http://contropiano.org/news/politica-news/2019/01/31/le-foibe-come-arma-di-distrazione-di-massa-0111922
 
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 Le Foibe come arma di distrazione di massa


 di Alberto Fazolo, 31 gennaio 2019
 

 
 Dal finire degli anni ’80 si andò definendo un nuovo assetto europeo: la 
Germania (riunita) diventava il nuovo leader che trascinava gli altri paesi in 
un percorso – politico ed economico – da cui lei avrebbe tratto il massimo 
giovamento. In questa nuova Europa sono ben definiti i ruoli: chi comanda e chi 
obbedisce, chi può prendere le decisioni strategiche e chi si può al più 
limitare al tentativo d’influenzarle. Un quadro in cui il ruolo dell’Italia è 
evidente, ma ancora più evidente il fatto che optando per porsi in subalternità 
si finisce per accettare le decisioni delle forze egemoni nella UE, anche 
quando queste vadano contro i propri interessi. 
 La Germania lanciò un progetto di ampio respiro che oggi si manifesta nella 
sua concretezza e che prevedeva la costruzione dell’egemonia – politica ed 
economica – in Europa. Forse fare dei paragoni con i vari Reich è per certi 
versi azzardato, ma per altri non tanto. Infatti il progetto prevedeva la 
propria riaffermazione su territori in cui più volte ha insistito la presenza 
tedesca (fino alla Prima Guerra Mondiale con l’alleanza tra Germania e Impero 
Austro-Ungarico e successivamente con il Terzo Reich). Anche in quest’ottica va 
inquadrata l’espansione ad Est avviata con il crollo dei paesi socialisti: 
nella ricomposizione della sfera d’influenza tedesca.
 Sotto la spinta delle forze Euro-Atlantiche caddero tutti i paesi del Patto di 
Varsavia, che repentinamente passarono ad un sistema di libero mercato 
compatibile con il nuovo corso europeo. Tuttavia la Jugoslavia socialista 
(Stato multietnico per antonomasia) non mostrava particolari segni di 
cedimento. Questa infatti, non gravitando nell’orbita sovietica, non aveva 
eccessivamente accusato il colpo di quegli eventi. Pertanto, era evidente che 
per “normalizzare” la Jugoslavia si sarebbe dovuto ricorrere a differenti 
metodi, optando per alimentare le tensioni etniche e disarticolarla in piccoli 
stati. Su questa operazione convergevano gli interessi di diversi poteri forti: 
gli USA impegnati nella crociata contro il socialismo, la NATO in corsa verso 
Est, la Germania smaniosa di espandersi fino ai vecchi confini dei Reich, il 
Vaticano di Woytila che voleva costruire una nuova e cattolicissima Croazia. 
 Le forze Euro-Atantiche incendiarono i Balcani dando il via ad una terribile 
guerra civile, in Croazia sostennero gruppi che si ponevano in continuità con 
il passato fascista, compresi i ferocissimi Ustascia. Con il beneplacito delle 
forze Euro-Atlantiche la Croazia si macchiò di orribili crimini e fece una 
terribile pulizia etnica. Nel 1991 i cittadini di etnia croata nel Paese erano 
il 78% della popolazione complessiva, dieci anni dopo erano diventati il 90%. 
Con l’indipendenza, la Croazia era diventata di fatto uno Stato fascistoide, 
semi confessionale ed etnicamente quasi omogeneo. Ma soprattutto la Croazia 
diventava uno Stato davvero identitario, nell’accezione peggiore del termine. 
 Uno Stato in cui qualsiasi “diverso” è un nemico: altre etnie, chi abbia un 
pensiero politico non allineato a quello dominante, altre religioni, ecc. In 
Croazia i “diversi” soffrono uno stato di soggezione e marginalizzazione – si 
sentono sotto costante minaccia – per molti le strade percorribili sono 
sostanzialmente due: l’emigrazione o l’assimilazione (cioè la rinuncia della 
propria cultura per assumere quella dominante). Infatti, da dopo 
l’indipendenza, la popolazione complessiva della Croazia è in costante 
riduzione mentre aumenta la percentuale di croati a discapito delle altre 
etnie. 
 Un fenomeno riguardante pure la comunità italiana che dai primi anni ’90 ha 
subito una grave e costante riduzione. Questa comunità non fu vittima di 
pulizia etnica durante la guerra, sia perché l’Italia non lo avrebbe potuto 
permettere, sia perché è inverosimile pensare che l’aiuto offerto dall’Italia 
alla Croazia non avesse una contropartita nella protezione della minoranza 
italiana. Comunque le statistiche confermano che ancora oggi la comunità 
italiana in Croazia si riduce sempre di più e anche in questo caso per 
emigrazione o assimilazione. Molti degli italiani in Croazia si sentono 
stranieri e marginalizzati, incompatibili con uno Stato identitario, per ciò 
spesso preferiscono o andare a vivere in Italia o rinunciare alla propria 
identità per sposare quella croata. 
 Questo scenario è estremamente triste e abbastanza noto, il frutto avvelenato 
delle manovre geopolitiche e imperialistiche delle forze Euro-Atlantiche a cui 
l’Italia non si è opposta. Ovviamente esistono delle organizzazioni che curano 
gli interessi degli italiani in Croazia, ma qui non si vuole entrare nel merito 
di questi gruppi e tanto meno degli orientamenti politici loro e dei loro 
componenti. Qui si vuole riflettere su un aspetto che non è stato adeguatamente 
indagato, cioè la contraddizione che in quel frangente esplode in seno alle 
forze politiche europeiste italiane: hanno appoggiato un progetto geopolitico 
che ha leso la comunità italiana in Croazia. Nella Croazia indipendente che 
l’Italia ha contribuito a costruire non c’è spazio per i “diversi”, quindi 
neanche per gli italiani, è una comunità destinata a scomparire anche per colpa 
dell’Italia.
 Come detto, all’inizio degli anni ’90 il mondo fu sconvolto da enormi 
cambiamenti, la NATO andava a ridefinire le proprie funzioni e in Europa si 
accelerò sul processo d’integrazione ad egemonia tedesca. In questo quadro si 
colloca la destabilizzazione della Jugoslavia. La ricostruzione di quegli anni 
necessita anche di uno sguardo alle vicende italiane. L’Italia si presentava 
fiaccata al tavolo di trattative europee in quanto subì una durissima 
speculazione finanziaria ad opera, tra gli altri, di quel George Soros che si 
stava impegnando nella distruzione della Jugoslavia. La cosiddetta “Prima 
Repubblica” era tramontata e sulla scena politica si presentarono nuovi 
protagonisti. Altre forze politiche si riciclarono tramite metamorfosi: il PCI 
diventava PDS e il MSI diventava AN. Questi ultimi partiti fecero delle svolte 
con cui si candidavano a divenire forze di Governo sposando ciecamente la causa 
europeista. 
 In definitiva il processo d’integrazione europea proseguiva a tappe forzate e 
tutta la classe di governo italiana ne era espressione. Il destino della 
comunità italiana in Croazia era un problema che praticamente nessuna forza 
politica aveva intenzione d’affrontare. Tuttavia i dati demografici erano 
inoppugnabili, la comunità italiana si stava riducendo e il clima nel Paese era 
ostile a tutte le minoranze. Per questo nel 1996 si cercò di correre ai ripari 
firmando un trattato bilaterale con cui si sancì che “la Repubblica di Croazia 
prenderà le misure necessarie per la protezione della minoranza italiana”: le 
persecuzioni contro gli italiani non ci furono, ma la comunità era comunque 
destinata a sparire; con il nuovo corso croato era inevitabile. Per le forze di 
Governo italiane era una contraddizione insanabile, uno scandalo che avrebbe 
potuto avere conseguenze politiche inimmaginabili.
 In questo contesto in Italia repentinamente irruppe con vigore la questione 
delle Foibe: un coro trasversale di politicanti, giornalisti e “storici” di 
dubbia serietà iniziarono a raccontare che gli italiani in Croazia erano stati 
sterminati da Tito. Ovviamente anche la Slovenia venne trascinata nella 
vicenda, ma con minor enfasi. 
 Nel dibattito politico italiano la questione delle Foibe è stata assolutamente 
marginale per circa mezzo secolo (fino agli anni ’90), salvo poi farla 
diventare di forza un tema politico centrale. Per giustificare questo cambio di 
registro venne inventata di sana pianta una fantomatica “congiura del silenzio” 
basata su argomentazioni grottesche. Infatti fino agli anni ’90 la questione 
delle Foibe era stata nota e dibattuta, ma per quello che realmente era, 
verosimilmente dandogli anche una corretta quantificazione. 
 Successivamente c’è stato un vero e proprio impazzimento collettivo, con una 
sorta di macabra gara a chi raccontava la versione più tetra: senza alcun 
riscontro, e in spregio di ogni seria ricerca storica, venivano proposte cifre 
in libertà. Particolarmente interessante è stata la risposta scatenata 
dall’apertura del dibattito sulla bontà della “ricostruzione storica”: reazioni 
feroci e isteriche. Un qualcosa di smisurato e oltremodo scomposto per quelli 
che erano ormai – dopo tanti anni – i termini della vicenda. La questione delle 
Foibe, infatti, era improvvisamente  diventato il più caldo tra tutti gli 
aspetti della Seconda Guerra Mondiale. 
 Dato che tutto ciò non era imputabile a novità di rilievo – non c’era stata 
alcuna scoperta di nuove fonti – sorse da subito il dubbio che dietro la 
questione delle Foibe ci potesse essere dell’altro, un qualcosa che tuttavia 
non si manifestava palesemente e che non si riusciva a cogliere. Ma 
soprattutto, risultava difficile credere che quel qualcosa di cui si sospettava 
l’esistenza potesse davvero essere relativo a dei fatti avvenuti negli anni 
’40. Serpeggiò insomma subito il dubbio che si potesse trattare di qualcosa di 
più recente. A tal riguardo sono state formulate diverse ipotesi, in vario modo 
collegate all’evoluzione degli assetti politici interni e internazionali di 
quegli anni o a varie forme di opportunismo e trasformismo. Sicuramente si 
tratta di letture che trovano numerosi riscontri, tuttavia non riescono ad 
essere esaustive.
 Collegando i vari eventi viene quindi da chiedersi se, da dopo gli anni ’90, 
la questione delle Foibe possa essere stata usata in Italia come “arma di 
distrazione di massa”, cioè per nascondere all’opinione pubblica un tema ben 
più attuale qual è la salvaguardia della comunità italiana in Croazia. Si è 
fatto passare il messaggio che le Foibe siano state il genocidio degli italiani 
nei Balcani. Si vuole far credere che gli italiani in quelle terre furono o 
massacrati da Tito o costretti alla fuga (con l’Esodo Giuliano Dalmata). Cioè, 
viene diffusa una narrazione da cui è completamente rimosso il fatto che, dopo 
quegli eventi, ci fosse ancora una consistente comunità italiana nei Balcani. 
 La rimozione potrebbe non essere casuale, ma collegata al fatto che negli anni 
’90, in Italia, si era deciso di svincolarsi dalla comunità italiana in Croazia 
(e di voltarle le spalle, concedendo qualche mancia come “buonuscita”). Una 
volta cambiati i termini della questione, l’Italia non era tenuta ad 
intervenire, perché per l’opinione pubblica il problema non esisteva più. 
 Spostando artificiosamente agli anni ’40 l’estinzione della comunità italiana 
in Croazia, automaticamente veniva assolto chi dagli anni ’90 in poi è stato 
complice nel segnarne il destino: il tradimento è arrivato proprio da chi si 
presentava come suo paladino.
 Ovviamente si tratta di vicende estremamente complesse, che è difficile poter 
trattare con esaustività in spazi brevi e su cui pochi sono disponibili al 
confronto. Abbiamo tutti il dovere morale d’indagare sul nostro passato (anche 
sul più recente), per rendere giustizia alla verità, alla memoria storica e 
alle vittime.
 Certamente non si possono escludere altre concause, ma l’ipotesi di lettura 
della questione delle Foibe qui esposta è particolarmente innovativa e spinosa, 
si inserisce nel più ampio dibattito sul delicato tema del Confine Orientale. 
L’importanza della vicenda non è solo nell’interesse storico o politico, si 
tratta di un qualcosa di concreto e impellente. 
 Il destino della comunità italiana in Croazia è un tema estremamente serio, 
che non può essere risolto con qualche regalia, va affrontato politicamente. Ma 
è altrettanto importante fare piena luce su tutte le vicende del Confine 
Orientale, anche qualora – sia dal passato remoto che da quello più prossimo – 
emergano verità scomode. Ora la priorità è capire se la questione delle Foibe 
venga strumentalmente utilizzata per coprire delle scelte scellerate: il 
sacrificio della comunità italiana in Croazia sull’altare dell’integrazione 
europea.

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