutti gli 80 villaggi della zona vennero rasi al suolo causando la 
morte di centinaia di civili.
Al termine della guerra l’eccidio di Mallakasha venne simbolicamente ricordato 
dalle autorità albanesi come la “Marzabotto albanese” ponendo in relazione i 
brutali metodi dell’occupazione tedesca in Italia e quelli fascisti in Albania.
Grecia
Nella riunione del 15 ottobre 1940 tenutasi a Palazzo Venezia Mussolini, 
Galeazzo Ciano, Pietro Badoglio, Mario Roatta, Soddu, Francesco Jacomoni e 
Visconti Prasca discussero della strategia che l’Italia avrebbe dovuto adottare 
per invadere la Grecia. Nei suoi interventi Mussolini non lasciò adito a dubbi 
sull’azione da intraprendere: «Lo scopo di questa riunione è quello di definire 
le modalità dell’azione – nel suo carattere generale – che ho deciso di 
iniziare contro la Grecia […] questa è un’azione che ho maturato lungamente da 
mesi e mesi; prima della nostra partecipazione alla guerra ed anche prima 
dell’inizio de conflitto[…] Fissata la data si tratta di sapere come diamo la 
parvenza della fatalità di questa nostra operazione. Una giustificazione di 
carattere generale è che la Grecia è alleata dei nostri nemici […] ma poi ci 
vuole l’incidente per il quale si possa dire che noi entriamo per mettere 
l’ordine. Se questo incidente lo fate sorgere è bene, se non lo determinate è 
lo stesso. […] è per dare un pò di fumo. Tuttavia è bene se potete fare in modo 
che ci sia l’appiglio all’accensione della miccia. […] Nessuno crederà a questa 
fatalità, ma per una giustificazione di carattere metafisico si potrà dire che 
era necessario venire ad una conclusione». [8]
A seguito delle attività provocatorie e terroristiche sostenute dal governo 
fascista, Mussolini spedì nelle prime ore del 28 ottobre 1940 l’ultimatum al 
governo di Metaxas nel quale si fece riferimento ai falsi attacchi subiti 
dall’Albania lungo la zona di confine che l’Italia aveva delimitato con la 
Grecia: «Il Governo italiano […] deve ricordare al governo greco l’azione 
provocatrice svolta verso la Nazione albanese con la politica terroristica da 
esso adottata nei riguardi della popolazione della Ciamuria e con i persistenti 
tentativi di creare disordini oltre le sue frontiere. […] Tutto questo non può 
essere dall’Italia ulteriormente tollerato […] il Governo italiano è venuto 
pertanto nella determinazione di chiedere al Governo greco, come garanzia della 
neutralità della Grecia e come garanzia di sicurezza per l’Italia, la facoltà 
di occupare con le proprie forze armate […] alcuni punti strategici in 
territorio greco […]; ove le truppe italiane dovessero incontrare resistenze, 
tali resistenze saranno piegate con le armi e il governo greco si assumerebbe 
la responsabilità delle conseguenze che ne deriverebbero». [9]

Nel corso del conflitto le difficoltà operative incontrate dal regio esercito 
spinsero all’utilizzo massiccio dell’aviazione per fiaccare l’opposizione delle 
truppe greche e per colpire gravemente la popolazione civile. Mussolini affermò 
perentorio ai suoi generali: «In questo periodo di sosta occorre che 
l’aviazione faccia quello che non possono fare gli altri. Questi bombardamenti 
incessanti dovranno: a) dimostrare alle popolazioni greche che il concorso 
dell’aviazione inglese è insufficiente o nulla; b) disorganizzare la vita 
civile della Grecia, seminando il panico dovunque. Quindi voi dovete scegliere 
– chilometro quadrato per chilometro quadrato – la Grecia da bombardare». [10]
Al termine del conflitto venne stilato un bilancio dei danni arrecati dagli 
occupanti alla Grecia in termini di vite umane, disarticolazione di settori 
strategici dell’economia nazionale e di distruzione dei villaggi e delle città 
che avevano subito bombardamenti, rastrellamenti e incendi da parte delle 
truppe nazifasciste.
I dati pubblicati nel 1946 nella relazione «Les sacrificies de la Grèce pendant 
la guèrre 1940-1945» (verificati dall’agenzia delle Nazioni Unite «United 
Nation Relief and Rehabilitation Administration (UNRRA)» e dalla Croce Rossa) 
certificarono: «Il primo anno dell’occupazione (1941-1942) fu 
incontestabilmente il più doloroso per il popolo greco […]; molti paesi europei 
furono conquistati dall’Asse e videro le loro popolazioni in balia delle 
privazioni e delle sofferenze. Tuttavia nessun popolo ha sofferto quanto il 
popolo greco a seguito delle privazioni e della fame. […] Gli uomini, le donne 
e soprattutto i bambini che la fame aveva ridotto allo stato di scheletri 
vagavano per delle ore intere per le strade […] Tutte le mattine la polizia si 
occupava di sgomberare dalle strade decine, alle volte centinaia, di cadaveri.
Di tutti i paesi conquistati la Grecia è quella che conta proporzionalmente la 
più grande quantità di ostaggi e vittime delle persecuzioni e di esecuzioni. 
Prova inconfutabile della partecipazione unanime del popolo greco alla 
resistenza nazionale. […] Tremilasettecento (3.700) villaggi e città furono in 
tutto distrutti, una parte a seguito di bombardamenti, saccheggi ed incendi. A 
seguito di queste distruzioni 1.200.000 persone, cioè 1/6 della popolazione 
totale del paese si trovano senza riparo. 88.000 famiglie contadine nelle 
macerie delle loro abitazioni, 30.000 famiglie contadine vivono in case 
semidistrutte, 510.000 famiglie urbane sono miseramente alloggiate. […] 
L’armata dei partigiani ingaggiò nelle montagne dei duri combattimenti di cui 
il prezzo fu pesante. Con le rappresaglie gli occupanti massacrarono più di 
40.000 persone, per lo più donne e bambini, e incendiarono 3.000 villaggi». [11]

Secondo i dati forniti dal rapporto i morti in totale durante l’occupazione 
della Grecia ammonterebbero ad un totale di 620.000 persone: 360.000 morti a 
causa della fame; 30.000 morti a causa della guerra; 7.000 vittime dei 
bombardamenti; 43.000 persone uccise da esecuzioni operate da tedeschi (35.000) 
ed italiani (8.000); 25.000 persone uccise da esecuzioni operate dai bulgari; 
60.000 morti tra la popolazione giovanile; 45.000 morti tra gli ostaggi ed i 
prigionieri dei nazifascisti; 50.000 morti tra le file della resistenza greca.
Oltre 190.000 persone risultano perseguitate ed imprigionate dalle truppe 
occupanti: 100.000 da parte tedesca; 35.000 da parte italiana; 50.000 da parte 
bulgara; 5.000 da parte delle milizie albanesi inquadrate, addestrate e 
comandate dall’esercito italiano.
Le deportazioni dei prigionieri fuori dal territorio greco raggiunsero la cifra 
di 88.000: 40.000 eseguite dai tedeschi; 18.000 dagli italiani; 30.000 dai 
bulgari. [12]
Dall’Italia all’Africa, dai Balcani alla Russia le promesse criminali di 
Mussolini erano state mantenute. Fu la Resistenza a farsi carico di chiederne 
conto al dittatore e ai suoi gerarchi.
Davide Conti, Curatore per l’Archivio Storico del Senato della Repubblica del 
riordino dei fondi «Rosario Bentivegna»; «Carla Capponi»; «Mario 
Fiorentini-Lucia Ottobrini»

[1]            T.Sala-S. Bon Gherardi, L’Istria tra le due guerre, Bollati 
Boringhieri, Torino, p.30.
[2]           U.Cavallero, Diario, edizioni Ciarrapico, 1984, Cassino, p. 443.
[3]           Verbale 2 agosto 1942 della riunione di Kocevje indetta dal 
generale Mario Robotti, in «Quaderni della Resistenza», Anpi Friuli-Venezia 
Giulia, n.10, Udine 2003, pp. 30-31.
[4]           «Il Piccolo di Trieste» 11 giugno 1941.
[5]            Archivio Storico Ministero Affari Esteri (Asmae), Gabinetto del 
Ministro e della Segreteria Generale 1923-1943, serie V, busta 2, AP 49, 
Montenegro, telegramma n.20983 del luglio 1941 di Mussolini al generale Pirzio 
Biroli.
[6]           Cifre della Commissione jugoslava presentate nella Conferenza per 
le riparazioni di guerra tenutasi a Parigi nel 1945, in J. Marjanovic,Guerra 
popolare e rivoluzione il Jugoslavia 1941-1945, Ediz. Avanti! Milano 1962 pp. 
153-154.
[7]           Verbale riunione Gran Consiglio del Fascismo 13 marzo 1939, in E. 
Misefari, La Resistenza degli albanesi all’imperialismo italiano, Ediz. Cultura 
popolare, Milano 1976.
[8]           Ufficio Storico Stato Maggiore dell’Esercito (USSME), documenti 
del Tomo II, «La Campagna di Grecia», verbale riunione di Roma 15 ottobre 1940, 
documento n.52, pp. 159-163.
[9]             Ussme, ibidem, nota del governo italiano al governo greco 
presentata dal Ministro Grazzi al Presidente del consiglio ellenico alle ore 3 
antimeridiane del 28 ottobre 1940, documento n. 65, pp. 184-185.
[10]          Ussme, ibidem, verbale riunione tenuta di Roma del 10 novembre 
1940, documento n.99, p. 314.
[11]          «Les Sacrificies de la Grèce pedant la guèrre 1940-1945», Edition 
de la Ligue «La Paix par la Justice», Atene 1946.
[12]          Ibidem.

[ LE FOTOGRAFIE:
Il campo di concentramento nell’isola di Arbe. Foto tratta dal libro di 
Giuseppe Piemontese: “Ventinove mesi di occupazione nella provincia di Lubiana. 
Considerazioni e documenti” , (Lubiana 1946). (da 
http://www.diecifebbraio.info/wp-content/uploads/2012/01/29-8.jpg)
Foto tratta dal libro di Giuseppe Piemontese: “Ventinove mesi di occupazione 
nella provincia di Lubiana. Considerazioni e documenti”, (Lubiana 1946). (da 
http://www.diecifebbraio.info/wp-content/uploads/2012/01/29-15.jpg)
"Arbe, la memoria da integrare": articolo di Boris Pahor apparso su Il Piccolo 
(http://www.patriaindipendente.it/wp-content/uploads/2018/11/da-il-Piccolo...jpg)
29 novembre 1944, liberazione dell’Albania (da 
https://www.infoaut.org/storia-di-classe/29-novembre-1944-liberazione-dellalbania)
L’uccisione di circa 150 tra patrioti e civili greci nella zona del villaggio 
di Domenikon, in Grecia, effettuata dal Regio esercito italiano durante 
l’invasione della Grecia. Militari italiani camminano tra i cadaveri di civili 
greci giustiziati nel massacro (da https://it.wikipedia.org/wiki/ 
Strage_di_Domenikon#/media/File:DOMENIKO-1943.jpg) ]

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