Ciao a tutti,

un articolo che fa un po' sorridere (40 nodi in un quartiere di New
York!) ma che forse ci dice che qualcosa si sta muovendo anche in
ambienti molto refrattari:

da http://ilmanifesto.info/le-reti-ribelli-di-new-york/

Le reti ribelli di New York
Giorgio Ghiglione

Prove tecniche di reti Internet alternative. Si chiamano Mesh e sono
reti wireless «a maglia», senza bisogno di un server centrale e neppure
di un provider che fornisca l’accesso al Web. Perfette per evitare il
blocco della connessione durante le manifestazioni, come successo in
Egitto e Hong Kong. Ma anche ottime per creare una rete di emergenza in
caso di catastrofi naturali o semplicemente per raggiungere aree non
coperte dai servizi. Economiche e facili da creare, da qualche anno le
reti Mesh hanno raggiunto New York. Obiettivo: creare connessioni
alternative allo strapotere di giganti come Comcast, Verizon o America
Online e permettere l’accesso a Internet anche ai più poveri.

Più volte accusati di inserire blocchi per rallentare la rete degli
utenti, i provider americani non sono esattamente noti per qualità e
convenienza. Secondo un’inchiesta della Pbs (la TV pubblica americana)
per una connessione da 25 mega-bit al secondo i newyorkesi spendono 55
dollari al mese, il doppio degli abitanti di Londra. Con la stessa cifra
i residenti di Hong Kong, Tokyo e Parigi hanno a disposizione
connessioni otto volte più veloci. Non a caso New York nel 2014 ha
“vinto” il poco onorevole titolo di metropoli con la peggior connessione
al mondo per costi e efficienza, come spiegava un’inchiesta del Los
Angeles Weekly.

Oggi a non avere un accesso Internet sono circa 2 milioni di newyorkesi
e il problema riguarda soprattutto i più poveri. Per effetto delle
politiche commerciali, circa un terzo delle famiglie che a New York
vivono sotto la soglia di povertà non dispongono di una connessione. «Il
problema del digital divide è che se tu non hai accesso a Internet è
perché non hai le risorse, non perché non ti interessa utilizzarla»,
spiega davanti a un cappuccino Anthony Schools, responsabile tecnologico
della Red Hook Initiative. «La questione è non essere tagliati fuori dal
mondo: avere una connessione ti permette ad esempio di cercare lavoro e
di sfruttare meglio il tuo quartiere o la tua città».

L’associazione di Anthony ha creato una rete comunitaria a Red Hook, un
quartiere all’estrema periferia di Brooklyn che ospita il secondo più
grande blocco di case popolari dopo quello di Long Island. Da sempre
quartiere popolare, Red Hook ospitava i lavoratori italiani e irlandesi
del porto di New York, fino a quando la diffusione dei container navali
ha fatto sì che le industrie del porto si spostassero nel più spazioso
New Jersey, dando via alla deindustrializzazione.

Creata nel 2011, la Red Hook Mesh è nata per aiutare gli abitanti del
quartiere, come spiega al manifesto Schools: «Siamo un’organizzazione
focalizzata sui giovani: diamo sostegno negli studi, forniamo borse
lavoro. Avevamo iniziato con una web radio per ragazzi ma sembrava che
non avessimo una reale connessione con la comunità e nessuno ascoltasse
realmente. Allora ci siamo detti: e se creassimo una rete
wireless?». Così è partita la Mesh, che non è altro che una rete «a
maglia» costituita da una serie nodi, spesso un semplicemente router,
che fanno sia da trasmettitori che ricevitori e ripetitori del
segnale. Basata sul collegamento «punto a punto» in cui ogni utente
costituisce un nodo, senza il bisogno di un server centrale e neppure di
Internet provider che fornisca l’accesso.

Di nodi a Red Hook ora ce ne sono 60. In una tiepida e soleggiata
mattina di primavera, sembra un posto molto tranquillo, diviso com’è fra
«The Back», casette unifamiliari un piano e «The House», le residenze
popolari. Non sembra affatto quello che, ormai più di 30 anni fa, la
rivista Life definì la «capitale americana del crack», eppure i problemi
sociali del quartiere non sono scomparsi, anzi. Abitato principalmente
da neri e sud americani, il quartiere è quasi isolato dal resto della
città, circondato com’è dall’acqua per tre lati e privo di una stazione
della metropolitana nelle vicinanze. Il tasso di disoccupazione si
aggira intorno al 21%, il doppio che nel resto di Brooklyn. La gente qui
soffre di problemi «che sono endemici al sistema americano», ragiona
Schools: «La metà degli abitanti di Red Hook non ha un diploma di scuola
superiore e il 75 per cento dei giovani tra 18 e 24 anni è senza
lavoro. Più o meno 7.500 persone – su 11.000 abitanti del quartiere –
vivono nelle case popolari, che si possono ottenere solo se si è senza
lavoro o se hai un lavoro a salario basso».

Schools assume un’aria soddisfatta quando racconta di come Red Hook Mesh
possa essere utile agli abitanti dei quartiere. «Quando abbiamo
iniziato, tra il 40 e il 60 % dei residenti non aveva una
connessione. Abbiamo formato dei ragazzi che si occupassero della rete e
in un anno siamo passati da due hotspot a 60. Oggi chi non ha i mezzi
può usare gratuitamente questa connessione per provare a trovare
lavoro. L’idea che tutti ne traggano vantaggio è uno spunto per
partecipare alla vita di quartiere. Red Hook è un posto dove c’è molto
il senso di comunità, la gente vuole proprio aiutare e rimboccarsi le
maniche. Tutti hanno collaborato dicendo “puoi usare il mio tetto”, “la
mia casa”, mentre i ragazzi sono pagati per essere gli installatori e i
manutentori della rete».

Arrivata all’attenzione del grande pubblico quando l’uragano Sandy aveva
isolato il quartiere e la Red Hook Mesh era rimasto l’unico modo di
comunicare con l’esterno e ottenere informazioni sul disastro in corso
(tanto che la Fema, la protezione civile americana, potenziò il segnale
per creare un mezzo di comunicazione di emergenza), oggi la rete è
entrata nel programma di abbattimento del digital divide voluto dal
sindaco progressista Bill De Blasio. Questo ha in parte modificato lo
spirito del progetto: «Un tempo era tutto molto incentrato sul “locale”
ma adesso c’è il sostegno di un intera città. Così per essere più
efficaci su larga scala abbiamo dovuto coinvolgere anche società
private. Non è più solo un progetto di quartiere come lo era in
principio e, anche se lo controlliamo sempre noi, dobbiamo lavorare con
altra gente, inclusi esponenti del mondo degli affari o le autorità»,
ammette Schools.

Lui però non vede come un male la trasformazione del progetto in
qualcosa di più grosso: «Vogliamo essere in tutte le vie commerciali e
nelle case popolari. La mia speranza è che quando tutti avranno una
connessione potremmo spostare i nostri sforzi dal costruire il network
ad aiutare le persone ad utilizzarlo per migliorare la propria
condizione».

Ad arrampicarsi sui tetti per fornire connessioni a internet
“alternative” a quelle dei grandi provider però non sono solo i ragazzi
della Red Hook Mesh.

Partendo dal West Village, quello che un tempo era il quartiere
artistico della città e oggi subisce i colpi della gentrificazione, gli
attivisti della NYC Mesh stanno provando a mettere in piedi una rete che
copra Manhattan e l’intera città. «La motivazione principale che ci ha
spinti ad agire è la mancanza di scelte: a New York puoi avere solo
operatori come Time Warner o Verizon che sono molto costosi, molto più
di quanto dovrebbero essere», dice con un sorriso Brian Hall, un
ingegnere informatico membro della NYC Mesh quando lo incontriamo a
Manhattan al DBA bar, un locale del West Village che ospita uno dei nodi
della rete.

Organizzati attraverso il sito meetup.com – sorta di social network nato
dopo l’11 settembre che consente di creare gruppi fra persone con
interessi comuni – gli attivisti della NYC Mesh, una decina di persone
in tutto, pensano in grande e si ispirano alla spagnola Glifi, la rete
comunitaria più grande al mondo con 30.000 nodi sparsi per tutta la
Spagna. «Il nostro obiettivo è quello di diventare una rete in grado di
competere con Time Warner o Verizon, perché in città c’è bisogno di
un’alternativa ai grandi provider» spiega Hall.

Certo, l’obiettivo è ancora lontano visto che la rete newyorkese ha solo
una quarantina di nodi (ma ci sono circa cento persone in coda). Però
sta cercando di allargarsi installando due trasmettitori wireless ad
alta potenza per ovviare ai problemi di perdita di segnale. Nelle
intenzioni di Hall e degli attivisti la presenza di «super nodi»
permetterà alla NYC Mesh di avere accesso diretto ai cavi transatlantici
che sono la «spina dorsale di Internet» e potrà allargare il raggio di
azione, consentendo il collegamento diretto senza che sia più necessario
installare i router a poca distanza uno dall’altro.

Certo, prima che le reti Mesh possano diventare una reale alternativa e
non siano semplicemente un progetto destinato a un’area disagiata dalla
città – come accade a Red Hook- o un’iniziativa limitata a pochi
cittadini, come invece succede ai loro “cugini” della NYC Mesh, passerà
ancora del tempo. Ma passando dal tetto di un edificio a un balcone la
rivoluzione avanza, un router alla volta.

-- 
leandro
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