All'inferno (segue)

1) In morte di Giampaolo Pansa (Nicoletta Bourbaki)
2) Pansa, la sconcertante santificazione di un falsario (Tomaso Montanari)
3) Pansa è morto ma i suoi vizi restano (Tiziano Tussi)


Sullo stesso tema si veda anche il post precedente su JUGOINFO:
http://www.cnj.it/home/it/informazione/jugoinfo/9247-9119-all-inferno.html


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http://contropiano.org/interventi/2020/01/15/in-morte-di-giampaolo-pansa-0122984
https://medium.com/@nicolettabourbaki/in-morte-di-giampaolo-pansa-2c1827d0d260

In morte di Giampaolo Pansa

di Nicoletta Bourbaki, 13 gennaio 2020

In Italia, negli ultimi vent’anni circa, il mainstream ha sdoganato e 
amplificato una grande quantità di bufale storiche e leggende d’odio 
antipartigiane che a lungo erano rimaste confinate nelle cerchie neofasciste.
La legittimazione e l’imprimatur da parte dei grandi media e della politica 
hanno incoraggiato i neofascisti a inventare sempre nuove bufale, ancora e 
ancora. Dalla fine degli anni Novanta, li abbiamo visti coniare storie di 
«eccidi partigiani» dei quali mai si era parlato, o aggiungere a storie vecchie 
dettagli sempre più macabri assenti dalle precedenti ricostruzioni. Inutile 
dire che tali aggiunte erano prive di pezze d’appoggio documentali: in queste 
storie, le fonti latitano e ci si affida alla «storiografia del nonno»: «Mio 
nonno raccontava che…»
L’avvento dei social media ha impresso a questo processo un’accelerazione 
fortissima: oggi una bufala storica antipartigiana può nascere e diffondersi in 
poche ore.
Su Facebook, ad esempio, prosperano pagine dove si sparano a casaccio cifre 
iperboliche — ovviamente prive del benché minimo riscontro — su presunti stupri 
compiuti da partigiani. Cifre implausibilmente precise, per farle sembrare 
basate su ricerche in realtà inesistenti: 3245, oppure 4768. Ebbene, la 
diffamazione dei partigiani fondata su accuse di violenza sessuale è un 
fenomeno divenuto popolare tra i neofascisti soltanto di recente, queste 
presunte «migliaia» di stupri sono assenti dalla stessa memorialistica e 
pseudo-storiografia di estrema destra pubblicata nel XX secolo.
La manipolazione di Wikipedia da parte di milieux neofascisti — o comunque 
anti-antifascisti — organizzati ha fornito pezze d’appoggio per queste 
operazioni: centinaia di pagine della Wikipedia italiana dedicate a fascismo, 
seconda guerra mondiale e Resistenza sono inquinate dalla propaganda di cui 
sopra. Ce ne siamo occupate molte volte.
Veniamo al punto: uno dei massimi responsabili di tutto questo è stato 
Giampaolo Pansa. Nel 2003, il suo bestseller Il sangue dei vinti — che, come ha 
fatto notare Wu Ming 1 in Predappio Toxic Waste Blues, conteneva una menzogna 
già nel titolo — inaugurò una produzione di «oggetti narrativi male 
identificati» che usavano come fonti la memorialistica repubblichina sulla 
guerra civile, ne accettavano le ricostruzioni piene di buchi e aporie, e 
riempivano i buchi ricorrendo a tecniche letterarie ed espedienti vari.
Tecniche ed espedienti prese più volte in esame: ne hanno scritto Ilenia 
Rossini nel suo L’uso pubblico della Resistenza: il «caso Pansa» tra vecchie e 
nuove polemiche (pdf qui 
<https://www.academia.edu/1720067/L_uso_pubblico_della_Resistenza_il_caso_Pansa_tra_vecchie_e_nuove_polemiche>:
 
https://www.academia.edu/1720067/L_uso_pubblico_della_Resistenza_il_caso_Pansa_tra_vecchie_e_nuove_polemiche
 ) e Gino Candreva nel suo La storiografia à la carte di Giampaolo Pansa (pdf 
qui 
<http://storieinmovimento.org/wp-content/uploads/2017/06/Zap-39_14-StoriaAlLavoro2.pdf>:
 
http://storieinmovimento.org/wp-content/uploads/2017/06/Zap-39_14-StoriaAlLavoro2.pdf
 ).
Al principio, la fama dell’autore, il suo essere «di sinistra» e l’uso 
strumentale e ambiguo di certi caveat e disclaimer — della serie «Io sono 
antifascista ma», «la Resistenza fu un fenomeno nobile ma» — ha reso subdola 
l’operazione. Oggi, certi caveat non c’è più bisogno di usarli: i 
romanzi-spacciati-per-inchieste che si inseriscono nel solco scavato da Pansa, 
come quelli di Gianfranco Stella, stanno platealmente, sguaiatamente, dalla 
parte di Salò (cioè, ricordiamolo sempre, di Hitler).
Chi si occupa di questo revisionismo non può che imbattersi in Pansa girando 
ogni angolo. È capitato più volte anche a noi, mentre smontavamo bufale di 
estrema destra alla cui circolazione l’ex-vicedirettore di Repubblica aveva 
dato un contributo fondamentale. In quelle occasioni, abbiamo mostrato come 
Pansa avesse dato dignità di fonti ai libri di pubblicisti di estrema destra 
come Pisanò, Pirina o Serena, o di improvvisati “storici” locali, “abbellendo” 
quelle storie con ulteriori dettagli e svolazzi.
Qui <https://www.wumingfoundation.com/giap/tag/giampaolo-pansa/> [ 
https://www.wumingfoundation.com/giap/tag/giampaolo-pansa/ ] si possono trovare 
le inchieste dove abbiamo parlato (anche) di lui, unitamente ad alcuni scritti 
di Wu Ming, come il già citato Predappio Toxic Waste Blues, dove si smontano le 
retoriche pansiane.
Oggi che la morte di Pansa suscita uno scontato cordoglio bipartisan e il suo 
nome sta per essere accolto nel canone della «memoria condivisa», noi vogliamo 
ricordare i danni gravissimi che i suoi libri e i polveroni mediatici che si 
compiaceva di suscitare hanno arrecato alla cultura storica e alla memoria 
pubblica in Italia.
Pansa è morto, ma il pansismo resterà con noi a lungo, purtroppo.


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http://temi.repubblica.it/micromega-online/pansa-la-sconcertante-santificazione-di-un-falsario/

Pansa, la sconcertante santificazione di un falsario

di Tomaso Montanari

La santificazione a testate unificate di Giampaolo Pansa lascia sconcertati.. 

È naturalmente comprensibile il lutto degli amici e degli ammiratori, così come 
è lodevole la gratitudine dei più giovani giornalisti che ripensano ai loro 
debiti verso quello che fu, fino a un punto preciso della sua vita, un maestro 
del nostro italianissimo giornalismo. Ma il silenzio sulla scelta revisionista 
di Pansa (una scelta che assorbe, portandolo di male in peggio, quasi gli 
ultimi vent’anni della sua vita), o peggio i tentativi di liquidarla con 
accenni a un suo gusto per le questioni «controverse», al suo essere «bastian 
contrario» o «sempre contro», sono invece inaccettabili. E nemmeno il combinato 
disposto dell’intollerabile ipocrisia italica e borghese del «de mortuis nihil 
nisi bonum» e del corporativismo giornalistico possono giustificare questa 
corale opera di depistaggio. 

È esattamente questa coltre di silenzio che obbliga a prendere la parola 
proprio ora, a caldo: perché ci sia almeno qualche voce che contraddica la 
canonizzazione, e instilli dubbi proprio nel momento in cui il nuovo santo 
viene innalzato sugli altari, a riflettori ancora accesi. 

E il punto non è solo che Pansa è stato uno dei più efficaci autori 
dell’equiparazione sostanziale fascismo-antifascismo, cioè uno dei responsabili 
culturali della deriva che conduce allo sdoganamento dello schieramento che va 
da Fratelli d’Italia alla Lega di Salvini, passando per Casa Pound. Già, perché 
con Pansa, «la pubblicistica fascista sulla “guerra civile” italiana e la 
sterminata memorialistica dei reduci di Salò, che per un cinquantennio non 
erano riusciti a incrociare la strada del grande pubblico per la loro 
inconsistenza storiografica, hanno trovato un megafono di successo, uno sbocco 
nella grande editoria e nel grande schermo» 
(http://storieinmovimento.org/wp-content/uploads/2017/06/Zap-39_14-StoriaAlLavoro2.pdf).
 E i fascisti ringraziarono, come fece per esempio il leader di Forza Nuova 
Roberto Fiore, parlando in tv nel 2008: «in generale l’Italia sta cambiando e 
sta iniziando a valutare quel periodo in modo più sereno. C’è stato un Pansa di 
mezzo in questi due anni. C’è stato un sano “revisionismo storico”».

Basterebbe questo a renderne la memoria esecrabile: almeno per chi crede 
davvero nei valori della nostra Costituzione. Ma se almeno la qualità 
giornalistica del lavoro di Pansa fosse indiscutibile, potrei faticosamente 
arrivare a comprendere (mai ad accettare, né tantomeno ad approvare) la 
celebrazione corporativa della grande firma. È quello che avvenne per la 
Fallaci: e se trovo mostruoso che le si dedichino vie o strade, perché oggi 
sarebbe condannata per istigazione all’odio razziale, posso capire che le si 
riconoscano qualità di scrittura e di inchiesta (che personalmente, tuttavia, 
giudico al contrario assai modeste).
Ma i peana per il giornalismo di Pansa rivelano in chi li eleva una ben curiosa 
idea di giornalismo. Il punto, infatti, è che i libri di Pansa dal 2003 (l’anno 
in cui esce il Sangue dei vinti) consistono in una continua, abile, suggestiva 
manipolazione dei fatti che mira a costruire, nella percezione del pubblico, un 
sostanziale falso storico. Pansa era stato uno storico: si era laureato in 
storia con uno dei migliori storici della Resistenza, e aveva praticato egli 
stesso la ricerca storica con ottimi risultati. Ma quando decise di ribaltare 
il tavolo e sostenere le tesi opposte a quelle in cui aveva sempre creduto – 
quando, cioè, decide di costruire l’apologia di chi uccise e morì per la 
Repubblica di Salò – non adottò il metodo storico, ma scrisse una serie di 
testi narrativi in cui la memorialistica e il romanzo sfumano l’una nell’altro. 
Una affabulazione senza nessun apparato di documenti e di note: e dunque 
inverificabile per il lettore. 

Sono testi, i suoi, che non hanno nulla a che fare con la storiografia: ma 
nemmeno col giornalismo, per quanto estesa possa essere l’idea di quest’ultimo. 
Perché sono testi in cui è inutile chiedersi se le cose narrate siano vere o 
meno: ed è inutile perché è impossibile rispondere. Ciò nonostante, moltissimi 
storici professionisti (a partire da Giovanni De Luna) hanno chiarito in molte 
occasioni (si leggano per esempio questo 
<https://www.academia.edu/1720067/L_uso_pubblico_della_Resistenza_il_caso_Pansa_tra_vecchie_e_nuove_polemiche>
 e questo 
<http://storieinmovimento.org/wp-content/uploads/2017/06/Zap-39_14-StoriaAlLavoro2.pdf>)
 come si tratti di testi privi di qualunque valore cognitivo, irti di coscienti 
omissioni, falsificazioni, disonestà intellettuali di ogni tipo. Carta straccia 
che racconta una storia falsa: fiction ideologica, dalla parte dei fascisti. 

Nonostante questo – e con un metodo ben calcolato – l’abilissimo Pansa e 
un’ampia corte di giornalisti (quelli fascisti, quelli di destra, quelli che 
semplicemente non leggevano nulla e quelli troppo ignoranti per porsi il 
problema) a ogni uscita di libro hanno trasformato la percezione di quei 
romanzi nel racconto di una nuova storiografia di riscoperta, di revisione, di 
rovesciamento della verità stabilità dai vincitori antifascisti. Cosicché, nel 
discorso pubblico, Pansa oggi non è (come dovrebbe) l’autore di romanzetti 
curiosamente filofascisti, ma è il giornalista antifascista che ha svelato – 
dimostrando la coraggiosa capacità di andar contro ‘la sua parte’ – il lato 
oscuro della Resistenza. Una clamorosa distorsione della verità: una 
lunghissima, perversa ambiguità che non solo ha eroso, di libro in libro, il 
consenso alla Repubblica antifascista, ma che contestualmente ha mandato in 
vacca ogni idea di giornalismo, ledendo programmaticamente il primo essenziale 
patto che lega chi scrive e chi legge, perché «la prima cosa che chiediamo a 
uno scrittore è che non dica bugie» (George Orwell).

Una risposta efficace era quella di Giorgio Bocca, un giornalista che aveva 
eguale udienza presso i media, e che definiva Pansa, semplicemente, «un 
falsario».

Invece, contro questa mistificazione gli storici veri hanno avuto più 
difficoltà a rispondere: perché come disse (con straordinario cinismo) lo 
stesso Pansa allo storico Angelo D’Orsi, che lo rimproverava di non mettere 
nessuna nota nei suoi libri: «Tu vendi 2.000 copie e io 400.000… vuoi anche le 
note?». La stessa situazione, a me ben nota, in cui si trova lo storico 
dell’arte che voglia smontare le bufale di Dan Brown su Leonardo, o anche solo 
l’ennesima attribuzione farlocca a Caravaggio sparata in prima pagina dal 
redattore orbo di turno.

Come si possa salutare oggi, dando fiato senza risparmio a tutte le trombe 
della retorica, un ‘maestro di giornalismo’ è veramente un mistero doloroso del 
rosario di fake news, falsi storici, manipolazioni o semplici sciocchezze che 
si snocciola ogni santo giorno sui media italiani. Per fortuna, in queste ore 
non sono mancate lucide voci contro: per esempio quelle del collettivo 
Nicoletta Bourbaki, rilanciate dai Wu Ming 
<https://www.wumingfoundation.com/giap/2020/01/in-morte-di-giampaolo-pansa/>, o 
quella di Luca Casarotti su Jacobin Italia 
<http://(https//jacobinitalia.it/tre-cose-da-fare-dopo-la-morte-di-pansa/>. Ma 
sulla carta stampata non si è trovato davvero nessun antidoto (salvo un timido 
cenno sul Manifesto): e non per caso anche queste righe non appaiono su un 
giornale, ma su un sito felicemente eretico.

La triste morale è che è inutile, ipocrita, e in ultima analisi intollerabile, 
inondarci di retorica sull’insegnamento della storia nelle scuole e difendere 
sdegnati la libertà di stampa e i giornali indipendenti, se poi è la nostra 
idea di giornalismo (e dunque di democrazia) a esser così gracile, ipocrita, 
superficiale.

(15 gennaio 2020)


=== 3 ===

https://www.resistenze.org/sito/os/ip/osipka21-022270.htm
www.resistenze.org <http://www.resistenze.org/> - osservatorio - italia - 
politica e società - 21-01-20 - n. 735

Pansa è morto ma i suoi vizi restano

Tiziano Tussi

21/01/2020

Giampaolo Pansa è morto a 84 anni, a Roma, il 12 gennaio 2020. Si può trovare 
in rete molto materiale rispetto alla sua figura. Io stesso ne avevo scritto 
per Resistenze sia il 20-1-2005 sia il 20-10-2006.

Riassumendo le modalità di lavoro delle sue ultime opere, quelle che vedono la 
Resistenza sul banco degli accusati si può dire: un pastone tra aneddotica non 
controllabile, ricordi vari riportati come verità, continui rimandi allusivi 
lasciati lì come tracce per non si sa bene cosa, demonizzazione della sinistra 
italiana. Su questo si possono leggere utilmente: Gino Candreva, Zapruder, 
gennaio-aprile 2016; Luca Casarotti, Jacobin Italia, 14 gennaio 2020 (qui vi 
sono altre indicazioni di testi di rimando) e Tomaso Montanari, 15 gennaio 
2020, Micromega. Tutti in rete.

È di quest'ultimo che volevo parlare. Lo scritto di Montanari non si discosta 
dalle critiche che anche gli altri citati, ed altri ancora, indirizzano o hanno 
indirizzato a Pansa. Anche sulla rivista dell'ANPI, in anni trascorsi, erano 
apparsi articoli e documenti di condanna dell'uso disinvolto, diciamo così, che 
Pansa ha fatto delle problematiche resistenziali. Forse il motivo, lo dice 
Paolo Flores d'Arcais, sempre Micromega, 21 gennaio 2020, risiede nell'astio 
per il "sistema mediatico" e per la sinistra (?) per "aver visto frustrate le 
sue ambizioni di direzione nel gruppo Repubblica/Espresso".

Le brevi note di Montanari, in ogni caso, hanno fatto alzare l'indignazione di 
Aldo Grasso, il 19 gennaio, nella prima pagina del Corriere della Sera, con un 
titolo della sua rubrica "La storia secondo Maramaldo Montanari." Ora, usare il 
termine Maramaldo significa dare un segno necrofilo a chi ha scritto qualcosa 
di orribile. In questo caso Montanari e la sua analisi negativa dello scrittore 
Pansa. Una critica diciamo così tecnica, che va a toccare i punti disciplinari 
dell'allegra vocazione storica di Pansa che lo stesso, seriamente e 
professionalmente, aveva usata almeno nel suo scritto iniziale sulla 
Resistenza, Guerra partigiana tra Genova e il Po (dalla tesi di laurea, 
relatore Guido Quazza, pubblicata da Laterza nel 1967).

Modalità poi persa nei libri sui Vinti, e su altri successivi. Le motivazioni 
le abbiamo adombrate sopra. Così le copie vendute sono schizzate a centinaia di 
migliaia, e Montanari lo ricorda nel suo intervento. Forse perché così l'Autore 
ha riaffermato una notorietà ed un ruolo di "bastian contrario", di destra 
naturalmente, dato che poi è finito a scrivere anche sul quotidiano La verità, 
che in fondo, in un'epoca post-comunista, post-socialista, post progressista, 
post ogni cosa, come quella di oggi, fa sempre bene, rende. Certo a scapito del 
riscontro possibile delle fonti, osiamo dire della verità o del tentativo di 
arrivarvi il più vicino possibile.

Quindi ne deriva che chi ora si preoccupa di riportare alla decenza storica, in 
un sito di livello, con una visibilità pubblica, la decenza culturale, subito 
viene tacciato di essere un Maramaldo. Ricordo: dare del maramaldo ci riporta 
ad una battaglia del 1530, nella quale un condottiero, appunto tale Fabrizio 
Maramaldo, al soldo degli spagnoli, trafigge quasi uccidendolo, il già ferito 
Francesco Ferrucci, che aveva combattuto per i fiorentini: uccisione di un 
moribondo.

Nel caso di Pansa, ora, già morto. Ma che ci azzecca, direbbe un erudito 
componente della Crusca, leggendo il pezzullo di Grasso, campione delle ovvietà 
del Corriere che ci ha abituato alle banalità del potere, alla finesse tutta in 
punta di forchetta? Non importa: anche in questo caso Grasso ripete la sua 
invettiva, scrivendo in modo schizofrenico, basta leggere il pezzo, come in un 
flipper, frasi senza senso sulla pratica acritica di Montanari. Quasi non si 
potesse scrivere criticamente dell'opera di un morto.

Puarin l'è mort: e quindi essendo stato toccato dalla morte, un'azione passiva, 
si è mondi per ogni azione sbagliata, orrenda o utilitaristica, insomma 
negativa che si è compiuto in vita. Ma come dice Nicoletta Bourbaki, il 13 
gennaio, intervento che si trova in rete digitando In morte di Giampaolo Pansa: 
Pansa è morto, ma il pansismo - riferendosi ovviamente ai suoi vizi 
storico/letterari prima citati, ndr -  resterà con noi a lungo, purtroppo.


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