I materiali che seguono furono segnalati da Dragomir Kovačević e commentati da 
Jasna Tkalec una decina di anni fa. Sono rimasti nel nostro archivio da allora, 
in attesa di una occasione propizia per adattarli e farli circolare: ci 
riusciamo solo adesso, grazie alla cura di Andrea Degobbis. Diventano così, tra 
l'altro, un omaggio alla stessa Jasna, recentemente scomparsa, grande 
conoscitrice e appassionata della storia dell'antifascismo internazionale.

L'articolo di Milo Petrović appariva sulla rivista Vreme nel 70° anniversario 
dell'inizio della Guerra Civile spagnola, contestualmente alla inaugurazione a 
Belgrado della mostra "Omaggio ai brigatisti jugoslavi", il cui catalogo fu poi 
pubblicato:

Homenaje a los brigadistas yugoslavos
Museo de historia de Yugoslavia, Belgrado 2006 (ISBN 86-84811-07-0)
http://www.cnj.it/documentazione/bibliosfrj.htm#brigadistas 
<http://www.cnj.it/documentazione/bibliosfrj.htm#brigadistas>

Sullo stesso tema si vedano anche:

Marijan Kubik: La guerra di Spagna e gli Jugoslavi
http://www.cnj.it/PARTIGIANI/yugo_french.htm#spagna 
<http://www.cnj.it/PARTIGIANI/yugo_french.htm#spagna>

Iniziativa a Belgrado il 14/9/2006 di reduci e discendenti dei combattenti 
jugoslavi della guerra civile spagnola
http://www.cnj.it/PARTIGIANI/yugo_french.htm#belgrade06 
<http://www.cnj.it/PARTIGIANI/yugo_french.htm#belgrade06>

Segnaliamo infine:

El defensa yugoslavo que dio su vida por la República (MIGUEL ÁNGEL LARA, 
31/03/2017)
... En el cielo de Madrid acabó la vida de un joven de poco más de 26 años que 
llegó a España para defender a la República y en cuyo pasado el fútbol había 
tenido tanto peso como su militancia en el Partido Comunista. El nombre de 
Bosko Petrovic forma parte de la historia de la selección yugoslava de fútbol...
http://www.marca.com/futbol/2017/03/31/58dd782f468aebb82f8b45ef.html 
<http://www.marca.com/futbol/2017/03/31/58dd782f468aebb82f8b45ef.html>


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ORIG.: Španija u srcu (VREME 819, 14. septembar 2006.)
Sve te strašne senke imaju svoja imena u sećanju, imena sazdana od vatre i 
lojalnosti, imena čista, obična, stara i uzvišena, poput imena soli i vode... 
Da, kako izabrati samo jedno ime, među tolikim ućutkanim...
http://www.vreme.com/cms/view.php?id=464964


LA SPAGNA NEL CUORE



Milo Petrović
vicepresidente dell'Associazione dei combattenti di Spagna 1936-39 e amici.
Vreme, 14 settembre 2006

Tutte queste ombre terrificanti hanno i propri nomi nella memoria
nomi costruiti con fuoco e lealtà, nomi puliti, semplici, vecchi e sublimi, 
come le parole sole e acqua...
Sì, come sceglierne uno soltanto tra così tanti silenziosi

Sono trascorsi settant'anni dall'inizio della guerra civile spagnola, evento 
che più che simbolicamente annunciò la Seconda guerra mondiale. Infatti solo 
sei mesi dopo il crollo della Repubblica spagnola, il secondo grande conflitto 
del XX secolo diventava una spaventosa realtà.
La Seconda repubblica, costituita il 14 aprile 1931, rappresentava un notevole 
tentativo modernizzatore. Allo stesso tempo faceva acuire il conflitto tra le 
forze modernizzatrici e quelle che vedevano la grandezza della Spagna nel 
passato. La nuova costituzione, chiave di base per cambiare le arcaiche 
strutture sociali, provocò la resistenza delle forze che si sentivano 
minacciate, sia che si trattasse dei grandi proprietari, che delle gerarchie 
ecclesiastiche e militari. Dall'altra parte, il proletariato urbano e contadino 
impoverito voleva molto di più e più in fretta, cosa che lo portò, assieme alle 
sue organizzazioni politiche e sindacali, in confronto diretto sia con gli 
avversari di classe che le autorità. Nel paese cresceva la tensione, e sempre 
più era difficile controllare le parti in conflitto.
C'era la speranza che le elezioni del 18 febbraio 1936, vinte dal Fronte 
Popolare – composto da partiti repubblicani, socialisti, regionalisti e 
comunisti e sostenuta da partiti anarchici – avrebbe stabilizzato la situazione 
politica nel paese. Invece fu l'inizio di un nuovo acuirsi dei contrasti e di 
nuovi scontri. Una parte del comando militare voleva intervenire 
immediatamente, ma Francisco Franco credeva bisognasse aspettare un'opportunità 
più favorevole. Il governo reagiva lentamente e non riusciva ad imporre 
l'autorità necessaria nemmeno al proprio eterogeneo corpo elettorale. Partirono 
le aggressioni e provocazioni capeggiate dalle forze fasciste e dall'ultra 
destra, ma militanti della sinistra radicale non rimasero a guardare. Gli 
scontri culminarono con gli assassini del tenente lealista Del Castillo il 12 
luglio, e come risposta, il giorno dopo, del dirigente della destra monarchista 
Calvo Sotelo.
Il 18 luglio i generali Mola, Sanjurjo e Franco si sollevarono contro il 
governo legittimo. Malgrado i successi iniziali nelle province settentrionali, 
in Galizia, in zone della Navarra e Castiglia, e la conquista di centri 
importanti come Saragozza e Siviglia, i golpisti non riuscirono nel loro 
intento fondamentale: la conquista a sorpresa di Madrid e Barcellona. Nelle 
città più grandi si formarono milizie popolari che, con armi prelevate dai 
depositi militari, attaccarono e occuparono fortificazioni militari e caserme, 
schiacciando i focolai dei ribelli. I queli però ebbero dalla loro parte unità 
legionarie e marocchine leali a Franco, trasportate dal Marocco su aerei 
tedeschi e italiani. L'Italia fascista e la Germania nazista mandarono ai 
golpisti armamento pesante, carri armati e aviazione. In questa maniera la 
guerra civile spagnola acquistò un carattere internazionale.

La Comunità delle Nazioni
Purtroppo, prima la Gran Bretagna, poi la Francia, imposero, attraverso la 
Comunità delle Nazioni, una politica di non ingerenza nel conflitto “interno” 
della Spagna, conflitto nel quale le autorità legittime vennero equiparate ai 
golpisti, e pertanto impossibilitate ad aquisire armamenti per la propria 
legittima difesa. Solo l'Unione Sovietica e il Messico sarebbero stati dalla 
parte della Repubblica, e le armi sovietiche avrebbero contribuito al 
temporaneo equilibrio militare.
Dalla parte di Franco combatterono anche le forze di Hitler e quelle, molto 
numerose, di Mussolini, nel quadro del cosiddetto corpo volontario. Vi 
parteciparono anche i “volontari” portoghesi, reclutati dal regime di Salazar, 
e un numero trascurabile di volontari internazionali. Dalla parte della 
Repubblica combatterono 35-40 mila volontari da più di cinquanta paesi di tutti 
i continenti, dei quali 1700 della ex-Jugoslavia (1). I volontari jugoslavi 
erano composti da combattenti di varie convinzioni politiche e ideologiche, dal 
centro borghese alla sinistra radicale – lo stesso pluralismo del contesto 
repubblicano spagnolo – ma una cosa avevano in comune: la volontà di difendere 
con prontezza, convinzione, e con le proprie vite, la repubblica spagnola dal 
pericolo fascista che si sporgeva sull'Europa.
Non ci fu altro avvenimento che abbia scosso e mobilizzato il pubblico mondiale 
come lo fece la guerra civile spagnola. A ciò ha contribuito il sostegno alla 
Repubblica da parte di grandi nomi della cultura spagnola e mondiale: Garcia 
Lorca, Neruda, Ernandes, Macado, Alberti, Picasso, Buñuel, Sernuda, Felipe, 
Vallejo, Malro, Hemingway, Eluard, Aragon, e molti altri che misero il loro 
talento al servizio della difesa dei valori repubblicani. Ciò non fu però 
abbastanza per sconfiggere la rivolta della quale Franco, dopo la morte di 
Sanjurjo e Mola, divenne il capo indiscusso. Non fu abbastanza perché i paesi 
occidentali, temendo il rafforzamento delle forze di sinistra – alcune delle 
quali sostenevano apertamente la rivoluzione sociale – si sforzavano di evitare 
lo scontro con le forze dell'Asse, le quali, già nel novembre del 1936, 
riconobbero il governo di Franco con sede a Burgos, e continuarono a sostenere 
i ribelli in uomini ed armi. Con ciò la situazione sul campo iniziò a muoversi 
a loro favore.

Concessione invano
Dopo il fallimento dell'ultimo tentativo della Repubblica di sfondare sull'Ebro 
e capovolgere le sorti della guerra, il governo di Juan Negrino, il 21 
settembre 1938, decise, in conformità con la richiesta della Comunità delle 
Nazioni, di ritirare le brigate internazionali dalla guerra. Fu ciò un 
disperato tentativo di eliminare l'ultimo pretesto che la Germania e l'Italia 
avevano per appoggiare i ribelli. Naturalmente le potenze fasciste non 
rispettarono questa richiesta, mentre l'Unione Sovietica, messa di fronte alla 
questione della sicurezza propria, abbandonò la repubblica al proprio destino. 
La Repubblica fu sconfitta militarmente; mezzo milione di persone cercarono 
salvezza in esilio; la repressione franchista piombò imperterrita su tutti i 
sopravvissuti, nemici veri o immaginari, senza che i paesi occidentali e l'URSS 
evitassero il confronto armato con il nazifascismo. Inoltre, dopo la vittoria 
su Hitler e Mussolini, gli Alleati “dimenticarono” la Spagna e i combattenti 
della Repubblica e il loro contributo ai movimenti di resistenza europei, 
permettendo così a Franco di governare la Spagna con pugno di ferro fino alla 
morte, ovvero per quasi 40 anni.
Il grande maestro della lingua spagnola, Pablo Neruda, spinto appunto da questo 
sentimento di solidarietà, pubblicò nel 1937 “La Spagna nel cuore”. 
Identificandosi con la sofferenza e dolore del popolo spagnolo, Neruda, ad un 
incontro di solidarietà a Parigi, menzionò il suo amico Garcia Lorca, una delle 
prime vittime dell'imminente terrore:

Come osare evidenziare un solo nome in questa enorme giungla riempita dalle 
nostre vittime. Come i poveri contadini andalusi uccisi dai loro vecchi nemici, 
così i minatori delle Asturie, i falegnami, muratori, braccianti cittadini e 
contadini, come qualsiasi delle migliaia di donne uccise e bambini smembrati, 
ognuna di queste ombre ardenti ha diritto ad apparire dinanzi a voi come un 
testimone di questa grande terra dannata, e di loro c'è posto, credo, nei 
vostri cuori, se sono puri da inguistizia e male. Tutte queste ombre 
terrificanti hanno i propri nomi nella memoria, nomi costruiti con fuoco e 
lealtà, nomi puliti, semplici, vecchi e sublimi, come le parole sole e acqua... 
Sì, come sceglierne uno soltanto tra così tanti silenziosi? Ma il nome che 
pronuncerò dinanzi a voi ha dietro ai suoi contorni oscuri una tale ricchezza 
mortale, tanto è pesante e fradicio di significato che, quando lo si pronuncia, 
si pronunciano i nomi di tutti i caduti, difendendo la stessa materia delle sue 
poesie, perché lui fu un sonoro difensore del cuore della Spagna. Federico 
Garcia Lorca! Fu prediletto come la chitarra, gioioso, melancolico, profondo e 
chiaro come un bambino, come il popolo

Solidarietà
La solidarietà che la Spagna ed il mondo conobbero, vista dalla prospettiva 
odierna, sembra quasi impensabile. Ciò che attirò verso la Spgna nel 1936 la 
risvegliata gioventù mondiale furono conoscenza, coscienza, sentimento, 
illusione che in Spagna si difendeva non solo la volontà democratica del popolo 
spagnolo, bensì che si testava la possibilità d'instaurare un mondo nuovo, 
migliore e più giusto, fondato sui princìpi della libertà, uguaglianza e 
fratellanza. Arrivando in Spagna, nei loro cuori bruciava una potente speranza 
che la vittoria sul fascismo avrebbe consolidato e sviluppato quel mondo, in 
Spagna come nei propri paesi d'origine.
Se non abbiamo questo in mente, non saremo in grado di pensare e spiegare 
l'impiegabile determinazione e volontà di decine di migliaia di persone, dalle 
più diverse e più distanti aree del pianeta, della più diversa estrazione 
sociale, interessi, professione e livello di educazione, di arrivare in Spagna 
andando intorno a numerosi ostacoli nei propri paesi d'origine e in tutti i 
paesi di transito.
L'esempio jugoslavo in questo senso è molto eloquente. I lavoratori di vari 
settori, in particolare i minatori, e poi studenti (addirittura alunni) 
contadini, funzionari di vario rango, farmacisti, ingegneri, marinai, soldati 
(incluso aviatori), letteralmente da tutte le parti della ex-Jugoslavia – dalla 
Slovenia alla Macedonia – partivano per difendere la libertà aggredita. Ma gli 
jugoslavi non solo partivano dalla Jugoslavia stessa. Molti furono quelli che 
arrivavano in Spagna da paesi terzi, in cui lavoravano, studiavano, vivevano: 
dall'Italia, Austria, Belgio, Francia, Svizzera, Polonia, Cecoslovacchia, 
Unione Sovietica, Canada, Stati Uniti, Argentina, Brasile, Uruguay, Messico, 
Panama, Grecia, Bulgaria, Albania, Turchia, Algeria ed Iran. Le autorità 
dell'allora Jugoslavia facevano di tutto per impedire la partenza dei volontari 
in Spagna.
Chi invitò, mobilizzò e organizzò questi volontari? Le forze politiche che 
fecero di più per spingere l'arruolamento dei volontari e il loro trasporto in 
Spagna furono indubbiamente il Comintern, il quale già nell'autunno del 1936 
trasmise un invito ai volontari di partire per la Spagna; e i vari partiti 
comunisti, a quel tempo le forze più organizzate della sinistra mondiale. Il 
trasferimento ebbe luogo principalmente attraverso Parigi, dove esisteva un 
punto di accoglienza e trasferimento organizzato. I volontari transitavano ad 
ogni modo anche per altri canali, ed è indubbio che ci fu chi arrivò in Spagna 
in precedenza all'appello del Comintern, e che si unì alle unità dell'armata 
repubblicana e delle milizie popolari. Il governo della Repubblica decise di 
formare le brigate internazionali il 22 ottobre 1936.

Diversità
Sia tra gli jugoslavi, come tra i volontari di altri paesi, ci furono, accanto 
ai comunisti, persone di altro orientamento ideologico. Tra gli jugoslavi era 
caratteristica la presenza di sostenitori dell'HSS di Stjepan Radić, nome 
portato da un'unità jugoslava (2). Il punto di riferimento comune dei volontari 
era l'antifascismo, non il comunismo. La metà vi rimase in Spagna. Perivano sui 
campi di battaglia attorno Madrid, difesa letteralmente con i propri corpi, 
sulla Jarama, a Guadalajara, a Brunete, Teruel, Belchite, Ebro. Con la morte 
divennero cittadini spagnoli e in Spagna trovarono la destinazione finale. I 
loro pochi compagni sopravvissuti avrebbero ricevuto questo diritto, promesso 
loro dalla Repubblica, solo 60 anni più tardi, con la decisione unanime del 
parlamento spagnolo di insignire della cittadinanza tutti i combattenti delle 
brigate internazionali.
A seguito della sconfitta della Repubblica e la ritirata oltre i Pirenei, gli 
jugoslavi superstiti, assieme ai compagni di altri paesi, passarono per i campi 
di concentramento e carceri francesi, parteciparono alla resistenza in Francia 
e altrove, mentre una parte riuscì a ritornare in Jugoslavia, le cui autorità 
facevano di tutto per impedirne il ritorno, rendendosi direttamente 
responsabili del prolugamento della prigionia nei campi. In tutto ne 
ritornarono 350, di cui 250 parteciparono alla Guerra di liberazione popolare. 
Arricchiti dell'esperienza spagnola, diedero un grande contributo alla 
liberazione del proprio paese. Metà perse la vita sui campi di battaglia 
jugoslavi, molti ricevettero il titolo di eroi popolari, e tutti e quattro i 
comandanti delle quattro armate dell'Esercito Popolare di Liberazione – durante 
le ultime fasi della liberazione della Jugoslavia – erano reduci di Spagna: 
Koča Popović, Peko Dapčević, Kosta Nađ e Petar Drapšin.
Quando si fa un bilancio del contributo dei volontari internazionali alla 
difesa della Spagna, bisogna considerare due aspetti: la prima è che essi non 
poterono essere il fattore decisivo, per il fatto che il loro numero non 
ammontò mai a più di circa quindicimila, anche se in alcuni momenti e in alcune 
battaglie, come la difesa di Madrid, giocarono un ruolo notevole; la seconda è 
che il loro contributo fu molto più importante sul piano morale e politico, 
perché con il loro esempio dimostrarono al popolo spagnolo e a tutto il mondo 
come e perché era necessario lottare contro il fascismo.
Delle genti di quell'epoca scriveva anche Octavio Paz: “Mi ricordo che in 
Spagna, durante la guerra, scoprì un 'uomo diverso' e un altro tipo di 
solitudine... Non c'è dubbio che la vicinanza della morte e la fratellanza 
delle armi producono, in tutte le epoche e in tutti i popoli, un'atmosfera 
nella quale l'eccezionalità è propria, tutto ciò che supera il destino umano e 
interrompe il circolo della solitudine che circonda ogni essere umano. Ma su 
questi visi – visi ottusi e testardi, crudi e ruvidi, simili a quelli che, 
senza ritocchi e praticamente senza crudele realismo, ci ha lasciato la pittura 
spagnola – fu qualcosa come una disperata speranza, qualcosa di assai concreto 
e allo stesso tempo assai universale. Non ho mai più rivisto simili visi.

(APPENDICE I)
Note e commenti di Jasna Tkalec

(1) Dei circa 40 mila, la metà furono i caduti, dispersi o feriti. Gli italiani 
furono 4 mila. Altri 5 mila combatterono nell'esercito repubblicano regolare, 
mentre 20 mila fecero parte dei servizi sanitari e ausiliari.
(2) Secondo Zorica Stipetić, nota professoressa universitaria della storia 
contemporanea, non ci fu un'unità dal nome di Stjepan Radić, anche se non è da 
escludere del tutto. Fra i rimpatriati, affermò la dottoressa, solo tre furono 
di provenienza non comunista, del partito HSS appunto. Ma qui tre venivano 
sempre invitati dappertutto – soprattutto in Croazia – dove si voleva essere 
magnanimi con quel partito, specie dopo l'assassinio di Radić. L'HSS fu 
successivamente guidato da Maček, una figura politica odiosa che firmò 
l'altrettanto odioso patto di non-belligerenanza con i nazisti – il patto 
Cvetković-Maček, che provocò le dimostrazioni popolari dell'8 marzo a Belgrado 
e il bombardamento del 6 aprile 1941.
Maček affermava sempre di non volere che il suo paese indossi "la sanguinosa 
camicia spagnola", facendo arrestare chi era coinvolto nel supporto logistico 
alla partenza dei volontari. Radić non apparteneva alla sinistra – nonostante 
la politica del Partito Comunista Jugoslavo durante la Guerra popolare di 
liberazione di attirare a sé l'ala sinistra dell'HSS – mentre una brigata 
dell'Esercito Popolare di Liberazione prendeva, qui sì, il nome di Stjepan 
Radić.
Insomma, sostenere che in Spagna combatterono i nazionalisti croati è errato e 
offensivo. In Spagna erano andati i comunisti, organizzati dai comunisti. Molti 
finirono in carcere per aver organizzato queste spedizioni clandestine. I 
comunisti jugoslavi e croati non avevano come ideale alcun nazionalismo, né 
croato, né spagnolo, né russo – ma una lotta nobile quanto giusta, per la 
giustizia e la libertà. Il libro jugoslavo più bello e struggente 
dell'esperienza spagnola è "Memorie" di Gojko Nikoliš, medico nonché 
ambasciatore jugoslavo in India e uomo di lettere.
Un mio zio, Rocco, è stato combattente in Spagna, e mia madre faceva parte 
delle operazioni di trasporto. Ho ereditato le lettere e gli oggetti fatti nel 
campo di concentramento di Gyrs, dove lo zio fu rinchiuso dal governo di Blum e 
Daladier. I reduci di Spagna furono rinchiusi nei campi per mesi, trattati in 
modo disumano e incivile. Dovevano scontare la colpa di aver combattuto per la 
libertà.
Sia la Repubblica spagnola che le Brigate internazionali non erano composte 
soltanto da comunisti, ma appunto da internazionalisti, e con i nazionalisti 
croati, serbi o montenegrini non avevano niente in comune. Inoltre, il fulcro e 
il cuore dell'azione nonché della lotta armata era sostenuta in primo luogo dai 
comunisti e dagli antifascisti. I nazionalisti croati né di allora né di oggi 
con la guerra di Spagna, insomma, non avevano nulla a che vedere; semmai 
avevano legami stretti con Franco – dove si erano rifugiati gli scannatori 
ustascia al termine della Seconda guerra mondiale.
(A cura di Andrea Degobbis)

(APPENDICE II)
Dall'ENCIKLOPEDIJA JUGOSLAVIJE
(Jugoslavenska enciklopedija Leksikografskog Zavoda) del 1971, volume 8, p. 261

Da volontari jugoslavi e di altri paesi balcanici si era formata già 
nell'ottobre del 1936 una “Unità balcanica". Questa prese parte alla difesa di 
Madrid. I volontari provenienti da Trieste, dal Litorale sloveno e dall'Istria 
entravano nella composizione della XII brigata italiana Garibaldi. "Unità 
balcanica" divenne Battaglione Đuro Đaković (dal nome del segretario del 
Partito Comunista Jugoslavo ucciso dai gendarmi dalla polizia jugo-monarchica 
qualche anno prima).
Questa unità entrò a far parte del Battaglione Capajev nella XIII brigata 
polacca Dombrovski.
Molti jugoslavi si trovarono a combattere nella brigata anglo-americana 
Lincoln, dove con volontari cecoslovacchi, bulgari e altri componevano il 
battaglione Dimitrov. Di quest'ultimo fece parte anche l'Unità Matija Gubec 
dello Zagorje.
La XV brigata fu comandata da uno dei dirigenti del Comitato centrale del 
Partito Comunista Jugoslavo, Vladimir Ćopić. Questa brigata prese parte alla 
grande battaglia sulla Jarma nel febbraio del 1937, a sud di Madrid. Prese 
parte nell'autunno del 1937 alle operazioni presso Quinto e Belchite.
Le brigate XIII e XV presero parte all'operazione del luglio 1937 a Brunete (a 
ovest di Madrid). In questa operazione cadde il commissario politico della 
brigata, Blagoje Paravić, uno dei membri del politburo del CC del PC jugoslavo
Nel corso delle battaglie sul fiume Ebro, all'inizio del 1938, i superstiti dei 
battaglioni Dimitrov e Đuro Đaković formarono la CXXIX Brigata Internazionale, 
il cui comandante fu lo jugoslavo Aleksej Demetrijevski-Bauman. Questa brigata 
prese parte anche alle battaglie difensive nel settore Levante (sud-est 
dell'Ebro).
Come la guerra volgeva verso la fine, venne costituito, da combattenti già 
smobilitati, il Battaglione Balcanico, sotto il comando di Kosta Nađ. Quel 
battaglione aveva sostenuto gli ultimi scontri armati coprendo la ritirata 
dell'esercito repubblicano oltre i Pirenei.
(traduzione Jasna Tkalec)


(APPENDICE III)
L'ADDIO di Dolores Ibarruri (La Pasionaria) a Barcellona il 28 ottobre 1938

[L'originale a latere di: Španija u srcu, VREME 819, 14. septembar 2006.,
http://www.vreme.com/cms/view.php?id=464964 ]

“La sensazione di tristezza e dolore infinito ci stringono la gola...
Tristezza per quelli che se ne vanno, per i soldati del maggiore ideale della 
salvezza umana, per gli espulsi dalla propria patria, per i perseguitati dai 
tiranni.
Il dolore è enorme per quelli che rimangono per sempre nella nostra terra...
I Jarama, i Guadalajara, i Brunete, i Belchite, i Levante, gli Ebro cantano con 
versi immortali il coraggio, l'abnegazione, l'eroismo e la disciplina di tutti 
i combattenti delle brigate internazionali.
Per la prima volta nella storia dei popoli si registra l'opera grandiosa di 
creare le brigate internazionali per salvare la libertà e l'indipendenza di un 
paese minacciato, la nostra Spagna.
Comunisti, socialisti, anarchici, repubblicani, uomini di colore e ideologie 
diverse, di religioni diverse, persone che sinceramente amano la libertà e 
giustizia, sono venuti con disinteresse ad aiutarci.
Ci hanno dato tutto: la propria giovinezza e la propria maturità, il proprio 
sapere e la propria esperienza, il proprio sangue e la propria vita, le proprie 
speranze e i propri desideri... E non ci hanno chiesto niente. O meglio, hanno 
chiesto, hanno chiesto un posto nella lotta, volevano avere l'onore di morire 
per la nostra causa...
E quando i rametti sbocciati della pace s'intrecceranno nella corona di 
vittoria della Repubblica spagnola, ritornate a noi! Ritornate tra noi. Qui 
troverete la patria tutti voi che non ce l'avete, troverete amici tutti voi 
privati dell'amicizia, tutti voi troverete l'amore e la gratitudine dell'intero 
popolo spagnolo che oggi e domani entusiasticamente esulterà: Evviva gli eroi 
delle brigate internazionali!
(Traduzione Jasna Tkalec)


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