A causa di una otite che mi ha colpito nelle ultime due settimane, ho potuto 
partecipare molto marginalmente all'avventura di NowarTV e anche all'attività delle 
telestreet bolognesi.

Intendo perciò offrire solo alcune considerazioni, che spero saranno riprese nella 
discussione che si svolgerà domani pomeriggio in via Rialto. La mia prima 
considerazione é relativa a quello che é accaduto nelle ultime due settimane nel 
sistema mediatico globale.

Alcuni avevano previsto che la guerra irakena sarebbe stata oggetto di un black out 
informativo, e che non avremmo visto quasi niente della guerra, del suo orrore. Non é 
andata così.

Il gruppo dirigente politico-militare americano era così sicuro della rapida vittoria 
delle forze di invasione che ha voluto incorporare un esercito di giornalisti nelle 
forze di occupazione per immortalare la gloriosa avanzata dei liberatori. Per quanto 
forte sia stato il controllo su questi giornalisti mi pare che l'effetto sia stato 
molto diverso da quello che il Pentagono si attendeva. I giornalisti, per gran parte, 
si sono comportati come dei lavoratori che vogliono fare il loro lavoro in maniera 
decente, e hanno raccontato l'orrore che incontravano giorno per giorno, ora per ora. 
Il licenziamento di Peter Arnett e la cacciata dei giornalisti di Al Jazeera mostrano 
le due facce di questa indipendenza degli info-lavoratori. Sia la dittatura militare 
americana che la dittatura militare irakena hanno tentato di emarginare e reprimere 
l'indipendenza dei giornalsti, ma il pricnipio stesso della concorrenza tra le diverse 
agenzie di informazione ha impedito che la voce dei lavoratori dell'informazione 
potesse essere del tutto cancellata, e ci ha permesso di sapere quel che accade 
veramente. Non una liberazione, ma una feroce guerra di invasione. Non una 
passeggiata, ma l'inizio di un genocidio, e l'inizio di una guerra terroristica di 
lungo periodo.

Abbiamo vissuto queste settimane in una condizione di convivenza con l'orrore, durante 
il pranzo e la cena.

Questo non significa certo che il sistema informativo abbia detto "la verità", 
significa solo che la sanitarizzazione informativa della guerra non é passata, per una 
specie di rivolta spontanea dei lavoratori dell'informazione. Perfino mezzi di 
informazione assolutamente sottomessi al regime della menzogna, come la RAI, hanno 
finito per fornire una immagine contraddittoria e stridente della realtà. Il 
confezionamento dei programmi é stato mieloso, falsato, trionfalistico, sanitarizzato, 
ma ogni qual volta potevano parlare i corrispondenti (e soprattutto le donne 
corrispondenti) dalla loro voce, dai loro gesti, oltre che dalle loro parole 
traspariva l'orrore che tutti abbiamo provato in queste settimane.

In breve, credo che sia stata smentita una delle premesse su cui avevamo costruito 
l'iniziativa di comunicazione televisiva NowarTV: l'idea cioé che non ci sarebbe stata 
informazione.

Non é l'informazione che é mancata in queste settimane. Pensiamo che sarebbero state 
utili più immagini, più sangue, più polvere, più terrore di quello che abbiamo potuto 
e possiamo ricevere? Io credo di no.

"Non abbiamo bisogno di comunicazione abbiamo bisogno di creazione". Quello che é 
mancato in questa fase di comunicazione indipendente, credo, é la creazione, intesa 
prima di tutto come creazione politica.

L'accelerazione e il sovraccarico e l'ansia che ci hanno perseguitato in queste ultime 
settimane non é utile, anche se in certi casi é inevitabile. E credo che dobbiamo 
staccare la spina della partecipazione al flusso. In questo senso Ambrogio ha ragione, 
quando suggerisce di prendere distacco dalla frenesia mediatica circostante. Credo che 
il nostro compito nelle prossime settimane sarà quello di perfezionare il 
funzionamento produttivo e creativo della macchina Telestreet. Se ripenso al lavoro 
compiuto dal giugno 2002 a oggi, nei nove mesi dell'esperienza Telestreet ho 
l'impressione che in ultima analisi abbiamo realizzato una sola cosa: la creazione di 
un modello, di un dispositivo comunicativo. Dal punto di vista della produzione di 
contenuto informativo per quanto ho potuto vedere, non abbiamo fatto praticamente 
nulla.

L'esperimento "diario intimo di una città occidentale nei giorni di una guerra senza 
senso" non ha fatto quasi alcun passo in avanti sul piano della ideazione narrativa. 
Certamente molti mediattivisti hanno potuto lavorare all'interno di un contesto 
collettivo e il loro lavoro potrà forse essere ripreso e riorganizzato entro un 
progetto espressivo comune nel prossimo futuro.
Ma occorre riflettere su questo: quale innovazione possiamo portare sul piano 
linguistico, sul piano narrativo? Quale progetto possiamo lanciare a questo livello?

Solo se siamo capaci di produrre qualcosa su questo piano (il piano dei contenuti, 
delo stile e della invenzione narrativo-politica) avremo prodotto qualcosa di 
compiuto, e di utile.

Siamo a metà del nostro lavoro. E quel che ci occorre adesso non é, credo, continuare 
a fare un'informazione ridondante, occupare un'etere che é già super-occupato, ma 
lavorare ala creazione di un segno riconoscibile. E' esattamente questo che é mancato 
fino ad oggi. In nove mesi di esistenza Telestreet non ha prodotto un solo fotogramma 
capace di individuare in maniera inconfondibile la nostra esperienza creativa. Non una 
frase, non un volto, non un segno, non una scena.

L'idea Telestreet fino a questo momento si é concretizzata in un progetto di 
concatenazione, nella formula di un dispositivo comunicazionale (questo credo davvero 
innovativo) basato sul concetto di zona d'ombra, di proxy-visione, di mediattivismo e 
di concatenazione di rete.

Ma ora dobbiamo inventare un segno, uno stile, un format, una frase che rendano 
possibile la diffusione contagiosa di comportamenti di rifiuto della guerra e 
soprattutto delle sue radici sociali e psichiche.

Dobbiamo inventare qualcosa di catchy, facile e ripetibile e contagioso. Qualcosa che 
porti dentro di sé il rifiuto della dittatura comunicativa ma anche il rifiuto della 
guerra e della violenza, e del produttivismo ipercapitalista che ha prodotto la guerra.








































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