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gentili ricombinanti,

vi propongo qualche pagina dall'introduzione dell'ultimo libro di Mike Davis. Il libro, uscito da pochi mesi per la New Press di NY, si chiama DEAD CITIES, ed é un saggio-poema catastrofista di 420 pagine. Me lo sono letto nel corso dell'ultimo mese per mettermi paura (come se ce ne fosse bisogno). Il libro descrive l'agonia delle città dopo un secolo di capitalismo e di militarismo, comparando continuamente questo panorama con con l'immaginario hollywoodiano e con l'immaginazione letteraria apocalittica, hardboiled, fantadistopica, da Orson Welles a John Dos Passos, a Chandler.
La prefazione del libro é naturalmente dedicata a 911. "The Flames of New York" é un pezzo di straordinaria bravura che focalizza l'attenzione su un punto: la sovrapposizione di simulazione e realtà, il dissolversi progressivo della stessa nozione di Realtà, lo sgretolamento del sentimento ontologico che fonda la percezione occidentale.
Dovremo forse ricapitolare la transizione dell'ultmo venticinquennio partendo da questo punto essenziale: l'ipertrofia della simulazione e la ridefinizione dello statuto della realtà. Al centro c'é lo slittamento della forma stessa del lavoro sociale, che si trasferisce dalla sfera della produzione materiale alla sfera della produzione simulacrale. L'installarsi del simulacro al centro della scena (che fu già presagito da Baudrillard ne l'exchange symbolique et la mort, e da Perniola ne La società dei simulacri) produce un l'effetto di proliferazione del simulato. Il lavoro mentale viralizza il Reale, sostituendo la corporeità con l'antimateria porosa del virtuale.
L'attività sociale diviene costante riproduzione della simulazione che regge l'economia, che mobilita le energie collettive, che fluidifica la semiosi planetaria. L'ipertrofia della macchina simulacrale ha messo in moto effetti di de-realizzazione che lo psichismo collettivo registra in forma di spossessamento della corporeità. E' il corpo che ci sfugge, innervato da circuiiti di comando tecno-neurale, e biopolitico.
Mike Davis ci introduce a questa problematica. Spero che la traduzione non vi dispiaccia.


"911 è un esorcismo sociale alla rovescia. E' importante ricordare la condizione collettiva di paura che esisteva già prima che il Terrore Reale arrivasse con una flottiglia di aereoplani dirottati. "Xfiles" ha definito gli anni novanta come "Honeymooners" ha definito gli anni 50. Epoca di un'ansia inesplicabile. Da tempo gli americani soffrono di un'acuta forma di psico-ipocondria. Alla vigilia della non-apocalisse del Millennium bug emerge una nicchia accademica dedicata ai Fear studies, o Sociophobics. Qualche anno fa Barry Glastner aveva dimostrato che le paure americane nascondono i veri problemi sociali, come la disoccupazione le cattive scuole il razzismo e la fame. Gli americani secondo lui hanno paura delle cose sbagliate, e subiscono un effetto equivalente a quello che provocò la famosa trasmissione radiofonica di Orson Welles, War of the worlds. "I marziani, diceva Glastner, non arriveranno". Invece sono arrivati, dopo tutto, brandendo delle normali taglierine. Anche se nella versione afghana dell'utopia i film erano banditi come il viso delle donne, gli attacchi a New York e a Washington sono stati orchestrati secondo le regole del cinema di orrore epico, con attenzione meticolosa alla messa in scena. Gli aerei erano diretti a colpire precisamente il confine vulnerabile tra fantasia e realtà. Al contrario di quello che accadde con l'invasione radio del 1937, migliaia di persone che avevano il televisore acceso su 911 erano convinti che il cataclisma fosse solo una finzione, un inganno. Pensavano di vedere immagini dell'ultimo film di Bruce Willis: E quel senso di illusione non si è ancora raffreddato. Più l'evento è improbabile, più l'immagine è familiare. The attack on America con tutti i suoi episodi successiva, America fights back, e America fraks out…

Quando degli ipocondriaci si trovano davvero davanti il flagello che appariva nelle loro paure peggiori, le loro ontologie tendono ad andare fuori uso. Guardando la South Tower che sprofonda sulle sue migliaia di vittime il bambino di un amico ha esclamato: "Ma questo non è reale nel modo in cui le cose sono reali." Esattamente. C'è un nome per questo tipo di sensazione di una realtà invasa dalla fantasia. "Un effetto perturbante" scrive Freud "si produce spesso e facilmente quando la distinzione tra immaginazione e realtà si cancella, quando qualcosa che abbiamo sempre considerato immaginario ci appare davanti nella realtà."
… Negli anni venti e trenta Ernst Bloch paragona la città americanizzata alla città mediterranea, ad esempio Napoli, un posto in cui, pur vivendo all'ombra del Vesuvio l'ansietà non sembra pervadere la vita quotidiana. Nella grande città americanizzata la ricerca dell'utopia borghese di un ambiente totalmente calcolabile e sicuro ha generato paradossalmente una radicale insicurezza. Dove la tecnologia ha raggiunto una apparente vittoria sopra i limiti della natura, è cresciuto in proporzione il coefficiente di pericolo conosciuto, e quello di pericolo ignoto. I sistemi interdipendenti della città sono divenuti simultaneamente troppo complessi e vulnerabili. La grande città capitalista diviene estremamente pericolosa perché domina la natura piuttosto che cooperare con essa. Il perturbante è precisamente quella senso di annullamento (quella non integrazione con la natura) che sta di fronte al mondo meccanizzato.
In quegli anni Bloch era acutamente consapevole dei pericoli imminenti del fascismo e di una nuova guerra mondiale, e insisteva sul fatto che la struttura più profonda della paura urbana non stava nella guerra simulata di Wells, ma nel distacco dal panorama naturale. Nel 1937 Bloch commenta "Another world", un libro del piccolo borghese schizofrenico Granville (morto in manicomio qualche anno più tardi), come una specie di Hieronymus Bosch dell'epoca meccanizzata. vede quel libro come un sogno di enorme ansietà pieno di terrore della sfida tecnologica. Ma il panorama di terrore è anche voluttuoso, come in Bosch, e anche infinitamente ironico, come per ricordarci che l'inferno è pieno di cose che fanno ridere. Bloch chiama utopia nera questo cataclisma in cui tutto viene raccontato con umore oscuro. Forse pensava a New York.
Oggi l'ironia è un alieno illegale nella terra della libertà, naturalmente. Anche quelli che fanno professionalmente ironia hanno sacralizzato la zona che circonda le rovine del WTC

Nel frattempo l'economia della paura si ingrassa mentre intorno c'è la carestia. La paura ha già rimodellato la città americana fin dagli anni sessanta, ma il nuovo terrore fornisce un moltiplicatore keynesiano formidabile. Secondo Fortune il settore privato spenderà più di 150 miliardi di dollari in sicurezza interna (assicurazioni, sicurezza sul lavoro, logistica, tecnologia informativa): approssimativamente quattro volte il budget per la sicurezza annunciato dal governo federale. L'esercito di guardie di sicurezza a bassi salari che è già di un milione di uomini, dovrebbe crescere del 50% nel corso del decennio, mentre la videosorveglianza, con software di riconoscimento facciale toglierà di mezzo ogni privacy dalle abitudini della vita quotidiana. Il regime di sicurezza degli aereoporti fornirà il modello per la regolazione delle folle nei mercati, negli eventi sportivi, e altrove. Si attende che gli americani siano riconoscenti di essere fotografati, perquisiti, scannerizzati, registrati e interrogati per la loro protezione. Il capitale di ventura fluirà nei settori di avanguardia sviluppando sensori per la guerra batteriologica e sistemi di cibersicurezza. I technopundits prevedono che i veri eroi dela Guerra al Terrorismo sarà l'esercito privato dei capitalisti di ventura e delle startup di security-tech…. Le diverse tecnologie di sorveglianza, monitoraggio ambientale, design degli edifici convergeranno verso un unico sistema integrato. La sicurezza in altre parole diventerà un servizio urbano come l'acqua, l'energia elettrica e la telecomunicazione."





















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