Ciao Giovanni,

Il 22 Settembre 2023 16:09:20 UTC, Giovanni Biscuolo ha scritto:
>> - non sanno programmare
>
>Questa è la competenza che merita di essere discussa: cosa significa
>saper programmare?

Significa saper leggere, scrivere, modificare e debuggare i sorgenti di
un software. Saper configurare un software è "condizione necessaria"
del saper programmare, ma non sufficiente.


>Secondo il mio personalissimo giudizio programmare è _anche_ saper
>configurare il software scritto da altri

Indubbiamente se non sei in condizione di configurare il software
scritto da altri (avendo a disposizione la documentazione o il sorgente)
non sai programmare, quindi sì "programmare è anche configurare".

E a ben guardare la configurazione può essere considerata come una parte
del testo del programma che viene estratta e resa più facile da
modificare, rendendo più generale il programma (che diventa, di fatto,
anche un interprete della propria configurazione).

Quindi sì: chi configura un software, di fatto lo programma.


Ciò però purtroppo non significa che chi sa configurare un software
sappia programmare. La programmazione è una attività generale,
applicabile (come rilevava brillantemente Enrico Nardelli nel suo libro)
alla spiegazione del processo per cuocere la pasta, quanto alla
configurazione, quanto alla programmazione in C, in Python o in Lisp.

Spiegare come cucinare una torta è programmare, ma saper spiegare come
si cucina una torta non è saper programmare.

Un po' come saper dividere equamente un pacchetto di caramelle non
implica conoscere la matematica.

>> - si fidano di qualcuno che sa programmare
>
>Anche i programmatori si fidano di quancun altro che sa programmare, no?
>Che io sappia, non c'è proprio nessuno che non è abbastanza pigro da
>_non_ ricontrollare da zero tutto il software che usa. :-)
>
>Se intendi dire che i programmatori possono /scegliere/ di farlo, allora
>è chiaro.

Buona obiezione! :-)

Sì certamente c'è una questione di libertà: il programmatore è libero di
fidarsi o meno, mentre il profano, è succube, obbligato a fidarsi.

Ma non c'è solo una questione di fiducia, bensì una questione di potere.


Se sei libero di fidarti o meno, qualche volta lo fai, qualche volta no.
Chi scrive software libero (o anche solo open source) destinato a 
programmatori sa bene che quel codice verrà letto e criticato.


Se sei succube, costretto a fidarti di sconosciuti, la fiducia che ti
viene estorta cristallizza in potere. E quante più persone sono
costrette a fidarsi di te, tanto più questo potere diventa oppressivo.


>Però questa caratteristica di fidarsi non è esclusiva del gruppo a cui
>ti riferisci.
>
>> Per esempio, i giuristi in lista che non sanno programmare,
>
>Anche i programmatori in lista non sanno "giurisdizionare" e si fidano
>(chi più, chi meno :-D ) dei giuristi sulla base di criteri analoghi a
>quelli applicati dai giuristi per fidarsi dei programmatori.
>
>La vera differenza col software è che quanto dichiarato dai giuristi è
>espresso solo in formato sorgente (non esiste formato binario) e
>/quindi/ falsificabile, con una sforzo che va da una lettura di pochi
>minuti fino a un intero ciclo di studi in giurisprudenza, per i casi più
>difficili.

Qualunque giurista ti potrebbe spiegare che non è affatto così semplice.

Certo, la Legge si chiama così perché si può leggere, ma esistono flotte
di avvocati felici di "piegarla" alle esigenze del cliente (non sto
generalizzando: ho in mente specifici avvocati che dichiarano
apertamente e con orgoglio questo loro servizio).

Quand'anche la Legge fosse davvero uguale per tutti (ahimé, sembra non
lo sia), qualunque avvocato ti potrà spiegare che è sempre e solo un
Giudice ad avere l'ultima parola su come vada interpretata.


E non è un bug, ma una feature! :-)


Il Giudice (quando non è corrotto ed è competente) non si limita a
leggere il testo della norma, ma la interpreta alla luce della realtà
cui quella norma si applica. (In teoria) Questo dovrebbe evitare che una
applicazione meccanica della norma (come fosse un programma informatico)
possa produrre danni alla società, secondo il detto ciceroniano "summum
ius, summa iniuria".

(IN TEORIA: perché spesso questa frase viene usata per chiedere impunità
per i colpevoli, sbattendosene dell'ingiustizia subita dalle vittime)


Nel diritto continentale (civil law) è (e deve restare) un essere umano
a giudicare le cose umane, affinché se ne assuma la responsabilità.


>Perché la stessa analogia non provi a farla con la giurisprudenza, la
>fisica, la chimica o la medicina?

Anzitutto erché sono discipline con centinaia o decine di migliaia di anni 
e sono ben comprese nel loro funzionamento fondamentale dalla popolazione.

Tutti sanno che l'acqua bolle a 100 gradi. Che se ti rompi un braccio
devi steccarlo. Che gli oggetti cadono verso il centro della terra.
etc...


Come funzioni davvero il software invece lo sappiamo in pochissimi.

La stragrande maggioranza delle persone non ne ha la più pallida idea.

E non ne ha idea per diverse ragioni:
- la nostra disciplina è intrinsecamente complessa
- i maggiori produttori di software fanno tutto quanto è in loro potere
  per renderla ancora più complessa, in modo da consolidare il proprio
  dominio
- la stragrande maggioranza delle persone, non comprendendo il
  funzionamento di strumenti progettati per essere "facili da usare"
  non percepisce la menomazione delle proprie capacità cognitive e della
  propria libertà che questi strumenti effettuano
- non disponiamo ancora di una alfabeto (nonostante l'ottimo lavoro di
  pionieri come Wirth) in grado di essere insegnato facilmente


>Non sono anche quelle competenze particolarmente /impattanti/ sulla
>nostra cittadinanza (non cibernetica)?

Lo sono certamente, ma molto meno di quanto non lo sia l'informatica
in una società cibernetica.

Gli agenti cibernetici in esecuzione su un comune cellulare Android sono
oltre 300 e nella stragrande maggioranza NON servono colui che se lo
porta in tasca.

Quando navighi sul web interagisci con decine di migliaia di altri
agenti cibernetici, in esecuzione su router, firewall, server remoti
etc...


E tutti questi agenti cibernetici, prima di servire te, servono chi li
ha scritti e ne paga l'hardware e la corrente per mantenerli in
esecuzione.


Il numero degli agenti cibernetici automatici in una società cibernetica
è soverchiante rispetto al numero degli esseri umani nella stessa
società.

E questi agenti non sono come i Giudici: eseguono MECCANICAMENTE il
proprio programma. SEMPRE. Anche quando sono programmati per far credere
a poveri profani di essere "intelligenti".

Questi agenti fanno SEMPRE ciò per cui sono programmati (imperativamente
o statisticamente, è irrilevante da questo punto di vista).



A fronte di questa sproporzione (peraltro destinata a salire) coloro che
vogliono preservare la propria autonomia hanno solo due opzioni:
- smettere di vivere nella società cibernetica
- imparare a dominare gli automatismi che ne fanno parte

Questi automatismi infatti eseguono meccanicamente la volontà di chi li
ha realizzati e diffusi, anche quando interagiscono con gli "utenti".


>Esagero, ma è giusto per farmi capire...
>
>Alle superiori si potrebbe acquisire una piena cittadinanza ovvero
>imparare a scrivere la propria costituzione, il proprio protocollo
>esperimento di laboratorio, la propria molecola per la cura del
>raffreddore, ecc.  Attenzione che ho detto _scrivere_, giusto per
>"giocare".
>
>Cosa c'è di diverso con lo scrivere il proprio sistema operativo, ecc.?

Che ci sono infinitamente meno Stati costituzionali che automatismi per
ogni singolo essere umano.

Per quanto sia importante comprendere la Legge, comprendere
l'informatica (in una società cibernetica) è più importante.

Non a caso, coloro che dominano l'informatica sono DI FATTO legibus
soluti (che le multarelle ridicole che si prendono, corrispondono 
sempre al fatturato ottenuto in pochi secondi proprio grazie alla
violazione delle norme per cui vengono multati).


E' questa, purtroppo, la cruda realtà.

Lessing scriveva che il Codice è Legge.
Si sbagliava. Il Codice è molto più potente della Legge.
E chi controlla il codice è più potente degli Stati, figurati delle
persone.


Possiamo far finta di non vederlo e diventare burattini.

O possiamo acquisire e diffondere una piena cittadinanza cibernetica, per 
provare a restaurare una vera democrazia.


Diffondere il nostro potere è l'unico modo di bilanciarlo, di renderlo
uno strumento di libertà invece che di oppressione.

Non c'è altro modo, come dimostra la sudditanza degli stati europei.


>In altre parole, vorrei un futuro dove sia dato per scontato che /anche/
>la partecipazione alla vita cibernetica è un diritto umano fondamentale,
>con tutto quello che ne consegue. [2]

Beh... questo accadrà di sicuro!
Il problema è come.

Si potrà diffondere una piena cittadinanza cibernetica fra tutti gli
esseri umani (la soluzione che auspico) o si potrà ridefinire l'essere
umano come colui che può controllare gli automatismi (la soluzione 
contro cui mi batto per le mie figlie) e tramite essi, gli altri.


Hacker o robot.

Davvero: in una società cibernetica temo non ci siano altre opzioni.


Giacomo
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