(deutsch / italiano)

Anschluss, trent'anni dopo

1) “Anschluss. L’annessione. L’unificazione della Germania e il futuro 
dell’Europa”:
Intervista a Vladimiro Giacché in occasione dell'uscita della seconda edizione 
del suo libro
2) Modell Genickbruch (Vladimiro Giacché)
3) Il lascito di Margot Honecker alle nuove generazioni di comunisti (Paolo 
Spena)


Vedi anche:

''UNIFICAZIONE GERMANIA UN DISASTRO, EURO STESSA SCIAGURA. NO ALLE AUTONOMIE 
DIFFERENZIATE" (31 ott 2019, abruzzowebtv, a cura di Roberto Santilli)
Intervista di AbruzzoWeb.it a Vladimiro Giacchè, direttore del Centro Europa 
ricerche (Cer), sulla nuova edizione del libro "Anschluss. L'annessione. 
L'unificazione della Germania e il futuro dell'Europa" (Diarkos edizioni).
AUDIO: https://youtu.be/ML_zYCP9OZg <https://youtu.be/ML_zYCP9OZg>

ZURÜCK IN DIE KNECHTSCHAFT / 40 ANNI DI RDT, 25 ANNI DOPO (Vladimiro Giacché, 
jW 6/10/2014)
http://www.cnj.it/home/it/informazione/jugoinfo/8082-8120-40-anni-di-rdt-25-anni-dopo.html
 
<http://www.cnj.it/home/it/informazione/jugoinfo/8082-8120-40-anni-di-rdt-25-anni-dopo.html>

WIE HORST KÖHLER UND THILO SARRAZIN DEN DDR-ANSCHLUSS AUSBRÜTETEN (junge Welt, 
26.09.2014)
Der Hamburger Publizist Otto Köhler veröffentlichte 2011 im Verlag Das Neue 
Berlin eine Neuauflage seines 1994 erschienenen Buches »Die große Enteignung. 
Wie die Treuhand eine Volkswirtschaft liquidierte«. Das hinzugefügte erste 
Kapitel befaßt sich mit dem Anteil Horst Köhlers, 1990 Staatssekretär im Bonner 
Finanzministerium, und seines Fachreferenten Thilo Sarrazin am Entwurf der 
Währungsunion mit der DDR. Ein Auszug
http://www.jungewelt.de/2014/09-26/053.php 
<http://www.jungewelt.de/2014/09-26/053.php>


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https://www.letture.org/anschluss-l-annessione-l-unificazione-della-germania-e-il-futuro-dell-europa-vladimiro-giacche/
 
<https://www.letture.org/anschluss-l-annessione-l-unificazione-della-germania-e-il-futuro-dell-europa-vladimiro-giacche/>
http://www.marx21.it/index.php/storia-teoria-e-scienza/marxismo/30103-anschluss-lannessione-lunificazione-della-germania-eil-futuro-delleuropa
 
<http://www.marx21.it/index.php/storia-teoria-e-scienza/marxismo/30103-anschluss-lannessione-lunificazione-della-germania-eil-futuro-delleuropa>

“Anschluss. L’annessione. L’unificazione della Germania e il futuro 
dell’Europa” di Vladimiro Giacché

7 Novembre 2019
da letture.org 
<https://www.letture.org/anschluss-l-annessione-l-unificazione-della-germania-e-il-futuro-dell-europa-vladimiro-giacche/>

 
<https://www.letture.org/anschluss-l-annessione-l-unificazione-della-germania-e-il-futuro-dell-europa-vladimiro-giacche/?fbclid=IwAR02_uxXNTEPqZ68oVUG-YfSc00wuHyzl9RUGerO6Qo08RCe4YSZxSqkPWo>Dott.
 Vladimiro Giacché, Lei è autore del libro Anschluss. L’annessione. 
L’unificazione della Germania e il futuro dell’Europa edito da Diarkos: a 
trent’anni dal crollo del Muro di Berlino, la riunificazione tra le due parti 
della Germania può dirsi compiuta?

No. Sussistono tuttora marcate differenze sotto il profilo economico e sociale: 
basti pensare che un lavoratore dell’Est riceve uno stipendio pari a poco più 
dell’80 per cento di un lavoratore dell’Ovest e che la disoccupazione è tuttora 
superiore del 50 per cento a quella dell’Ovest, nonostante un’emigrazione che 
ha interessato milioni di cittadini della ex Germania Est. Molte città e paesi, 
soprattutto nelle aree rurali, si sono spopolati. Una ricerca dell’istituto di 
ricerca tedesco Ifo uscita nel luglio scorso ha reso noto che, mentre la parte 
occidentale della Germania ha oggi più abitanti di quanti ne abbia mai avuti, 
la parte orientale è tornata ad avere gli abitanti che aveva nel 1905. Queste 
differenze si riflettono anche in un voto molto differente da quello espresso 
nei Länder dell’Ovest, e che penalizza in particolare i partiti di governo.

Ancora di recente un sondaggio ha evidenziato che i cittadini dell’Est si 
sentono cittadini di serie B. È difficile dar loro torto. Ma soprattutto, col 
passare del tempo, è sempre più difficile addebitare quelle differenze a 
“quello che c’era prima”. Non soltanto perché dalla caduta del Muro sono ormai 
passati 30 anni, e perché Kohl aveva promesso “paesaggi fiorenti” all’Est in 
due-tre anni. Ma per un motivo più sostanziale: perché gran parte del fossato 
che non si chiude tra Est e Ovest è stato scavato con l’unificazione, per il 
modo in cui essa è stata realizzata. L’unificazione politica è del 3 ottobre 
1990. Essa era stata preceduta, il primo luglio 1990, da un’unione monetaria 
affrettata e mal congegnata. Affrettata, perché avveniva in assenza di una 
convergenza economica (per questo motivo gli stessi esperti economici del 
governo di Bonn l’avevano sconsigliata); all’obiettivo politico di “fare 
presto”, di giungere quanto prima possibile all’unità politica tra le due 
Germanie, veniva di fatto sacrificata la possibilità di un’unione economica più 
equilibrata e meno traumatica per le regioni dell’Est. Ad aggravare le cose, 
l’unione monetaria è stata anche mal congegnata: infatti essa stabiliva un 
cambio alla pari tra due monete tra le quali i rapporti di cambio a fine 1989 
erano regolati secondo un rapporto di 1 a 4,44 (ossia, 1 marco ovest equivaleva 
a 4,44 marchi dell’est). Apparentemente, si trattava di un regalo ai 
consumatori dell’Est. In realtà rappresentò la rovina per le imprese dell’Est, 
in cui prezzi conobbero automaticamente un aumento del 350 per cento circa. Il 
risultato fu l’immediato crollo della produzione industriale dell’Est (-35 per 
cento nel solo mese di luglio 1990), licenziamenti di massa e il fallimento di 
fatto di gran parte delle imprese della Germania Est. Queste imprese furono poi 
tutte privatizzate nel giro di pochi anni a prezzi irrisori, o semplicemente 
liquidate, da un organismo, la Treuhandanstalt, che operò in modo a dir poco 
discutibile. Queste vicende sono raccontate con qualche dettaglio nel mio 
libro, e sorprenderanno chi sia abituato ad associare la Germania all’etica 
degli affari e all’assenza di corruzione e di pratiche commerciali scorrette. 
Il risultato fu in ogni caso un processo di deindustrializzazione senza 
precedenti in Europa, le cui conseguenze si continuano a pagare oggi. Anche in 
termini politici.

Cosa ha significato per la Germania e per l’Europa intera la riunificazione dei 
due paesi?

L’unificazione tedesca è stata un elemento fondamentale del crollo dei regimi 
comunisti dell’Est europeo e quindi del ridisegno dell’assetto geopolitico in 
Europa rispetto all’ordine postbellico. In un certo senso, è l’evento che 
chiude simbolicamente il Novecento, e comunque uno spartiacque decisivo al suo 
interno. La stessa nascita dell’Unione Europea col trattato di Maastricht, come 
pure il suo allargamento a Est, sarebbero assolutamente inconcepibili senza 
questo evento. Lo stesso si può dire dell’espansione della Nato a Est nel 
continente europeo. In un certo senso, è stata la vittoria dell’Europa 
Occidentale e del suo sistema sociale sul suo antagonista storico, il comunismo 
sovietico, che si era imposto a Est. Al tempo stesso, paradossalmente, proprio 
questa vittoria ha alterato profondamente gli equilibri all’interno della 
stessa Europa Occidentale, trasformandola in qualcosa di molto diverso da 
quello che era in precedenza.

Quali conseguenze ha prodotto la riunificazione tedesca in Europa?

Per quanto riguarda l’Europa Occidentale, l’unificazione della Germania ha 
significato in primis una sostanziale alterazione dei rapporti di forza. La 
Germania si è ritrovata con 16 milioni di abitanti in più ed è diventata il 
paese europeo con la popolazione di gran lunga più numerosa. Dal punto di vista 
economico, ha potuto realizzare quello che non era mai riuscito alla sola 
Germania Ovest: assumere una centralità nel continente e riprendere 
l’espansione economica verso Est delle proprie imprese e dei propri capitali 
che si era interrotta nel 1945. In effetti, in pochissimi anni l’export della 
Germania Est verso gli altri paesi del Patto di Varsavia è stato pressoché 
interamente sostituito dall’export da parte di aziende dell’Ovest. Ma – cosa 
ancora più importante – la Germania ha potuto acquisire all’Est non soltanto 
clienti, ma anche subfornitori per i suoi prodotti. Questa riconfigurazione 
delle filiere produttive nell’Europa Centro-Orientale attorno alla Germania ha 
dato senz’altro un contributo significativo ai successi della Germania come 
paese esportatore, ma ha anche spostato verso Est il baricentro economico e 
della produzione manifatturiera in Europa. Questo ha tra l’altro accresciuto le 
difficoltà dell’Italia, da sempre subfornitore privilegiato della Germania. Dal 
punto di vista geopolitico, l’alterazione dei rapporti di forza in Europa, in 
particolare rispetto alla Francia, ha indotto quest’ultima a tentare di 
“ingabbiare” la Germania attraverso la moneta unica europea. Questa operazione 
ha condotto al trattato di Maastricht, in cui però la Germania ha ottenuto che 
le regole della banca centrale europea fossero esemplificate su quelle della 
Bundesbank. Il risultato è stato il contrario di quanto i francesi si 
ripromettevano dall’operazione: anziché una “Germania europeizzata”, un’“Europa 
germanizzata”, ossia un’Europa egemonizzata dal modello economico e 
istituzionale tedesco.

In che modo la storia della riunificazione tedesca parla direttamente al nostro 
presente?

Credo che purtroppo la riunificazione tedesca parli al nostro presente 
soprattutto per quanto riguarda la sua parte meno riuscita, ossia l’unione 
monetaria. In effetti anche l’unione monetaria europea, così come quella 
tedesca, è stata un’unione mossa da un obiettivo politico (incorporare per così 
dire la Germania e al tempo stesso accelerare e rendere irreversibile 
l’integrazione europea); e anche in questo caso è stato compiuto l’errore di 
osare tale passo in assenza di una sufficiente convergenza delle economie. Il 
risultato è che la convergenza delle economie non si è prodotta neppure dopo. 
Si è avuta per un certo periodo l’impressione che essa stesse verificandosi. Ma 
si trattava di un’illusione. Alcuni paesi periferici effettivamente crescevano, 
ma indebitandosi nei confronti di altri paesi dell’eurozona, e in particolare 
di Germania e Francia: questi flussi di capitale in entrata occultarono di 
fatto gli squilibri che si stavano creando. Poi con la crisi del 2008/2009 
tutto il meccanismo è saltato.

Quale ruolo ha svolto la moneta unica europea nella crisi dell’ultimo decennio?

La moneta unica non è stata la causa della crisi europea. Però in sua assenza 
gli squilibri commerciali tra i paesi membri – una delle cause principali della 
crisi – sarebbero stati corretti attraverso aggiustamenti del cambio prima di 
diventare esplosivi. Inoltre, dopo lo scoppio della crisi, l’impossibilità per 
i paesi membri di effettuare politiche monetarie autonome hanno reso l’uscita 
dalla crisi più lunga e dolorosa in termini sociali, in particolare per i più 
deboli tra essi. In effetti c’è uno studio dell’economista De Grauwe che, 
confrontando le reazioni alla crisi da parte di Spagna e Regno Unito (in 
entrambi i paesi la crisi fu legata allo scoppio di una bolla immobiliare, 
quindi si tratta di un confronto sensato), evidenzia come la possibilità di 
effettuare una politica monetaria autonoma da parte del Regno Unito, che non fa 
parte della moneta unica, abbia contribuito a una sua uscita più rapida dalla 
crisi.

La rigidità rappresentata dalla moneta unica costituisce tuttora uno dei 
principali fattori di vulnerabilità dell’eurozona nel suo complesso. Essa va 
posta in relazione con l’insufficiente convergenza delle economie 
dell’eurozona: se le economie vanno a velocità diverse, se alcune sono in 
espansione mentre altre annaspano intorno alla crescita zero o sono addirittura 
in recessione, è evidente che il tasso d’interesse stabilito dalla BCE (che 
ovviamente è unico) non potrà essere adatto alle condizioni dell’economia di 
tutti i paesi che fanno parte dell’area monetaria.

Quale futuro a Suo avviso per la Germania e l’Unione Europea?

La Germania appare sempre più chiaramente come vittima della sua stessa 
strategia. È il grande beneficiario della moneta unica. L’ha utilizzata per 
fare una politica mercantilistica aggressiva, che le ha consentito di espandere 
in misura notevole le esportazioni nell’eurozona a scapito dei competitori. A 
questo fine ha tenuto bassi i salari e quindi compresso la domanda interna; non 
ha fatto sufficienti investimenti. In una parola: ha puntato tutto sulle 
esportazioni. Ha imposto politiche di austerity ai paesi europei in crisi verso 
i quali esportava, e al conseguente indebolimento della loro domanda di 
prodotti tedeschi ha reagito spostando le proprie esportazioni verso altri 
paesi (Cina e Stati Uniti). Adesso però il primo di questi mercati è 
interessato da una guerra commerciale con gli Stati Uniti, e questi ultimi 
stanno cominciando a rispondere al surplus della bilancia commerciale tedesca 
nei loro confronti con dazi alle importazioni. La Germania così si trova in un 
vicolo cieco e vede profilarsi ormai chiaramente lo spettro di una recessione. 
Ci vorrebbe un cambiamento di politiche, ma non è scontato che ci sarà.

Lo stesso, in fondo, vale per l’Unione Europea. I segnali che indicano la 
necessità di un cambiamento delle politiche sono molteplici: dalla Brexit a un 
voto europeo che non ha davvero premiato i partiti “tradizionali”, da una 
crescente ostilità di larghe fette dell’opinione pubblica nei confronti delle 
istituzioni europee all’approssimarsi di una recessione alla quale con gli 
strumenti di cui l’Unione si è dotata appare impossibile reagire efficacemente. 
Ma non si avverte una reazione all’altezza dei problemi. Neppure sugli 
strumenti più sbagliati messi in campo durante la crisi, e in particolare il 
cosiddetto fiscal compact, si registra alcun ripensamento. È un grave errore. 
Il maggior problema per l’Unione europea è il fatto che essa non è stata in 
grado di mantenere la promessa di una maggiore prosperità per i suoi cittadini. 
Al contrario, in particolare l’eurozona, ha evidenziato una crescita deludente 
rispetto al resto del mondo. Se non si saprà invertire questa tendenza, non vi 
sono troppi motivi per essere ottimisti sul futuro dell’Unione.

Vladimiro Giacchéè nato a La Spezia nel 1963. È stato allievo della Scuola 
Normale di Pisa, dove si è laureato e perfezionato in Filosofia. Da venticinque 
anni nel settore finanziario, è presidente del Centro Europa Ricerche e 
consigliere di amministrazione di Banca Profilo. Negli ultimi anni ha 
pubblicato Titanic Europa (2012; ed. tedesca 2013), Costituzione italiana 
contro trattati europei(2015), La fabbrica del falso (2016). Ha curato edizioni 
degli scritti economici di Karl Marx (Il capitalismo e la crisi, 2009) e 
Lenin(Economia della rivoluzione, 2017).


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http://www.jungewelt.de/2014/09-26/052.php 
<http://www.jungewelt.de/2014/09-26/052.php>

MODELL GENICKBRUCH

Der italienische Wirtschaftswissenschaftler Vladimiro Giacché hat ein 
brillantes Buch über den DDR-Anschluß und seine Folgen für die EU geschrieben

Arnold Schölzel
junge Welt, 26.09.2014

Vladimiro Giacché ist ein philosophisch bewanderter marxistischer Ökonom, der 
in einem römischen Finanzinstitut praktisch tätig ist. Nach seiner Studie 
»Titanic Europa. Geschichte einer Krise« (2013) erschien vor wenigen Wochen in 
einer exzellenten Übersetzung von Hermann Kopp ein zweites Buch von ihm auf 
deutsch »Anschluß. Die deutsche Vereinigung und die Zukunft Europas« (am 19. 
August veröffentlichte jW einen Auszug als Vorabdruck).

Kalkuliertes Desaster

Der größte Teil dieser Arbeit dreht sich um die am 1. Juli 1990 vollzogene 
Währungsunion von Bundesrepublik und DDR, um ihre unmittelbare Vorgeschichte 
und ihre Konsequenzen vor allem für die DDR-Bürger. Das liegt 24 Jahre zurück 
und der Autor fragt im Vorwort, was »der Erwerb von fünf neuen Ländern und 
Ostberlins durch die BRD« heute noch lehren kann. Seine Antwort: Die Erfahrung 
seither sei »von höchstem Interesse angesichts dessen, was in Europa seit und 
mit der Währungsunion geschehen ist. Die europäische Währungs- und 
Wirtschaftsunion wäre ohne deutsche Vereinigung 1990 undenkbar. In erster Linie 
deshalb, weil die europäische Einheitswährung der Versuch war, ein Deutschland 
ins europäische Konzert einzubringen, das gerade dank der Vereinigung sein 
Gewicht wesentlich erhöht und alle anderen EU-Länder übertrumpft hatte. 
Zweitens, weil man mit dieser Vereinigung die Ideologie – die Art, Wirtschaft 
und Gesellschaft zu konzipieren – zementierte, wie sie für die europäische 
Integration bestimmend wurde.

Das in diesen Sätzen entworfene Programm – eine Anatomie des für den 
DDR-Anschluß entscheidenden Instruments, der fiskalischen Übernahme und 
Zertrümmerung der DDR-Ökonomie – handelt der Autor auf den ersten 130 Seiten 
seiner Arbeit ab, zunächst chronologisch, später in der Analyse einzelner 
Aspekte. Er stützt sich dabei auf die umfangreiche Literatur, die dazu 
erschienen ist, und ignoriert vor allem nicht – wie hierzulande westwärts 
üblich – die Publikationen ostdeutscher Autoren. Giacché analysiert z. B. das 
Schurkenstück der sogenannten Altschulden, die ostdeutschen Betrieben zum 
Nutzen westdeutscher Banken übergeholfen wurden; das Prinzip »Rückgabe vor 
Entschädigung«, das in Teilen des bundesdeutschen Mittelstandes eine Gier auf 
Ost-Immobilien entfachte, die Wall-­Street-­Banker­ vergleichs­wei­se blaß­ 
aussehen läßt; und die so­ge­nann­te Abwicklung der Eliten, zu der Giacché u. 
a. eine Äußerung des früheren Bundeskanzlers Helmut Schmidt aus dem Jahr 2006 
zitiert: »Man ist übrigens mit den Kommunisten nach 1990 schlimmer umgegangen 
als am Beginn der Bundesrepublik mit den ehemaligen Nazis. Wenn wir mit den 
Kommunisten etwas toleranter umgegangen wären, wäre das Desaster, wie wir es 
heute in den neuen Ländern erleben, möglicherweise etwas glimpflicher 
abgelaufen.«

So wird Geschichte freundlich um- und umgeschrieben. Denn Giacché weist nach: 
Das Desaster inklusive Massenarbeitslosigkeit, Abwanderung, 
Deindustrialisierung und Zertrümmerung der Lebensverhältnisse von Millionen 
Menschen war von den Urhebern der Währungsunion – insbesondere vom damaligen 
Bonner Staatssekretär Horst Köhler und seinem Adlatus Thilo Sarrazin – kühl 
kalkuliert (siehe auch den Text von Otto Köhler unten dazu). Welche Ausmaße die 
Katastrophe allerdings annehmen würde – davon hatten diese Leuchten einer 
fundamentalistisch verfochtenen Privatisierungs- und Deregulierungsidiotie, die 
mit höchstem Staatseinsatz durchgesetzt wurde, keine Vorstellung.

Propagandafetische

Alle Warnungen von Fachleuten, einschließlich des damaligen 
Bundesbankpräsidenten Karl Otto Pöhl oder der DDR-Wirtschaftsministerin im 
Kabinett von DDR-Ministerpräsident Hans Modrow, Christa Luft, wurden mit einer 
Arroganz in den Wind geschlagen, die noch heute in der bundesdeutschen 
Meinungsmache zur DDR vorherrscht: Ein Marktversagen hat es demnach nie 
gegeben, Schuld an allen Folgen der Währungsunion war die sozialistische 
Planwirtschaft. Giacché polemisiert mit diesen Propagandafetischen nicht, er 
läßt Zahlen und Tatsachen sprechen. Die »beste Zusammenfassung der 
Entwicklung«, schreibt er, stamme von Modrow: »Die Währungsunion hat der 
DDR-Wirtschaft das Genick gebrochen.« Sozusagen planmäßig, tatsächlich durch 
einen wirtschafts- und finanzpolitischen Voluntarismus, der angeblich allein im 
Sozialismus zu finden war. Im staatsmonopolistischen Kapitalismus (Gicacché 
benutzt diesen Terminus nicht) hat er offensichtlich einen festen Platz: Die 
Regulierung oder Deregulierung ist stets Irregulierung.

Das Ersetzen ökonomisch begründeter Maßnahmen durch politisch und ideologisch 
angestachelten Subjektivismus wurde zum Modell für Deutsch-Europa. Im letzten 
Kapitel seines Buches widmet sich der Autor diesem Aspekt und zieht – alle 
Unterschiede, z. B. das Fehlen von Transfers auf EU-Ebene, berücksichtigend – 
Bilanz: »Wer immer in Deutschland regiert: Ein roter Faden verbindet die 
Roßkur, der die Wirtschaft Ostdeutschlands unterworfen wurde, mit den 
Hartz-Reformen und den ›Hausaufgaben‹, welche die Krisenländer machen sollen. 
Die Rezepte sind immer die gleichen: Privatisierung und Lohnsenkung.« Nach 
Giacché sind sie die falschen. Priorität müsse sein, durch bewußte Steuerung 
»die Ungleichgewichte zwischen den Volkswirtschaften des Kontinents zu 
verringern«. Er widerspricht ausdrücklich Auffassungen, wonach die 
Nationalstaaten dazu nicht in der Lage seien und das Überleben des Euro von 
grundlegender Bedeutung. Wer sich weiter durch diesen »Glaubenssatz« lähmen 
lasse und wenn sich die wirtschaftlichen Ungleichgewichte verstärkten, werde 
»kein politischer Voluntarismus mehr in der Lage sein«, die Euro-Zone »vor 
einer unkontrollierten Implosion zu bewahren«. Die Spuren des DDR-Anschlusses 
sollten schrecken. Die Aussichten auf eine heilsame Wirkung sind allerdings 
weder in Berlin noch in Brüssel oder einer anderen EU-Hauptstadt günstig... 
Gicacchés Warnung, die er in seinem Buch faktenreich und brillant begründet, 
ist allerdings längst mehr als die einer Einzelstimme.
 
Vladimiro Giacché: Anschluß - Die deutsche Vereinigung und die Zukunft Europas. 
Laika-Verlag, Hamburg 2014, 167 Seiten, 22 Euro


=== 3 ===

http://www.senzatregua.it/3070-2/ <http://www.senzatregua.it/3070-2/>

Il lascito di Margot Honecker alle nuove generazioni di comunisti
Redazione Senza Tregua  <http://www.senzatregua.it/author/admin/> 7 maggio 2016


* di Paolo Spena

È giunta ieri sera la notizia della morte a Santiago del Cile di Margot 
Honecker, moglie di Erich Honecker, leader della Repubblica Democratica Tedesca 
dal 1971 al 1989. Soprannominata “il drago viola” per via del colore con cui si 
tingeva i capelli (“la strega viola” era invece la versione occidentale), ebbe 
un ruolo di primo piano nella costruzione della società socialista in Germania, 
diventando Ministro dell’Educazione (a scanso di equivoci, diversi anni prima 
che il marito venisse eletto segretario generale del Partito Socialista 
Unificato Tedesco). Non fu mai una “first lady”per come potremmo intendere 
questo termine, tutt’altro: il suo autista ricordò nelle sue memorie come ella 
fosse decisamente avversa alle “mogli viziate”dei leader. Curiosamente, 
particolare avversione era rivolta verso la consorte di Gorbaciov, Raissa 
Gorbaciova: «Quando ha accompagnato il consorte al congresso del nostro 
partito, aveva solo fretta di correre a Berlino Ovest per lo shopping…e poi che 
diavolo cercano queste mogli viziate dei leader? Guarda Raissa e Nancy Reagan 
al vertice Usa-Urss di Rejkyavik, non è il loro posto»...

Ma forse l’aspetto più importante di Margot Honecker è stato la straordinaria 
tenacia dimostrata dopo la contro-rivoluzione del 1989. I coniugi Honecker, 
strenui oppositori sin dall’inizio della “svolta” imposta da Gorbaciov, non 
rinnegarono mai gli ideali per cui lottarono per tutta la vita. In questo, si 
distinsero da buona parte di quella nomenklatura che in diversi paesi 
ex-socialisti ha rinnegato il proprio passato e in un batter d’occhio si è 
trasformata nella nuova oligarchia alla guida della restaurazione 
capitalistica. Costretti a fuggire in esilio in Cile dopo un processo politico 
vergognoso, formalmente contro Erich Honecker –già gravemente malato- per 
“coinvolgimento in omicidio” ma in realtà contro la DDR tutta che per 40 anni 
fu colpevole di esistere, i coniugi difesero strenuamente le ragioni della 
costruzione del “primo Stato socialista sorto sul suolo tedesco” 
<http://www.senzatregua.it/autodifesa-di-erich-honecker/> (nonché, elemento 
significativo per i comunisti occidentali, del primo Stato socialista sorto in 
un paese capitalistico avanzato e sviluppato). Margot Honecker, negli ultimi 
anni di vita del marito, curò la stesura e la pubblicazione dei suoi “Appunti 
dal Carcere” (pubblicati in Italia nel 2010), ricchi di spunti e riflessioni 
sul mondo dopo la caduta dell’URSS e delle democrazie popolari, nonché di 
considerazioni quasi profetiche sull’inevitabilità di nuovi conflitti, 
sull’incombere della disoccupazione di massa in paesi che avevano dimenticato 
cosa fosse, contro “la convinzione infantile che il mercato s’incaricherà di 
regolare tutto”. Dopo un silenzio durato due decenni, fece molto scalpore 
un’intervista di Margot Honecker andata in onda sulla tv tedesca nell’aprile 
del 2012, in cui la donna non esitò a ribadire la propria convinzione nelle 
ragioni del socialismo e delle scelte politiche della Germania Democratica.

Ancor più importanti sono le lucidissime considerazioni espresse di recente da 
Margot Honecker in una delle sue ultime interviste (novembre 2015)i 
<http://www.senzatregua.it/3070-2/#sdendnote1sym>, relative alla situazione 
greca e alle vicende dell’Unione Europea, che vale la pena riportare: «Syriza è 
andata al governo, e ha vinto di nuovo, ma non ha alcun potere. Il potere in 
Grecia appartiene al capitale nazionale e, in misura sempre maggiore, al 
capitale straniero. Questa Europa è divisa fra quelli di sopra e quelli di 
sotto, fra ricchi e poveri, fra paesi ricchi e paesi impoveriti. Fin 
dall’inizio, questa Europa è stata un progetto del capitale monopolistico, una 
struttura imperialista per consolidare il suo potere. La politica di 
degradazione democratica e sociale è sancita nei trattati della UE, è dettata 
dagli interessi delle multinazionali. Gli Stati forti spingono i deboli verso 
il baratro, nell’abisso. Nella sinistra era diffusa la convinzione che questa 
Europa potesse essere riformata. Ma l’atteggiamento smisurato delle autorità 
europee nei confronti della Grecia ha dimostrato che questa è una illusione. 
Coloro che dettano legge ai greci impongono privatizzazioni […], nella DDR 
questo strumento ha causato un gran danno. […] Guardo con preoccupazione alla 
dittatura dei monopoli, che avanza e punta ad incrementare l’imperialismo 
tedesco per il potere egemonico nel continente. […] Dobbiamo essere realisti. 
“L’internazionale dei Potenti” non fronteggia ancora nessuna grande forza nel 
campo degli oppressi e degli sfruttati. Nei paesi europei manca una effettiva e 
coerente attività da parte della sinistra anti-monopolistica, e non vi è una 
adeguata solidarietà internazionale né alleanze comuni. In Grecia, l’Impero ha 
colpito duro e distrutto l’illusione di poter riformare questa Europa. 
Attraverso questi metodi, nessun’altra Europa può sorgere».

Le lucide – e condivisibili – considerazioni appena riportate, formulate da una 
compagna che ha dedicato la sua vita alla causa del socialismo e che ai nostri 
giorni ha espresso posizioni tutto sommato coincidenti con quelle della 
gioventù comunista europea, fanno riflettere sul significato che deve avere per 
noi la scomparsa di una figura storica per il socialismo del XX secolo. Dopo il 
1989 divenne molto di moda, specialmente in Italia, rinnegare le proprie radici 
e la propria storia: se da una parte si optava per una rottura netta, cambiando 
nome e simbolo assieme alla strategia politica, dall’altra ci si illudeva di 
poter “rifondare” il comunismo rompendo con l’esperienza storica del socialismo 
reale del ‘900, fino a considerarla come un qualcosa di “estraneo” alla propria 
storia e di cui vergognarsi. Da allora sono passati 25 anni, e oggi un’intera 
generazione nata negli anni immediatamente precedenti o successivi alla caduta 
del Muro di Berlino si ritrova proiettata nella realtà della crisi del 
capitalismo, avendo davanti a sé un futuro fatto di precarietà, disoccupazione 
e assenza di diritti. All’interno di questa generazione, cresce e si forgia una 
nuova generazione di comunisti, che a differenza dei propri padri ha conosciuto 
il socialismo solo sui libri di storia, ma che sente la necessità di lottare 
per un cambiamento reale. Questa nuova gioventù comunista, piaccia o meno, è 
erede di questa storia, che è la storia dell’Unione Sovietica, delle democrazie 
popolari, del socialismo reale. Questa storia, per cui tanti hanno dato la 
vita, è la storia del movimento operaio, delle sue conquiste e dei suoi errori, 
delle sue vittorie e delle sue sconfitte... Margot Honecker è stata una di 
quelle poche figure appartenenti alla “vecchia” generazione di comunisti 
rimasta coerente e fedele alla causa della sua vita, che oggi si tramuta in un 
lascito per le nuove generazioni. Oggi il compito della gioventù comunista è 
rialzare tutte le bandiere lasciate cadere e abbandonate a sé stesse; prendere 
il testimone dalle mani dei compagni che ci lasciano, per avanzare verso nuove 
vittorie e nuove conquiste.

Note

i <http://www.senzatregua.it/3070-2/#sdendnote1anc> 
http://www.workers.org/2015/11/16/interview-with-the-gdrs-margot-honecker-the-past-was-brought-back/
 
<http://www.workers.org/2015/11/16/interview-with-the-gdrs-margot-honecker-the-past-was-brought-back/>

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