La truffa lombardo-veneta

1) Nota del Comitato Nazionale dell'ANPI
2) L’imbroglio del referendum lombardo-veneto, di Giorgio Cremaschi
3) Le regioni andrebbero abolite, di Ugo Boghetta e Mimmo Porcaro
4) 22 ottobre, referendum autonomista lombardo-veneto: c’è chi dice NO, di 
Fronte Popolare
5) Referendum in Lombardia e Veneto /1. Prepariamoci a votare NO, di Sergio 
Cararo


Vedi anche:

Die deutsche Ethno-Zentrale / Germania e separatismi: l’economia della 
secessione (rassegna JUGOINFO del 16.10.2017)
https://www.mail-archive.com/jugoinfo@yahoogroups.com/msg00144.html

Lombardia e Veneto: referendum inutile? No, utilissimo…a loro! (di Pierluigia 
Iannuzzi, 30/09/2017)
Tutti i partiti maggiori voteranno e spingono a votare “si” ma certa sinistra 
si ostina a predicare l’inutilità del referendum autonomista e l’astensionismo. 
Ma siamo davvero sicuri che sia così?
https://www.lacittafutura.it/dibattito/lombardia-e-veneto-referendum-inutile-no-utilissimo-a-loro.html

Regione Lombardia: referendum sulla autonomia ed “evoluzione” del sistema 
sanitario lombardo (di Gaspare Jean, su Gramsci Oggi n.3/2017)
...  3 milioni di ammalati cronici lombardi riceveranno entro ottobre 2017 una 
lettera con indicati i Gestori accreditati che dovranno scegliere; da 
indiscrezioni sembra che questa lettera abbia il seguente tono: “ La Regione 
Lombardia fa uno sforzo notevole per far si che i malati cronici non debbano 
avere lunghe liste d’attesa... avrebbe potuto fare di più se fosse più autonoma 
e libera di stilare coi MMG una convenzione regionale e coi dipendenti un 
Contratto regionale invece che nazionale. Scegliete dunque il GESTORE e votate 
per una maggiore autonomia.”...  I gravi disagi che gli ammalati cronici 
lombardi hanno non sono dovuti a mancanza di maggior autonomia della Lombardia 
ma a scelte precise della maggioranza di centro-destra che ha puntato sulla 
privatizzazione, sulla centralità della medicina ospedaliera e specialistica a 
scapito dei distretti sanitari che sono stati aboliti, sulla esclusione dei 
Comuni dal Servizio Sanitario regionale, sulla mancata integrazione tra servizi 
sociali e sanitari...
http://www.gramscioggi.org/index_file/Gramsci%20oggi-003-2017.pdf


=== 1 ===

Fonte: ANPI News n. 260 – 10/17 ottobre 2017

Il Comitato Nazionale dell'ANPI,
preso atto che il 22 ottobre i cittadini delle Regioni Veneto e Lombardia 
saranno chiamati a votare sui quesiti proposti dalle due Regioni, con cui, in 
sostanza, si chiedono maggiore autonomia e maggiori poteri;
sentiti i dirigenti provinciali e regionali delle due Regioni interessate,
osserva:
i due quesiti, pur diversi nella forma, hanno carattere meramente consultivo e 
mirano ad ottenere ciò che è previsto, in altra forma, dalla Costituzione 
italiana, che disciplina il sistema delle autonomie, per quanto interessa in 
questo caso, con gli artt. 5 e 116 e, in particolare, in quest'ultimo articolo 
con la norma che prevede espressamente la possibilità che “ulteriori forme e 
condizioni particolari di autonomia possono essere attribuite ad altre Regioni 
con legge dello Stato, su iniziativa delle Regioni interessate, sentiti gli 
Enti locali”.
Si tratta, dunque, di referendum sprovvisti di qualsiasi utilità e comportanti 
oneri di spesa notevoli, su obiettivi che possono essere già raggiunti in altro 
modo, nelle opportune sedi e forme istituzionali. Basterebbe questo per indurre 
l'ANPI ad estraniarsi rispetto a tali consultazioni. Non può esimersi, 
tuttavia, l'ANPI dall'osservare che il sistema delle autonomie, non solo è 
regolato da diverse disposizioni specifiche, a cominciare dall'art. 5 e da 
tutta la parte che riguarda i rapporti tra i poteri centrali, le Regioni e i 
Comuni, ma rientra anche nella disciplina generale di cui all'art. 2, che 
impone a tutti (cittadini e istituzioni) “l'adempimento dei doveri inderogabili 
di solidarietà politica, economica e sociale”. Ogni questione attinente alle 
autonomie non può ispirarsi a criteri particolaristi ed egoistici, ma deve 
potersi ricondurre anche ai doveri di solidarietà di cui, appunto, all'art. 2.
Ogni cittadino è libero di votare come crede, ma farà bene a tener presente, 
sempre, i princìpi che si ricavano, in modo indiscutibile e chiarissimo, dalla 
Carta Costituzionale.

Roma, 14 settembre 2017


=== 2 ===

http://contropiano.org/interventi/2017/10/17/limbroglio-del-referendum-lombardo-veneto-096748

L’imbroglio del referendum lombardo-veneto

di Giorgio Cremaschi, 17 ottobre 2017

Le stesse forze politiche che, contrapposte, si candidano al governo del paese 
e che si scontrano sulla nuova legge elettorale, sostengono unanimi i 
referendum per l’autonomia che si terranno in Lombardia e Veneto il 22 ottobre.

Non è vero dunque che le due consultazioni siano un puro patrimonio leghista, 
anche se così vengono presentate. In Lombardia il referendum è stato approvato 
da tutto il centrodestra e dai cinque stelle. Il Partito democratico, 
inizialmente contrario, ha poi cambiato posizione: il sindaco Sala di Milano, 
il futuro candidato alla regione ora sindaco di Bergamo, Gori, insieme a tanti 
altri si sono pronunciati per il SI.

Nel Veneto il PD si è astenuto sul referendum, poi ha dato indicazione per il 
SI, tutte le altre formazioni politiche hanno la stessa posizione dei loro 
omologhi lombardi. In sintesi in Lombardia e Veneto Renzi, Berlusconi, Di Maio 
e persino Meloni, almeno tramite i loro referenti locali, sono d’accordo con il 
referendum di Salvini, Maroni e Zaia. È l’unità regionale totale. Che ora il PD 
vorrebbe estendere anche in Emilia Romagna ed in Puglia, con analoghe 
consultazioni.

In Lombardia e Veneto le sole voci fortemente contrarie vengono dalla sinistra 
non rappresentata nei parlamentini regionali, da movimenti sociali, da 
sindacati di base come USB, voci troppo flebili per rompere la monotonia di una 
campagna elettorale inquietante, dove è in campo solo il SI sostenuto con 
ingenti finanziamenti dalle istituzioni regionali.

Ma se sono tutti d’accordo i principali schieramenti politici delle due 
regioni, a che serve il referendum? La domanda ha una risposta scontata da 
parte dei presidenti regionali: il voto serve a far contare il popolo. É vero? 
Assolutamente no.

I due quesiti referendari non fanno domande precise, le uniche sulle quali il 
pronunciamento popolare potrebbe davvero decidere e contare. Avete presente il 
nostro referendum costituzionale, quello sulla Brexit, quello greco sul 
memorandum della Troika, quello sulla indipendenza della Catalogna? Ecco, 
quelle consultazioni con il voto del Lombardo-Veneto non c’entrano nulla. 
Quelli sono stati pronunciamenti con domande chiare che esigevano altrettante 
risposte chiare; e infatti la politica poi ha fatto molta fatica a reggere il 
responso popolare, anzi a volte lo ha rinnegato proprio.

Questo rischio, per i referendum sull’autonomia, non si corre: essi non 
chiedono nulla e quindi, quale che sia, la risposta popolare ad essi nulla 
conterà. Per quelle forze politiche italiane abituate a tradire i propri 
programmi un minuto dopo averli varati, questo voto è perfetto. Tutti impegnati 
senza veri impegni.

Il quesito veneto è semplicissimo: volete più autonomia? Quello lombardo, 
evidentemente frutto di qualche consulenza giuridica più meditata, accenna al 
rispetto dell’unità nazionale, della Costituzione e esplicita la richiesta di 
maggiori risorse.

Quali? Qui c’è l’ imbroglio.

L’Italia ha il fiscal compact, quello che Renzi e Salvini dicono di voler 
cambiare, direttamente inserito nella Costituzione. La modifica dell’articolo 
81 è un atto devastante della nostra democrazia, compiuto quasi alla unanimità 
dal parlamento precedente a quello attuale. Assieme alla costituzionalizzazione 
dell’austerità ci sono poi il patto di stabilità che distrugge l’autonomia di 
spesa degli enti locali e il controllo diretto della UE sui bilanci pubblici.

Come si fa a chiedere più autonomia per le regioni, se tutto il meccanismo di 
governo imposto dalla austerità europea nega ogni libertà di spesa a tutte le 
istituzioni della Repubblica?

Maroni e Zaia sono al governo delle due regioni più ricche del paese, che 
assieme hanno un quarto della popolazione. Immaginate una loro iniziativa 
istituzionale per cancellare il fiscal compact e il patto di stabilità. Questa 
sì che avrebbe bisogno del consenso del popolo, proprio perché si tratterebbe 
di imporre allo Stato una diversa politica economica, anche in conflitto con i 
vincoli UE.

Ma la Lega nord e tutte le principali forze politiche italiane sono oggi 
“europeiste”. Meglio quindi chiedere una autonomia che in realtà non è permessa 
a nessuno, meglio fare domande che non vogliono dire nulla nel sistema 
economico governato dalla troika. Meglio un referendum finto che impegnarsi 
davvero in un conflitto col potere centrale. Questo si fa sui venti migranti 
ospitati a San Colombano, non sulle spese per lo stato sociale.

I referendum lombardo e veneto non propongono alcuna revisione reale delle 
spese dello Stato e delle regioni, alludono soltanto a più soldi al nord e meno 
al sud; ma anche in questo imbrogliano, perché con il vincolo europeo di 
bilancio – che Maroni e Zaia accettano – neanche una redistribuzione iniqua 
delle risorse potrebbe essere fatta. Si taglia dappertutto e basta.

Dunque il quesito sull’autonomia è fasullo, però dietro di esso se ne nasconde 
uno vero, che non a caso ha raccolto grande consenso nel mondo imprenditoriale. 
La domanda nascosta è: visto che l’austerità istituzionale vincola rigidamente 
il bilancio della regione, possiamo riconquistare autonomia privatizzando?

Trasporti, servizi sociali, istruzione e soprattutto la sanità nelle due 
regioni a guida leghista sono sempre più regalati al mercato. I milioni di 
malati cronici della Lombardia saranno affidati ad un gestore privato che avrà 
il compito di amministrare le loro cure, naturalmente trovando il modo di farci 
profitti. In Veneto l’appalto ai privati della costruzione e della gestione di 
uno dei più grandi ospedali della regione è diventato un bengodi senza 
precedenti per gli affari. La regione Lombardia è più sollecita della ministra 
Fedeli nell’offrire alle aziende il lavoro gratis degli studenti 
nell’alternanza scuola lavoro.

Il “Si” chiesto da Maroni e Zaia serve dunque prima di tutto a questo: ad 
approvare la connessione sempre più stretta tra politica ed affari e la 
privatizzazione dello stato sociale e dei servizi pubblici, ove Lombardia e 
Veneto sono all’avanguardia.

I due referendum autonomisti sono un imbroglio a diversi strati di inganni, il 
cui solo scopo è creare consenso al sistema di potere che governa le due 
regioni più ricche d’Italia. Che tutte le principali forze politiche delle due 
regioni siano d’accordo, è solo un ulteriore segno del degrado della nostra 
democrazia.


=== 3 ===

http://contropiano.org/documenti/2017/09/29/referendum-lombardia-veneto-le-regioni-andrebbero-abolite-096109

I referendum in Lombardia e Veneto. Le regioni andrebbero abolite

di Ugo Boghetta - Mimmo Porcaro, 29 settembre 2017

Il 22 ottobre in Lombardia e Veneto si terranno due referendum promossi dai 
presidenti (pardon, governatori) leghisti Maroni e Zaia al fine di avere 
l’avallo per chiedere al Governo e al Parlamento una maggiore autonomia. E già 
qui si vede che si tratta di referendum farlocchi: una tale richiesta Maroni e 
Zaia potrebbero tranquillamente farla già da oggi, quindi quello che si vuole è 
un plebiscito, pura propaganda.

A questi referendum si affiancano le mozioni presentate nelle regioni del sud 
dall’ormai ineffabile M5S per l’istituzione della giornata della memoria delle 
vittime dell’Unità d’Italia. Così. Di colpo. Senza nessun preliminare 
ragionamento sulla complessità del processo unitario e dei suoi effetti, sulla 
natura di classe dell’unificazione. Aria di elezioni, insomma.

Si tratta sì delle ennesime armi di distrazioni di massa. Ma, in realtà, creano 
confusione e, per questo, sono cose importanti e pericolose. Sono importanti 
per la prospettiva del paese e delle classi popolari che lo abitano. Sono 
pericolose perché coincidono con gli interessi dell’imperialismo statunitense e 
di quello tedesco (per ora – e ancora per poco? – subordinato al primo, ma per 
noi non meno letale).

L’Italia vive da tempo una situazione di stallo. Più o meno dall’entrata 
nell’Unione Europea e dalla firma del trattato di Maastricht: 7 gennaio ’92. 
Come si vede il periodo coincide con il sorgere della cosiddetta seconda 
repubblica e degli equivoci ideologici che l’hanno generata ed accompagnata.

Ma tale confusione è entrata in una nuova fase. Da una parte avremo 
l’implementazione dell’Unione a “due velocità”, che accentuerà il baricentro 
nordico e la germanizzazione dell’Europa (e il recente risultato elettorale 
tedesco non interromperà il processo, ma lo renderà per noi più pesante). E 
tutto ciò con l’aiuto contraddittorio della Francia. È dall’avvio dell’Unione 
che abbiamo sempre dovuto subire gli intrighi, le volontà e l’estorsione del 
gatto e della volpe, ed ogni idea nostrana di giocare l’uno contro l’altra si è 
mostrata finora campata per aria: e non soltanto perché non c’è un Cavour. 
Sempre più il popolo italiano ha tutto da perdere dall’Unione. I paesi 
mediterranei diventeranno via via più periferici, e così quelli dell’est, che 
inoltre accentueranno la loro subalternità agli Usa.

Per l’altro verso, l’elezione di Trump e lo scontro in atto negli Usa, hanno 
reso più blanda la presa statunitense e accentuato i mutamenti e le tendenze 
multipolari: la Germania sa benissimo che prima o poi dovrà scegliere di 
percorrere di nuovo la via della politica di potenza, anche se farà di tutto 
per realizzarla attraverso l’Unione. Infine, terzo e quarto attore, la Russia 
si presenta come argine militare alle pericolosissime iniziative occidentali e 
la Cina come alternativa economica (“via della seta”) al deflazionismo 
(classista) dell’Unione europea: ed entrambi come vasti mercati per le imprese 
italiane e come soggetti di un ordine finanziario alternativo.

Questa situazione in sé sarebbe positiva, se soltanto si fosse in grado di 
sfruttarla. Essa infatti amplia gli spazi per costruire una posizione non 
subalterna agli uni ed agli altri (un ruolo centrale dei paesi mediterranei, o 
meglio ancora di una confederazione europea radicalmente modificata). Ma a tal 
fine dovremmo saper riconquistare un po’ di dignità e di indipendenza. In 
questo contesto, infatti, potremmo meglio sviluppare gli interessi nazionali 
(cosa a cui abbiamo fatto cenno in un recente articolo 
<http://www.socialismo2017.it/2017/09/26/viva-la-catalogna-abbasso-litalia/>: 
viva la Catalogna abbasso l’Italia) e dall’altra potremmo lavorare meglio per 
un mondo multipolare, che è l’assetto migliore per tutti i paesi medio-piccoli 
e per ostacolare l’assoluta mobilità del capitale, causa prima del 
pluridecennale arretramento dei lavoratori.

Al contrario, se continua questo confusionismo, col nord leghista che vuole 
diventare il sud della Baviera, col sud che si accontenta di diventare 
definitivamente la piattaforma USA nel Mediterraneo, il paese rischia la 
disgregazione, ed ogni sua parte va incontro ed altri secoli di sudditanza.

Ovviamente queste grandi questioni si mischiano alle miserie interne ai 
partiti. Maroni e Zaia si muovono contro l’ipotesi nazionale di Salvini. Il PD 
vota Sì ai referendum al nord ed aderisce alle mozioni dei M5S al sud, da un 
lato mostrando di essere diventato un partito colabrodo, e dall’altro 
intestardendosi coerentemente con il federalismo: quello fiscale fu un frutto 
loro. A questo proposito, non tutti sanno che le richieste per le modifiche 
della “Bassanini” inserite nel recente referendum sulle modifiche 
Costituzionali erano state avanzate dalle Regioni stesse perché fonti di caos.

Nemmeno il M5S scherza. Al nord stanno col Sì perché si vota con i computer: 
uno sballo on-line! Al sud propongono una mozione che apre una questione 
sull’unificazione dell’Italia (cosa, come abbiamo detto, certamente 
controversa) scegliendo come data della giornata della memoria quella della 
fine del regno borbonico: un atto reazionario o di estrema stupidità. Perché 
non scegliere il giorno del massacro di Bronte, sanguinosa espressione del 
carattere classista dell’unificazione? In questo caso il messaggio 
storico-politico sarebbe stato chiaro. Forse troppo chiaro. Perché non 
celebrare il giorno in cui fu ucciso Pisacane, che al cambiamento sociale 
credeva davvero, e che fu massacrato da contadini istigati dai Borboni e dagli 
agrari (gli altri decisivi agenti – questi ultimi – di una unificazione che non 
fu voluta solo dai “piemontesi”)? È su queste questioni che l’Unità d’Italia al 
sud ha preso la piega gattopardesca che ha dato i risultati che ha dato.

Come si vede, non c’è nessun contenuto classista,progrsessita, democratico in 
nessuna delle due posizioni.

In ogni caso, mettere di fatto in discussione l’Unità d’Italia, frammentarla, 
esporla alle incursioni di interessi stranieri è da criminali. Così come lo è 
stata l’entrata nell’Unione e nell’euro. Ciò non può che accentuare 
l’autorazzismo degli italiani sempre pronti a denigrarsi: un popolo che 
dimentica la propria storia (e la sua complessità) non va data nessuna parte.

Ma a questo quadro generale si deve aggiungere un altro tema.

I referendum chiedono più autonomia regionale. Il fatto è che, (a parte l’uso 
politico che PCI e PSI ne fecero all’epoca, usando con qualche successo le 
Regioni da loro governate come contraltare al governo centrale democristiano) 
queste istituzioni sono un fallimento. Costano davvero una barca di soldi. 
L’unico loro ruolo è distribuire i denari della sanità, dell’assistenza e dei 
trasporti (80/90% del bilancio) e, nel farlo, contribuiscono non poco ad acuire 
le già pesanti differenze trai servizi sociali nelle diverse zone del paese. 
Rendono volutamente complicato il processo decisionale. Legano strettamente i 
partiti ed i loro uomini ai diversi gruppi di interesse. Sono composte da 
territori storicamente eterogenei. Non sono sentite come istituzioni veramente 
interessanti a livello elettorale: le votazioni importanti sono quelle 
nazionali e quelle locali.

Se da una parte, dunque, va fatto fallire il referendum-plebiscito chiesto da 
Maroni e Zaia, dall’altra bisognerebbe proporre un modello istituzionale 
alternativo adeguato ai tempi. Questo non può che essere uno Stato centrale 
autorevole ed efficace all’interno, con una politica adeguata, forte e 
cooperativa all’esterno. Uno Stato che sappia trasferire parte dei poteri e 
delle risorse delle Regioni a livello locale: Comuni e Province. E abolire le 
Regioni. Allo Stato quello che è dello Stato. Agli enti locali quello che è 
meglio che gestiscano loro.

Serve un nuovo Stato per un nuovo e diverso interesse nazionale. In fondo è 
qualcosa di simile a ciò che ha proposto Melénchon con France insoumise.



=== 4 ===

https://www.lacittafutura.it/dibattito/22-ottobre-referendum-autonomista-lombardo-veneto-c-e-chi-dice-no.html
 
<https://www.lacittafutura.it/dibattito/22-ottobre-referendum-autonomista-lombardo-veneto-c-e-chi-dice-no.html>

22 ottobre, referendum autonomista lombardo-veneto: c’è chi dice NO

Appello per il No al referendum consultivo: per contrastare la pericolosa 
ideologia dei partiti maggiori ma anche per opporsi all’inerzia di quella 
sinistra che cede le piazze ai fascisti.

di Fronte Popolare  09/09/2017

Il prossimo 22 ottobre gli elettori di Lombardia e Veneto saranno chiamati ad 
esprimersi in un referendum consultivo sulla cosiddetta autonomia. Fatto salvo 
che in caso di vittoria del SI oggi non cambierebbe niente (rimandiamo ad altre 
più puntuali riflessioni le analisi economiche e giuridiche sul tema), con 
questo contributo vogliamo concentrarci soprattutto sul portato ideologico 
della consultazione, che merita a nostro parere molta attenzione e su cui, da 
Milano, siamo a fare un appello alla mobilitazione a tutti i Compagni sparsi 
per l’Italia.

Illustriamo il quadro politico odierno in Lombardia.

Ovvia è la posizione per il SI dei leghisti promotori, dove comunque il 
referendum è infine uno “spottone” per Maroni in vista delle “vere elezioni” 
regionali del 2018.

Non stupiscono, e consideriamo pericolose, le posizioni degli altri partiti 
padronali, 5 Stelle e PD, che si adeguano al generale spostamento culturale del 
paese sempre più a destra. Dichiarazioni sulla “razza” da difendere, regole da 
rispettare, meno dipendenza dallo Stato centrale sono slogan che purtroppo 
colpiscono e raccolgono facili consensi. Mentre il PD Veneto è direttamente 
schierato per il SI, quello lombardo fa dichiarazioni non così nette, ma manda 
avanti i cavalli di razza, vale a dire diversi autorevolissimi sindaci lombardi 
come Sala a Milano(fra i primi a schierarsi per il SI già a primavera scorsa) 
oppure Giorgio Gori, Sindaco di Bergamo (e già direttore di Italia 1 anni 
addietro); quest’ ultimo tra i fondatori di comitati di amministratori del PD 
per il SI.

I 5 stelle, a cui va riconosciuto un buon lavoro a livello di consiglio 
regionale, un giorno attaccano Maroni mentre l’altro sui loro siti ufficiali 
arrivano a dire che il referendum l’hanno scritto loro 
<https://www.lacittafutura.it/editoriali/il-renziano-beppe-grillo.html>, e 
godono “perché si voterà in maniera elettronica”, ed alla fine del gioco i 
tablet rimarranno nelle scuole…riesumando antichi slogans alla Berluscones (un 
computer per ogni scuola, primi anni ’90!). La posizione del sito lombardo 
grillino (qui è arduo dire “dei loro dirigenti”) è dettata probabilmente e da 
“studi di settore”, ovvero, visto che l’aria che tira è sempre del tipo “a Roma 
rubano tutti”, viene loro imposto di schierarsi per il SI, anche se notiamo, da 
qualche prima inchiesta, che per molti elettori dei 5 stelle non dovrebbe 
essere semplice votare come lega e PD, ovvero come quella che loro chiamano la 
“partitocrazia”.

Anche a sinistra la situazione è complessa: diverse organizzazioni hanno 
dichiarato che faranno “astensione attiva”, cioè campagna elettorale per NON 
andare al voto, “puntando” sulla presunta bassa affluenza alle urne, dove 
comunque il SI dovrebbe prevalere grandemente, viste le posizioni politiche 
espresse dei maggiori partiti.

Noi di Fronte Popolare, quindi, ci siamo chiesti cosa fare. Considerata 
(purtroppo) la poca influenza, in termini assoluti numerici, della sinistra in 
Lombardia sul risultato finale della consultazione, noi comunisti, analizzato 
il quadro politico riassunto qui sopra, abbiamo deciso invece di partecipare e 
fare campagna elettorale per votare, e votare NO.

Il fatto che la consultazione indetta per ottobre abbia carattere puramente 
consultivo non solo non ne diminuisce la pericolosità, ma ne sottolinea il 
portato insidiosamente ideologico: pensare di contenere un simile risultato 
mediante l'incentivazione della bassa affluenza è pura illusione.

Ci troviamo, per citare il compagno Antonio Gramsci 
<https://www.lacittafutura.it/unigramsci.html>, in quella fase in cui “la crisi 
consiste appunto nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere: in 
questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati”.

Ecco compagni, qui al Nord sentiamo, purtroppo più che altrove, il senso di 
questa frase di Gramsci. Per chi sta “dalla parte del torto” la situazione non 
è per niente facile. Chi milita, chi partecipa, chi fa qualcosa e non passa le 
giornate davanti alla TV, tocca con mano ogni giorno la diminuzione degli spazi 
di agibilità politica, sia dal punto di vista della repressione ufficiale sia 
da quello di quella culturale: i casi di aggressioni contro gli antifascisti in 
Lombardia sono in costante aumento, ancora grida vendetta l’ irruzione di fine 
Luglio a Palazzo Marino, il Comune di Milano, con conseguente ferimento di due 
compagni.

Non meno importante ricordare che questo è un referendum promosso da due 
regioni che contano un quarto degli italiani, a cui bisogna provare a 
rispondere e resistere. Perché quello delle maggiori autonomie gestionali di 
risorse NON è solo un problema lombardo, ma di tutto il Paese (già altre 
regioni si dicono pronte ad indire simili consultazioni).

Di fronte al consolidarsi del senso comune reazionario e fascistoide che 
disgrega l'unità dei lavoratori del nostro Paese, è necessario sviluppare una 
forte azione democratica e antifascista di contrasto, che esige prese di 
posizione chiare.

Noi di Fronte Popolare faremo quindi campagna elettorale per il NO.

Stamperemo manifesti, volantini, e siamo pronti a dare una mano in ogni comune 
ad ogni sincero antifascista, democratico, comunista che in ottobre, nelle 
forme che riterrà più opportune, vorrà fare concretamente campagna elettorale e 
la cui coscienza gli dirà che non si accontenta del concetto di “astensione 
attiva”, atteggiamento che purtroppo temiamo possa rapidamente scivolare per 
inerzia verso un più tragico “siccome questo referendum è una presa in giro, ad 
ottobre ce ne andiamo a funghi”, lasciando totalmente piazza libera a partiti 
che da diversi anni portano dentro le istituzioni (al governo, sia chiaro) 
delle grande città individui dichiaratamente fascisti e razzisti.

E’ molto probabile che non vinceremo, ma vogliamo e dobbiamo far vedere nelle 
piazze, nei mercati e nei posti di lavoro che c’e’ ancora qualcuno, qui al 
nord, che non mette la testa sotto la sabbia.

E con più calore ci rivolgiamo ai tanti antifascisti sparsi per l’Italia, cui 
chiediamo di darci concretamente una mano. Come scritto prima, più poteri alle 
regioni vuol dire meno solidarietà fra tutti i lavoratori italiani , e 
purtroppo già altre regioni si dicono pronte a seguire questo pessimo esempio.

Vi chiediamo di “parlare” del 22/10, di organizzare momenti di discussione, 
anche nelle vostre città lontano dalla Lombardia e dal Veneto. E poi vi 
chiediamo, (ed oggi i tanti famigerati strumenti tecnologici sono di grande 
utilità) di indicare ad amici, parenti e compagni che magari vivono nelle 
nostre regioni, che NON tutti hanno abbandonato la battaglia, e che qui a 
Milano c’è ancora chi resiste, e chi volesse impegnarsi in campagna elettorale 
per il NO da noi troverà validi compagni e interessante materiale di propaganda.

=== 5 ===

http://contropiano.org/news/politica-news/2017/08/23/referendum-lombardia-veneto1-prepariamoci-votare-no-094962
 
<http://contropiano.org/news/politica-news/2017/08/23/referendum-lombardia-veneto1-prepariamoci-votare-no-094962>

Referendum in Lombardia e Veneto /1. Prepariamoci a votare NO

di Sergio Cararo, 23 agosto 2017

Il prossimo 22 ottobre, in due strategiche regioni italiane come Lombardia e 
Veneto si terrà un referendum consultivo sulla “autonomia” dal governo 
centrale. La materia di questa maggiore autonomia è tutt’altro che chiara, 
tenendo conto che sarebbero già sufficienti i danni provocati dalla modifica 
del Titolo V della Costituzione con il federalismo introdotto nel 2001 
dall’allora governo di centro-sinistra e peggiorati dal governo di 
centro-destra nel 2009.

Il riferimento normativo a cui fanno riferimento le forze che sostengono il 
referendum in Lombardia e Veneto (dalla Lega a gran parte del Pd), è l’articolo 
116 della Costituzione, il quale dopo la riforma del 2001 prevede al comma 3: 
“Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie 
di cui al terzo comma dell’articolo 117 e le materie indicate dal secondo comma 
del medesimo articolo alle lettere l), limitatamente all’organizzazione della 
giustizia di pace, n) e s), possono essere attribuite ad altre regioni, con 
legge dello Stato, su iniziativa della regione interessata, sentiti gli enti 
locali, nel rispetto dei principi di cui all’articolo 119. La legge è approvata 
dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo 
Stato e la regione interessata”. Ma, come si può leggere, non si fa menzione di 
alcun referendum. Il problema è che nel 2001 è stata aperta la strada con un 
referendum confermativo sulla modifica del Titolo V (voluto dal governo Amato 
per “battere la Lega e la destra” ma che anticipò invece una sonora sconfitta 
del centro-sinistra.

I referendum in Lombardia e Veneto del prossimo 22 ottobre, fortemente 
sponsorizzati da Maroni e Zaia ma assecondati dal Pd locale, saranno referendum 
consultivi per cui non è previsto neppure un quorum. In altre parole una 
battaglia squisitamente politica in cui le due regioni (oltre 
all’Emilia-Romagna) in cui si concentra quel 22% di imprese che fanno l’80% del 
valore aggiunto e delle esportazioni italiane diranno sostanzialmente: “noi 
siamo agganciati al cuore dell’Unione Europea e il resto del paese si fotta”. 
In caso di vittoria al referendum le autorità e le classi dominanti di 
Lombardia e Veneto aprirebbero da una posizione di forza una fase negoziale con 
il governo centrale.

In un certo senso la trama svelata da questi referendum fotografa una 
situazione di fatto: la crescente asimmetria del nostro paese. C’è da anni un 
nucleo geo-economico e sociale costituito da Lombardia, Emilia, Veneto che sia 
sul piano economico che su quello politico si è sincronizzato con la 
“locomotiva Germania” lavorando nella sub fornitura alle imprese tedesche e 
assicurando consenso sociale, ideologico, elettorale al Pd e al blocco 
politico-trasversale europeista. Lo si è visto con i risultati delle elezioni 
locali come nei risultati del referendum sulla controriforma costituzionale del 
4 dicembre. Una realtà dei fatti che marginalizza Salvini come esponente di 
questo mondo e che lo ha portato ad abbassare le penne nelle sue ormai rimosse 
sparate contro l’euro e Bruxelles.

Secondo  un sondaggio realizzato dall’Api (associazione delle piccole imprese), 
il 74% dei rappresentanti delle piccole e medie imprese intervistati ha 
risposto si alla domanda se conferire maggiori poteri alla Regione Lombardia 
possa rappresentare un’opportunità. “Questo referendum farà capire a Roma che 
in Lombardia e Veneto ci sono piccoli imprenditori manifatturieri che chiedono 
più rispetto” dicono i padroni e padroncini delle due regioni interessate. 
Secondo gli intervistati nel sondaggio, al primo posto delle azioni prioritarie 
che la Regione Lombardia, una volta più autonoma, dovrebbe mettere in atto c’è 
la diminuzione delle imposte regionali (47%). Al secondo posto l’aumento dei 
fondi per le imprese (34%) e infine il miglioramento delle infrastrutture 
(19%). Insomma una regione a totale disposizione delle imprese. Ma se i 
“padrùn” non vedono oltre i propri interessi di bottega, figuriamoci se la loro 
visione possa estendersi al resto del paese. Un motivo per schierarsi e 
battersi per il NO nei referendum regionali in Lombardia e Veneto. (segue)


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