(english / slovenščina / italiano)

Incessante pressione italiana sul confine orientale

0) Altri link e brevi
1) Dannunzianesimo
– D'Annunzio così com'era (V. Cerceo e S. Mauri)
– How Rijeka became the world's first facist state (J. Bousfield)
– Reški župan proti spomeniku D’Annunziu (Primorski Dnevnik)
2) Il famedio nell’atrio della Questura ed i poliziotti caduti mentre 
combattevano per il Reich e non per l’Italia (di Claudia Cernigoi)


=== 0: LINK E BREVI ===

13.7.2019: 99° ROGO NARODNI DOM / 99. POŽIGA NARODNEGA DOMA
Intervento del prof. Raoul Pupo (IT):
TESTO: 
https://www.primorski.eu/trzaska/tukaj-smo-vsi-skupaj-ker-smo-antifasisti-NK297816
 
<https://www.primorski.eu/trzaska/tukaj-smo-vsi-skupaj-ker-smo-antifasisti-NK297816>
AUDIO: https://drive.google.com/file/d/17swIQ4L6J1EGGSf0XawwnUZmgawHpxgk/view 
<https://drive.google.com/file/d/17swIQ4L6J1EGGSf0XawwnUZmgawHpxgk/view>
[Traduzione in sloveno dell'intervento del prof. R. Pupo]
»Tukaj smo vsi skupaj, ker smo antifašisti«. Slavnostni govornik na spominski 
svečanosti ob 99-letnici požiga Narodnega doma je bil Raoul Pupo - Slovenski 
prevod in italijanski izvirnik celotnega besedila
TEKST: 
https://www.primorski.eu/trzaska/tukaj-smo-vsi-skupaj-ker-smo-antifasisti-NK297816
 
<https://www.primorski.eu/trzaska/tukaj-smo-vsi-skupaj-ker-smo-antifasisti-NK297816>
AUDIO: https://drive.google.com/file/d/15BxTWcguhYImykRw6k9MDd81PkN-JYKb/view 
<https://drive.google.com/file/d/15BxTWcguhYImykRw6k9MDd81PkN-JYKb/view>

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LA NARRAZIONE INTORNO ALLE ‘FOIBE’: RIFLESSIONI SU UN’AMBIGUA VERITÀ DI STATO
Registrazione della conferenza del 10 aprile 2019 (Teatro dei Fabbri - Trieste) 
sulla questione delle foibe e sull'uso politico di queste. Interventi di Angelo 
d'Orsi, Claudia Cernigoi, Alessandra Kersevan, Claudio Venza e Piero Purini 
Purich.
https://www.facebook.com/groups/161074297319325/permalink/2228859810540753/ 
<https://www.facebook.com/groups/161074297319325/permalink/2228859810540753/>
Parte 1:
Interventi di Luca Paciucci, Claudia Cernigoi [3'50''], Angelo d'Orsi [21'30'']
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=_BZghHtOOoE 
<https://www.youtube.com/watch?v=_BZghHtOOoE>
Parte 2:
Intervento di Angelo d'Orsi
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=KU1C5Oh5cGA 
<https://www.youtube.com/watch?v=KU1C5Oh5cGA>
Parte 3:
Interventi di Angelo d'Orsi, Alessandra Kersevan [9'05''], Piero Purini Purich 
[17'05''], Claudio Venza [31'40'']
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=_4zD_4kHpuw 
<https://www.youtube.com/watch?v=_4zD_4kHpuw>
Parte 4:
Interventi di Claudio Venza, Peter Behrens [11'30''], Samo Pahor [14'25''], 
Marta Ivasic [21'20'']
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=Q3f0N3Wq5Rg 
<https://www.youtube...com/watch?v=Q3f0N3Wq5Rg>

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FESTA DELLA REPUBBLICA ITALIANA "ESTESA" ANCHE AD ISTRIA, DALMAZIA E CORSICA 
(3/6/2019 16:27:18 | Radio Capodistria)
https://capodistria.rtvslo.si/news/friuli-venezia-giulia/festa-della-repubblica-italiana-estesa-anche-ad-istria-dalmazia-e-corsica/489966
 
<https://capodistria.rtvslo.si/news/friuli-venezia-giulia/festa-della-repubblica-italiana-estesa-anche-ad-istria-dalmazia-e-corsica/489966>
Come rilevato dal quotidiano sloveno di Trieste, il Primorski Dnevnik, 
l'assessore comunale di Trieste, Lorenzo Giorgi (in quota Forza Italia), ieri, 
in occasione della Festa della Repubblica italiana, sul proprio profilo 
Facebook ha pubblicato l'immagine del tricolore italiano sormontato dalla carta 
geografica dell'Italia comprensiva però anche dell'Istria, della Dalmazia e 
della Corsica... Il post è corredato dalle parole "Nulla può ritenersi concluso 
finché non è concluso con giustizia; Viva l'Italia redenta".
Tale pubblicazione riprende in parte quanto detto qualche mese fa dal 
Presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, che in occasione della 
cerimonia per il Giorno della Memoria, presso la Foiba di Basovizza esclamò 
"Viva l'Istria e la Dalmazia italiane" scatenando polemiche in Slovenia e 
Croazia. (red)



=== 1 ===

D'ANNUNZIO COSÌ COM'ERA (Flacons 2.1_, 17 lug 2019)
Vincenzo Cerceo e Sergio Mauri ragionano sulla decisione di posizionare la 
statua di Gabriele D'Annunzio, opera di Alessandro Verdi, in Piazza della Borsa 
a Trieste. Sono corretti i toni esclusivamente elogiativi con cui si parla di 
Gabriele D'Annunzio? Come letterato e uomo di cultura fu davvero grande? Può 
essere indicato in termini positivi come cittadino? Come uomo politico che 
giudizio darne? Come giudicare l'impresa di Fiume? Che rapporti ebbe col 
fascismo?
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=89fX17sOREk 
<https://www.youtube.com/watch?v=89fX17sOREk>

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https://ilmanifesto.it/vogliono-fare-di-trieste-la-capitale-del-revisionismo-storico/
 
<https://ilmanifesto.it/vogliono-fare-di-trieste-la-capitale-del-revisionismo-storico/>

Vogliono fare di Trieste la capitale del revisionismo storico

Mostra su D’Annunzio e statua al «vate» per Fiume a settembre, decisa dalla 
giunta Lega-Fi (per 382 mila euro). E oggi l’estrema destra «rivendica» 
l’incendio del Narodni Dom

di Angelo d'Orsi, su Il Manifesto del 13.07.2019

Nel proliferare di segni di ideologie e pratiche che un po’ all’ingrosso 
possiamo etichettare come «fascismo», quanto sta accadendo sul «fronte 
orientale», in particolare nella sua capitale, Trieste, ha assunto in 
quest’anno, centenario della fondazione dei Fasci di Combattimento, caratteri 
inquietanti.

Il «giorno del ricordo» del febbraio scorso, con le grottesche dichiarazioni a 
Basovizza di Tajani, allora presidente del Parlamento Europeo, concluse con 
l’invocazione di Istria e Dalmazia «italiane» (arrivando al limite 
dell’incidente diplomatico con Slovenia e Croazia), e il fuoco di fila della 
destra, locale e nazionale, nell’imbarazzato silenzio della storiografia e 
della cultura triestina, con poche lodevolissime eccezioni. La destra giunta 
recentemente al governo di città e regione, ha cominciato da allora ad 
accelerare in un percorso di sfacciato revisionismo, che nelle ultime settimane 
sta giungendo a forme estreme, di autentico «rovescismo».

IL PUNTO d’arrivo è l’inaugurazione, avvenuta ieri, di una mostra su D’Annunzio 
e Fiume, con un intervento cabarettistico spacciato come «lectio magistralis» 
del curatore, Giordano Bruno Guerri, accreditato come storico (ovviamente 
revisionista) oltre che opinionista su media amici; tutte credenziali che lo 
hanno portato alla presidenza della Fondazione Il Vittoriale di Gardone 
Riviera, la sontuosa e mortifera villa in cui D’Annunzio soggiornò per quasi un 
ventennio, mantenuto da Mussolini. Il Vittoriale promuove la mostra, la quale 
fin dal titolo («Disobbedisco. La rivoluzione di D’Annunzio a Fiume»), che è lo 
stesso del libro di Guerri su D’Annunzio, dà una precisa interpretazione del 
«poeta-vate» qualificato come (assai improbabile) «disobbediente» all’insegna 
di una tentata separazione, e contrapposizione tra D’Annunzio e il fascismo, 
mentre l’occupazione di Fiume è spacciata come «rivoluzione».

LE BISLACCHE «tesi» di Guerri sono state rilanciate dall’Amministrazione 
comunale (Lega/Forza Italia). Ecco che cosa dichiara il sindaco Di Piazza: 
l’episodio di Fiume «merita di ritrovare la giusta collocazione attraverso un 
racconto corretto, chiaro e libero da fantasmi propagandistici che ne hanno 
alterato il contenuto e la portata». Oltre alla mostra, ad abundantiam, si è 
deliberata la realizzazione di un monumento al «Vate», che dovrebbe essere 
inaugurato per la ricorrenza del centenario dell’impresa fiumana, il 12 
settembre. Il tutto per la modica cifra di 382 mila euro.

Le proteste di associazioni democratiche e antifasciste locali (il Circolo 
Modotti e il gruppo Resistenza Storica, in testa) e il loro appello con 
numerose firme di studiosi, non sono valse a fermare la decisione, su cui ci 
sono stati equivoci, nei quali, per esempio, è caduto anche un triestino 
eccellente, Claudio Magris, che sul Corriere, sbagliando obiettivo, ha difeso 
la statua, ritenendo che la mobilitazione contraria abbia colpito un letterato: 
e invece no, qui non si intende celebrare l’autore del Piacere o del Trionfo 
della morte, bensì un attore politico, che dopo essere stato il più sguaiato 
promotore delle campagne nazionaliste e imperialiste (la Libia, la Grande 
guerra, la «Vittoria mutilata»…), e aver fatto da sponda a Benito Mussolini, fu 
protagonista, con complicità militari, della «gesta», l’occupazione di Fiume, e 
la creazione di un effimero Stato.

DA ANNI una corrente mediatico-storiografica presenta Fiume come un luogo di 
libertà, che anticipò addirittura i movimenti degli anni Sessanta. Fiume fu 
invece la prova generale della Marcia su Roma, specie nel momento in cui la 
componente nazionalista ebbe il sopravvento su quelle anarco-libertarie 
presenti inizialmente. Lo ribadisce il sindaco di Rijeka (Fiume), Vojko 
Obersnel, che annuncia passi ufficiali con le autorità italiane, scrivendo tra 
l’altro: «Le iniziative che festeggiano l’occupazione delle terre degli altri, 
sono in opposizione con la politica europea, che, come una delle proprie basi, 
ha l’antifascismo».

NON È FINITA. In aggiunta a mostra e monumento, oggi si tiene a Trieste 
un’altra preoccupante iniziativa che ricorda i fatti del 13 luglio 1920, quando 
i nazionalfascisti italiani assaltarono e distrussero l’Hotel Balkan, sede del 
Narodni Dom, la «Casa nazionale» degli slavi (con biblioteca, teatro, sale di 
incontro…). Fu il primo atto organizzato dello squadrismo in grande stile, dopo 
l’assalto all’Avanti! a Milano del 15 aprile 1919, con identica conclusione: le 
fiamme, gli omicidi, l’impunità straordinariamente raccontate dallo 
sloveno-italiano Boris Pahor. Ebbene, gruppi revanscisti hanno organizzato una 
“conferenza” che nel testo d’invito è un esempio spudorato di rovesciamento 
della verità storica. In esso si additano “gli jugoslavisti” come responsabili 
dell’incendio e delle morti. E proprio oggi il presidente sloveno Borut Pahor 
sarà a Trieste a commemorare l’eccidio del Narodni Dom del 13 luglio 1920 per 
mano dei fascisti. Erano anni che il rovescismo non toccava questi abissi. La 
Trieste (e l’Italia) intellettuale, democratica e multietnica, lo può tollerare?


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Fonte: pagina FB di V. Vetoni
https://www.facebook.com/groups/57042862272/permalink/10156083950087273/ 
<https://www.facebook.com/groups/57042862272/permalink/10156083950087273/>

Come #Fiume è diventato il primo stato fascista al mondo
"D'Annunzio in particolare fece a pezzi il tessuto cosmopolita della città, 
mettendo gli italiani e i croati l'uno contro l'altro e gettando le basi per 
ulteriori rotture nella seconda guerra mondiale. (...) I croati locali hanno 
subito continue intimidazioni. I seguaci di D'Annunzio proclamarono la pena di 
morte per chiunque non fosse fedele alla "causa di Fiume", causando la partenza 
dei più importanti croati. Gli uffici del quotidiano croato Primorske Novine 
furono fatti a pezzi. La società croata si raggruppò nel sobborgo di Sušak, 
appena a sud del centro: il fiume Riječina divenne un nuovo confine, tagliando 
la città in due. Per D'Annunzio, i croati erano semplicemente un popolo 
culturalmente inferiore a cui mancava la storia, e quindi non avevano alcun 
diritto reale di governare sulle rive orientali dell'Adriatico."

https://www.timeout.com/croatia/things-to-do/how-rijeka-became-the-worlds-first-facist-state
 
<https://www.timeout.com/croatia/things-to-do/how-rijeka-became-the-worlds-first-facist-state>

How Rijeka became the world's first facist state

Jonathan Bousfield looks at how Italian poet Gabriele D’Annunzio turned Rijeka 
into his own political stage.

By Jonathan Bousfield

Rijeka’s most prominent anniversary of 2019 is also one of the most difficult 
to handle. September 12 will see the centenary of the entry into the city of 
Gabriele D’Annunzio, the Italian poet, aviator and nationalist ideologue whose 
17-month reign over the city provided Italian Fascism with much of its 
inspiration.

Present-day Rijeka’s reputation as the most open and tolerant of Croatia’s 
cities is a tradition sustained, to a certain extent, by memories of the human 
tragedies that have rent the city in the past. D’Annunzio’s escapade in 
particular tore the city’s cosmopolitan fabric apart, setting Italians and 
Croats against each other and laying the foundations for further ruptures in 
World War II. Given such a traumatic twentieth century, it’s not surprising 
that the anti-fascist spirit of today’s Rijeka is regarded a something to be 
celebrated.

D’Annunzio himself was more famous as an aesthete and playboy until World War I 
turned him into a man of action. He campaigned vigorously for Italy’s entry 
into the conflict on the side of the Entente (France, great Britain and 
Russia), and found something of a new vocation as the tub-thumping nationalist 
orator who could hypnotize a willing crowd.  Having volunteered for the 
services at the age of 52 and taken part in several daring airborne and naval 
missions, D’Annunzio became a talismanic figure for nationalist Italians once 
the war ended.

Even though the city of Rijeka, or Fiume in Italian, had never been promised to 
Italy in the secret treaties signed with the Entente powers, the city became a 
tantalizing symbol of unfulfilled national destiny for an Italian public 
exhausted by over three years of war.

The city was a typically mixed-up product of the Habsburg Empire (to which it 
had belonged ever since the fifteenth century), boasting a largely 
Italian-speaking city centre, Croatian-speaking suburbs, and substantial 
numbers of German- and Hungarian-speaking businessmen and bureaucrats.

The question of national identity was made more complex by the collapse of the 
Habsburg Empire in 1918, when Rijeka was earmarked for inclusion in the nascent 
Kingdom of Serbs, Croats and Slovenes (subsequently Yugoslavia). Rijeka’s 
Italian-speakers rose up in an attempt to prevent the Yugoslavs from taking 
control. Entente peacekeepers occupied the city, pending the deliberations of 
the international peace conference convened at Versailles in January 1919. 
Fearing that the conference would definitively award the city to the Yugoslavs, 
however, Italian nationalists within the city began to plan a takeover that 
would present the international community with a fait accompli. They needed a 
figurehead, and the flamboyant D’Annunzio seemed to fit the bill.

D’Annunzio drove into the city on September 12 1919 at the head of 300 
volunteers. He was greeted with jubilation by Italian sections of the populace, 
and a mixture of bemusement and fear by everyone else.   D’Annunzio immediately 
declared Rijeka’s union with Italy. The Italian government in Rome disowned 
such a union, fearful of the radical energies that D’Annunzio seemed to embody.

For D’Annunzio and his followers, the Rijeka enterprise was the first step in 
an anti-parliamentary revolution that would sweep through Italy itself. 
Post-war Italy was in deep crisis, troubled by left-wing strikes and right-wing 
calls for order... Soldiers returning from the front felt that they had risked 
their lives for a corrupt parliamentary elite that was incapable of addressing 
the country’s problems. Calls for authoritarian leadership were widespread – 
D’Annunzio seemed to be the personification of these desires.

Thousands of people flocked to Rijeka to be at his side. Most of them were war 
veterans or deserting soldiers (the average age was 22 and a half), keen to 
share the excitement of what seemed like a patriotic revolution. Others were 
political tourists of a rather disturbing kind.  Both Futurist poet F. T. 
Marinetti and Fascist leader Benito Mussolini beat a path to Rijeka in autumn 
1919, eager to discover just how soon D’Annunzio planned to export his uprising 
to Italy proper. Both left disappointed: D’Annunzio was wary of collaborating 
with people whose political ideas seemed even more marginal and preposterous 
than his own

As we now know it was Mussolini, not D’Annunzio, who took control of Italy 
three years later. Indeed Mussolini ended up stealing most of D’Annunzio’ 
ideas. The aesthetics of Italian Fascism were taken directly from the poet’s 
short-lived regime in Rijeka. D’Annunzio’s love of uniforms, parades, and 
set-piece speeches proved that radical right-wing politics worked far better as 
a spectacle with audience participation than a string of manifestoes.

The idea that D’Annunzio’s Rijeka was a radical social experiment as well as a 
political uprising played well in the popular imagination. Futurist and 
war-veteran Mario Carli called D’Annunzio’s Rijeka a “work of art”, a living 
example of “futurist theatre”.  The city had a racy reputation; it offered free 
love, freedom from bourgeois constraints, and a (more legendary than real) 
supply of cheap cocaine.

Judging by the memoirs of Giovanni Comisso, a war veteran and writer who was 
also bisexual, the city was full of intellectual encounters, outlandish 
personalities and erotic possibilities. Together with Guido Keller, a dashing 
pilot who kept an eagle as a pet, Comisso established Yoga, an absurdist 
avant-garde movement that floated all kinds of utopian ideas.

“Immorality both natural and unnatural was rife” was how Rijeka resident and 
chronicler J. N. MacDonald described the new social climate. “Modesty compels 
me to draw a veil over much of the depravity which accompanied the poet’s 
regime”.

Subsequent historians have paid too much attention to the cult of D’Annunzio, 
the cocaine-snorting, bed-hopping egomaniac who never really cared much for 
Rjieka and simply saw it as a platform for his own fame. The freewheeling 
society he presided over has been over-romantically portrayed as a 
17-month-long fiesta, an art performance in the tradition of the Italian 
avant-garde, or an anarchic exercise in anti-globalist protest, with D’Annunzio 
the jolly pirate giving the finger to the liberal elite.

In fact the whole escapade is a warning about the dangers of populism, and the 
way in which libertarians of both left and right so often end up donning a 
uniform and joining someone else’s parade. The D’Annunzio administration was a 
revolving door for ideological oddballs, kept in power by the large number of 
young men roaming the streets, people who could always be relied upon to cheer 
the loudest whenever the leader staged a rally.

December 1919 saw Rijeka’s citizens vote for a compromise solution that would 
have secured Rijeka’s independence as a free city and the departure of 
D’Annunzio and his followers at the same time. A shocked D’Annunzio annulled 
the vote, and organized an open-air ‘plebiscite’ of his own supporters to 
legitimize the continuation of his rule.

Local Croats suffered constant intimidation. D’Annunzio’s followers proclaimed 
the death penalty for anyone disloyal to the “cause of Fiume”, causing most 
prominent Croats to leave. The offices of Croatian newspaper Primorske Novine 
were smashed up. Croatian society regrouped in the suburb of Sušak, just south 
of the centre: the Riječina river became a new border, cutting the city in two.

For D’Annunzio, the Croats were simply a culturally inferior people who lacked 
history, and therefore had no real right to rule over the eastern shores of the 
Adriatic.  He also professed the lazy anti-Semitism of the salon radical, 
calling the recently-formed League of Nations an institution created to 
“further the interests of international banking Jews”.  The idea that Italian 
nationalism defined itself through disdain for others was typically 
D’Annunzian, and typically Fascist.

D’Annunzio’s rule over Rijeka collapsed towards the end of 1920, more as a 
result of internal apathy than the Italian army’s half-hearted attempt at a 
blockade. The Italian navy bombarded the city during the so-called Bloody 
Christmas of 1920, and D’Annunzio agreed to leave peacefully two weeks later. 
Rijeka was designated a “free city” before being swallowed by Fascist Italy in 
1924. D’Annunzio himself retired to Lake Garda, half-hoping that the people of 
Italy would summon him to power when the time was right. The invitation never 
came.

However the D’Annunzio playbook never seems to go out of fashion. Marching into 
disputed territory on the pretense of defending the local population; using 
coup tactics in order to pre-empt peaceful negotiations; manipulating 
plebiscites to make it look as if extreme courses of action have a democratic 
mandate; the use of extravagant behavior to signal contempt for the 
“establishment”; calling out the falsehoods of liberal democracy in order to 
construct even bigger lies; all of these are as familiar today as they were to 
the Europeans of the inter-war years.

Maybe we are only now entering the truly D’Annunzian times: politicians flout 
notoriety and shamelessness as a way of building popular support, manipulative 
half-truths are applauded more heartily than complicated explanations, and the 
megaphone of social media makes mob orators of us all.

Rijeka will mark the centenary with a D’Annunzio-themed exhibition at the 
Museum of Maritime History. The display will devote specific attention to the 
female half of Rijeka’s population - the women who supported, opposed, or 
simply endured the D’Annunzio period – thereby moving the narrative away from 
the self-styled men of destiny who stood at D’Annunzio’s side and wrote memoirs 
about it afterwards. Presenting D’Annunzio’s legacy in a museum will be one way 
of teasing out the true nature of his short-lived regime, and discarding the 
myths.

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https://www.primorski.eu/trzaska/reski-zupan-proti-spomeniku-d-annunziu-YK297515
 
<https://www.primorski.eu/trzaska/reski-zupan-proti-spomeniku-d-annunziu-YK297515>

Reški župan proti spomeniku D’Annunziu

Vojko Obersnel podpira prizadevanja skupine Resistenza Storica

ANTIFAŠIZEM | SPLETNO UREDNIŠTVO | TRST | 13. jul. 2019 | 7:38

Reški župan Vojko Obersnel popolnoma podpira manifest skupine Resistenza 
Storica iz Trsta, Vidma in Ronk proti postavitvi spomenika Gabrieleju 
D’Annunziu na Borznem trgu v Trstu. To poudarja v pismu članom skupine Claudii 
Cernigoi, Alessandri Kersevan in Marcu Baroneju, s katerim je odgovoril na 
pismo, ki ga je skupina Resistenza Storica naslovila na nekatere institucije s 
prošnjo, naj ne priznajo postavitve spomenika in to v imenu miru med narodi, 
spoštovanja narodnih skupnosti ter spričo znanega D’Annunziovega 
protislovanstva.
Tudi sam župan Obersnel ostro nasprotuje postavitvi spomenika D’Annunziu, pri 
čemer omenja ravno zasedbo Reke. »On sam je bil predhodnik fašizma in je 
navdihnil Benita Mussolinija, ki je potem sam zelo voljno sprejel Hitlerjevo 
ideologijo in se je pridružil krvavim misijam v drugi svetovni vojni,« opozarja 
župan v pismu, kjer dodaja, da je prav po D’Annunziovi krivdi Reka »med prvimi 
okusila smrtno roko fašizma.« Obersnel D’Annunzia označuje za »napadalca in 
tirana«, postavitev spomenika, posvečenega zasedbi Reke, pa bi bila absolutno 
sramotna in nevarna stvar. »Hrvaška obala in Reka sta hrvaški, branili in 
osvobodili so ju partizani v drugi svetovni vojni, prav tako, kot je bil 
osvobojen Trst. Spomeniki D’Annunziu, praznovanja in politični populizem, ki 
popušča najbolj nizkotnim nagonom, tega ne bodo spremenili. Če obstaja namen 
postavitve nekega spomenika, ga je torej treba postaviti partizanskim četam, ki 
so osvobodile Trst,« zelo odločno piše reški župan, ki pričakuje odziv hrvaške 
vlade, sam pa je napovedal, da bo obvestil hrvaški konzulat v Trstu in 
tržaškega župana Roberta Dipiazzo.


=== 2 ===

https://www.facebook.com/notes/claudia-cernigoi/il-famedio-nellatrio-della-questura-ed-i-poliziotti-caduti-mentre-combattevano-p/352523365464344/
 
<https://www.facebook.com/notes/claudia-cernigoi/il-famedio-nellatrio-della-questura-ed-i-poliziotti-caduti-mentre-combattevano-p/352523365464344/>

IL FAMEDIO NELL’ATRIO DELLA QUESTURA ED I POLIZIOTTI CADUTI MENTRE COMBATTEVANO 
PER IL REICH E NON PER L’ITALIA

di CLAUDIA CERNIGOI
Giovedì 13 Giugno 2019

Nell’atrio della Questura di Trieste c’è una lapide che riporta i nomi degli 
agenti di PS caduti “nell’adempimento del loro dovere”. Vi sono un centinaio di 
nomi, dalla Guardia Regia Giovanni Giuffrida, morto nel 1920, a Eddie Walter 
Cosina, ucciso nell’attentato al giudice Borsellino nel 1992, fino 
all’ispettore Vitulli morto in una sparatoria con un pregiudicato nel 1999.  
Ogni 12 giugno, per “celebrare” l’abbandono di Trieste da parte delle truppe 
jugoslave, le autorità cittadine si recano a rendere omaggio anche a questi 
nominativi (nella foto sotto, tratta dalla pagina FB dell’assessore leghista 
Pierpaolo Roberti, un momento della cerimonia di quest’anno).

Nel novembre 1996, quando avevo iniziato a scrivere il mio primo libro sulle 
foibe triestine, mi era capitato un curioso “incidente”. Un giorno mi fermai a 
trascrivere i nomi sulla lapide, ed ero arrivata più o meno al settimo quando 
fui interrotta dal piantone, che mi disse, peraltro molto cortesemente, che non 
potevo copiare i nomi, e, alla mia richiesta di motivazione, dopo alcune 
telefonate a vari uffici, mi fu risposto che dovevo fare una richiesta scritta 
al questore.
Naturalmente presentai la domanda, e dopo qualche giorno fui indirizzata alla 
DIGOS, dove il responsabile, dottor Carocci, mi disse che avrei dovuto parlare 
direttamente col questore, il dottor Lorenzo Cernetig [1] 
<https://www.facebook.com/pg/Claudia-Cernigoi-154067661976583/notes/?ref=page_internal#_ftn1>,
 che mi ha spiegato di essere anche lui appassionato di ricerche storiche, 
infatti quand’era questore a Como prima di venire a Trieste aveva fatto delle 
indagini sui posti dove poteva essersi nascosto Mussolini mentre cercava di 
scappare e che a Trieste invece aveva iniziato a studiare i vari libri che 
parlano di “infoibati” ed aveva iniziato a mettere in computer i vari nomi per 
fare i controlli incrociati. Poi si è informato sul tipo di ricerche che 
intendevo condurre io, così gli ho detto che stavo controllando gli elenchi dei 
deportati e scomparsi per trovare una volta per tutte quanti fossero 
effettivamente gli scomparsi da Trieste nel maggio ‘45 e che volevo copiare i 
nomi dei caduti di PS per fare degli ulteriori controlli sugli scomparsi.
A questo punto il dottor Cernetig mi ha spiegato il problema inerente alla 
lapide.
- Vede, il fatto è che su quella lapide ci sono anche dei nomi sbagliati. Io ho 
scritto al Ministero che bisogna togliere quel nome, però, lei mi capisce, 
questa non è casa mia e quindi io non posso cancellare un nome da quella lapide 
se non ho l’autorizzazione del Ministero.
Il nome da togliere, mi disse il Questore, era quello di Giovanni Codeglia. E 
sentiamo il racconto di Meri Merlach, arrestata durante il rastrellamento di 
Longera del 21/3/45 (operato dall’Ispettorato Speciale di PS, la famigerata 
“banda Collotti” dal nome del commissario Gaetano Collotti che ne era al 
comando), che ricorda che uno dei suoi aguzzini nella sede dell’Ispettorato di 
via Cologna, visto che dopo ore di tortura la ragazza non parlava, le si 
rivolse con queste parole: “Brutta puttana, la batti ma no la parla!” [2] 
<https://www.facebook.com/pg/Claudia-Cernigoi-154067661976583/notes/?ref=page_internal#_ftn2>.
 Si trattava proprio di Codeglia, e Meri ha aggiunto: < il suo nome era 
nell’elenco della Questura come morto in una foiba. Invece nel 1964 ero andata 
al mercato del Ponterosso per ordinare i fiori per il mio matrimonio, e me lo 
sono trovato davanti, aveva una baracca dove vendeva portafogli. Come l’ho 
visto sono svenuta; ma lui ha continuato per anni a vendere portafogli in 
Ponterosso > [3] 
<https://www.facebook.com/pg/Claudia-Cernigoi-154067661976583/notes/?ref=page_internal#_ftn3>.
Anche altre donne riconobbero in quel venditore ambulante il Giovanni Bruno 
Codeglia che le aveva torturate e che molti credevano fosse stato ucciso nei 
“quaranta giorni”, difatti il suo nome, che viene riportato come “scomparso” in 
vari libri [4] 
<https://www.facebook.com/pg/Claudia-Cernigoi-154067661976583/notes/?ref=page_internal#_ftn4>,
 appariva anche sulla famosa lapide.
Leggiamo un articolo del “Lavoratore” del 18/2/47, dal titolo “Posti vacanti 
alla Corte Straordinaria d’Assise. Bruno Codelia (sic) agente modello 
fedelissimo di Collotti a Villa Triste”: < Fra i feroci criminali che non 
siedono sul banco degli imputati nel processo contro Gueli e i manigoldi di 
“Villa Triste” o perché latitanti ma in condizioni da poter essere 
efficacemente patrocinati dai “principi” del foro triestino e di altre città, o 
perché prosciolti in istruttoria, o, infine, perché “non sono emersi elementi 
di colpa a loro carico” figura anche Codelia (…) >.
Teste chiave contro Codeglia era la signora Roberta Susek, che abitava nello 
stesso stabile dell’agente e che fu arrestata il 30/10/44. Dopo averle 
depredato la casa, Codeglia ed altri la torturarono per estorcerle una 
confessione che la fece finire a Ravensbrück, dove rimase fino al maggio 
successivo. Era la moglie del dirigente comunista Alfredo Valdemarin, arrestato 
il 6 dicembre su denuncia di Codeglia, portato in Risiera ed ucciso tredici 
giorni dopo.
Samo Pahor ha inoltre raccolto la testimonianza di una signora che era stata 
torturata da Codeglia, il quale nel dopoguerra era venuto ad abitare nel suo 
stesso palazzo. La donna aveva preferito traslocare lei piuttosto che 
denunciare Codeglia, perché non voleva rivangare ricordi dolorosi.
Codeglia perse la vita nel 1984, in un incidente stradale nei pressi di 
Matteria, in Istria. In anni più recenti qualcuno [5] 
<https://www.facebook.com/pg/Claudia-Cernigoi-154067661976583/notes/?ref=page_internal#_ftn5>aveva
 scritto al Questore per far togliere il nome di Codeglia dalla lapide, visto 
che, a parte ogni altra considerazione, il “collottiano” non era neppure morto 
in servizio, ma la cosa era rimasta in sospeso finché non era arrivato a 
Trieste il dottor Cernetig, che aveva richiesto al Ministero l’autorizzazione a 
rimuovere il nome di Codeglia. All’epoca del nostro colloquio non aveva però 
ancora ricevuto risposta; qualche mese dopo l’autorizzazione arrivò ed il nome 
fu tolto, ma allora il dottor Cernetig era già stato trasferito a Venezia.
Dei nomi che appaiono sulla lapide, risultano essere stati nei ranghi 
dell’Ispettorato Speciale i seguenti: Binetti Corrado, Boato Argante, 
Bottiglieri Domenico, Braccini Augusto, Camminiti Santo, De Simone Mario, Fabaz 
Aurelio, Fabian Mario (l’unico “infoibato” a Basovizza, condannato a morte da 
un tribunale militare jugoslavo perché torturatore di civili), Giuffrida 
Francesco, Greco Matteo (“infoibato” nell’Abisso Plutone da criminali comuni 
infiltratisi nella Guardia del Popolo), Grieco Pasquale, Leban Vittorio, Milano 
Gaetano, Minetti Giuseppe, Nelli Lanciotto, Nolfo Aldo Antonio, Picozza Antonio 
(vedi la nota su Greco), Pisciotta Salvatore, Pisetta Luigi, Runce Giuseppe 
(sulla lapide c’è anche un Runer Giuseppe, che Luigi Papo sostiene essere 
un’errata trascrizione di Runce [6] 
<https://www.facebook.com/pg/Claudia-Cernigoi-154067661976583/notes/?ref=page_internal#_ftn6>),
 Sangiorgi Leopoldo, Santini Bruno, Santini Mario, Scimone Francesco, Scionti 
Giuseppe, Sfregola Cosimo Damiano, Tomicich Giorgio, Vescera Vincenzo [7] 
<https://www.facebook.com/pg/Claudia-Cernigoi-154067661976583/notes/?ref=page_internal#_ftn7>.
 Inoltre sulla lapide c’è anche Alessandro Nicola, che sarebbe stato ucciso a 
Carbonera assieme a Collotti (il cui nome, deo gratias, non compare), del quale 
però non abbiamo trovato riscontro nell’elenco curato dall’IFSML [8] 
<https://www.facebook.com/pg/Claudia-Cernigoi-154067661976583/notes/?ref=page_internal#_ftn8>.
Un particolare curioso che aveva colpito anche il dottor Cernetig, era che 
sulla lapide la data di morte per una novantina di nomi risulta essere sempre 
la stessa: 1° maggio 1945. In realtà i poliziotti arrestati, uccisi o scomparsi 
nel periodo di amministrazione jugoslava non sono tutti morti il 1° maggio, di 
molti di essi è nota un’altra data di morte (ufficiale o presunta). 
Ciononostante nella lapide si è scelto di usare questa data convenzionale, 
probabilmente derivante dalla data di “irreperibilità” che compare negli 
elenchi del Ministero citati in una nota precedente.
Il problema di fondo, a mio parere è però (ed a questo punto lancio un appello 
alle autorità competenti) che i nomi dei “collottiani” andrebbero tolti tutti 
dalla lapide; non tanto per il fatto che dei torturatori non dovrebbero avere 
diritto ad un ricordo ufficiale (non conosciamo le responsabilità singole di 
ciascuno), quanto perché tutti costoro avevano servito non lo Stato italiano 
legittimo, ma il governo fantoccio e golpista di Salò, agli ordini degli 
occupatori nazisti: quindi non sono caduti, come recita l’iscrizione, 
“nell’adempimento del loro dovere”. Questo anche considerando che nello stesso 
edificio c’è l’elenco dei questori che ricoprirono la carica a Trieste, ed in 
questo elenco mancano tutti i nomi di coloro che furono questori di Trieste tra 
il 16/10/44 ed il 30/4/45, indicati come “carica tenuta da funzionari politici” 
e dal 1/7/45 al 25/10/54 perché nominati dalla “polizia civile della Venezia 
Giulia alle dipendenze del Governo militare alleato”.
(adattamento da C. Cernigoi, “La Banda Collotti”, KappaVu 2013.
NOTE.
1] 
<https://www.facebook.com/pg/Claudia-Cernigoi-154067661976583/notes/?ref=page_internal#_ftnref1>
 Colgo qui l’occasione per ringraziare il dottor Luca Carocci e per ricordare 
il dottor Cernetig, purtroppo prematuramente scomparso, per la disponibilità 
dimostratami.
[2] 
<https://www.facebook.com/pg/Claudia-Cernigoi-154067661976583/notes/?ref=page_internal#_ftnref2>
 Intervista raccolta da Jagoda Kjuder sul “Primorski Dnevnik” del 16/10/10.
[3] 
<https://www.facebook.com/pg/Claudia-Cernigoi-154067661976583/notes/?ref=page_internal#_ftnref3>
 Testimonianza di Meri Merlach, 2/12/10.
[4] 
<https://www.facebook.com/pg/Claudia-Cernigoi-154067661976583/notes/?ref=page_internal#_ftnref4>
 Bartoli, La Perna, Pirina… va dato atto a Luigi Papo che nel suo “Albo d’Oro” 
(p. 609) lo mette come “irreperibile dal 1/5/45”, cosa effettivamente vera, in 
quanto Codeglia si era nascosto rendendosi irreperibile, come molti altri che, 
a causa di quello che avevano fatto, temevano di essere arrestati dai 
partigiani. In un libro curato dallo pseudoricercatore nonché mancato golpista 
Marco Pirina sono stati pubblicati due documenti del Ministero degli Interni 
(non datati) riprodotti anastaticamente: il primo elenco comprende un elenco di 
58 nomi di personale di PS “infoibato ed ucciso da elementi partigiani 
slavocomunisti”, il secondo 317 nomi di personale di PS dichiarato 
“irreperibile”, per la maggior parte nel maggio ‘45 (cfr.  “Adria Storia 1”, 
ed. Silentes loquimur, 1993 ).
[5] 
<https://www.facebook.com/pg/Claudia-Cernigoi-154067661976583/notes/?ref=page_internal#_ftnref5>
 Primož Sancin, di Dolina.
[6] 
<https://www.facebook.com/pg/Claudia-Cernigoi-154067661976583/notes/?ref=page_internal#_ftnref6>
 “Albo d’oro”, Trieste 1995, p. 613.
[7] 
<https://www.facebook.com/pg/Claudia-Cernigoi-154067661976583/notes/?ref=page_internal#_ftnref7>
 L’appartenenza all’Ispettorato di questi nominativi risulta da vari elenchi 
conservati sia presso l’IRSMLT (busta XIII) che presso l’OZZ (NOB 24 e archivio 
Bubnič), sia nell’Arhiv Slovenije (AS 1584, zks, ae 418).
[8] 
<https://www.facebook.com/pg/Claudia-Cernigoi-154067661976583/notes/?ref=page_internal#_ftnref8>
 “Caduti, dispersi e vittime civili dei comuni della regione Friuli-Venezia 
Giulia nella seconda guerra mondiale”, a cura dell’Istituto Friulano per la 
Storia del Movimento di Liberazione, Udine 1990, 1991 .


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