Dal rapporto Ires-Cgil sulla distribuzione del reddito. 


RETRIBUZIONI Nell'era della concertazione i salari italiani sono precipitati. 
Di sei punti percentuali sul Pil 
Nei dieci anni della concertazione le retribuzioni sono calate dello 0,4 per 
cento. Solo nel corso di quest'anno il potere d'acquisto calerà dello 0,9 per 
cento. La corsa delle retribuzioni è stata anche più lenta di quella della 
produttività, visto che il tasso medio di crescita della produttività nello 
stesso periodo di tempo, ovvero dal 1993 al 2002, è stato superiore di 1,1 per 
cento rispetto alle retribuzioni. Nell'epoca della grande concertazione, si è 
lavorato di più e guadagnato di meno. Sono i dati diffusi ieri dall'Ires, 
l'istituto di studi e ricerche della Cgil che ha elaborato cinque rapporti 
raccolti in un libro sulla politica dei redditi negli anni `90 che raccontano 
gli andamenti statistici dei redditi da lavoro, degli altri redditi e delle 
variabili più importanti dell'economia, a partire proprio dalla produttività. 
Dal rapporto dell'Ires risulta evidente non solo la flessione relativa delle 
retribuzioni degli operai e degli impiegati, pubblici e privati, ma anche la 
diminuzione del peso relativo del monte complessivo delle retribuzioni sul Pil. 
Il rapporto tra retribuzioni e Pil passa infatti dal 36 per cento del periodo 
1980-82 al 29,6% del periodo `96-2002. Questa diminuzione del peso dei redditi 
avviene in un periodo in cui dopo una lunga fase di stagnazione, l'occupazione 
è tornata a crescere. Ora c'è molta più gente che lavora, guadagnando meno. 


Più lavoro, meno soldi 
Rapporto Ires-Cgil su dieci anni di politica dei redditi: flessione del potere 
d'acquisto 
PAOLO ANDRUCCIOLI 
Le retribuzioni sono cresciute meno della produttività e la flessibilità sta 
diventando uno degli oggetti principali della contrattazione. Il costo del 
lavoro italiano si mantiene pressocché stabile e cresce meno di quello degli 
altri paesi europei. L'Italia - a differenza di tutti gli altri paesi euro - si 
muove sulla base dell'inflazione programmatica piuttosto che su quella reale, 
una scelta che determina ovvie ricadute negative sulla contrattazione. Questi, 
in estrema sintesi, i punti principali del libro la politica dei redditi negli 
anni `90, (edizioni Ediesse) cinque rapporti curati dall'Ires-Cgil e presentati 
ieri nella sede della Cgil nazionale, alla presenza di studiosi (Mimmo Carrieri 
dell'università di Teramo e Leonello Tronti, responsabile delle statistiche 
congiunturali occupazione e redditi dell'Istat) e protagonisti della 
contrattazione, tra cui il segretario della Cgil, Guglielmo Epifani, quello 
della Cisl, Savino Pezzotta e il direttore generale della Confindustria, 
Stefano Parisi. Agostino Megale, presidente dell'Ires e curatore dei rapporti 
sulle retribuzioni e la contrattazione insieme a Giuseppe D'Aloia e Lorenzo 
Birindelli, ha ricordato ieri che le retribuzioni contrattuali sono tornate a 
crescere, negli ultimi tre anni, a un tasso inferiore a quello dell'inflazione, 
a causa soprattutto dello scostamento tra inflazione programmata e inflazione 
effettiva. «L'Italia - chiarisce Megale - è l'unico paese in Europa nel quale 
le prospettive della crescita delle retribuzioni sono determinate non sulla 
base dell'inflazione prevista, ma su quelle dell'inflazione programmata». Nei 
paesi Euro-zone le richieste sindacali si basano dunque sull'inflazione 
prevista per il periodo considerato. 

In ogni caso, dallo studio dell'Ires, emerge una «tenuta problematica» del 
potere d'aquisto che diventa anche qualcosa di peggio se la si confronta con 
altri indicatori. Le retribuzioni del lavoro dipendente hanno avuto una 
flessione molto evidente dal 1993-95, un leggero recupero tra il `96 e il `99 e 
una nuova flessione tra il 2000 e il 2002. Secondo le elaborazioni dell'Ires 
sui dati Istat, le retribuzioni contrattuali lorde reali hanno fatto registrare 
una perdita dell'1,8% tra il `93 e il `95 e una leggera crescita (più 0,4 tra 
il `96 e il 2002). Nel periodo considerato, ovvero dall'accordo di luglio del 
`93 (nascita della concertazione) al 2002, le retribuzioni sono cresciute 
comunque meno della produttività. «Nel confronto a prezzi correnti - dicono i 
ricercatori dell'Ires - il tasso medio annuo di crescita della produttività 
supera (sempre nel periodo considerato) quello delle retribuzioni dell'1,1% per 
il complesso dell'economia e dello 0,5% nell'industria in senso stretto». E se 
il confronto si fa in termini reali, gli scarti sono ancora più ampi. 

Anche per quanto riguarda la distribuzione del reddito e quindi il rapporto tra 
i redditi da lavoro dipendente e il resto del Pil italiano, si registra un calo 
del peso relativo del monte retribuzioni sul Pil che scende dal 36% del periodo 
1980-82 al 29,6% del periodo `96-2002. Nello stesso periodo tengono invece i 
profitti e i redditi da lavoro autonomo. In questo periodo cresce anche il peso 
delle imposte indirette nette e dei contributi sociali. Ma il periodo 
considerato dalla ricerca non è un periodo come gli altri essendo stato 
attraversato da profonde trasformazioni economiche e sociali. Il modello della 
concertazione si deve quindi giudicare sulla base di parametri politici oltre 
che statistici e la domanda posta ieri da Megale agli ospiti del convegno Ires- 
Cgil ha avuto risposto diversificate e comunque nell'ambito delle politiche 
contrattuali. 

Il giudizio sulla concertazione è stato abbastanza omogeneo. Nel momento in cui 
è il governo a rimettere in discussione nei fatti quel modello, i sindacati e 
la Confindustria continuano a difendere l'accordo del `93, anche se tutti 
ammettono che c'è bisogno di qualche aggiustamento. Secondo Savino 
Pezzotta, «bisogna andare oltre l'accordo del 23 luglio del '93, dimostrando 
che la politica dei redditi non era un incidente di percorso». Il segretario 
generale della Cgil, Guglielmo Epifani, ha messo invece in evidenza la carenza 
delle imprese italiane che non hanno utilizzato bene la politica dei redditi. 
Le quote di reddito prodotto non solo non sono andate ai lavoratori, «ma non 
sono state neppure utilizzate in ricerca e sviluppo». La politica dei redditi 
viene difesa dalla Confindustria. Per i direttore Stefano Parisi, è vero che 
quella politica è figlia dei tempi, ma è anche vero che «ha dato effetti 
importanti sulla riduzione dell'inflazione e sulla difesa del potere d'acquisto 
dei lavoratori e sull'occupazione». 



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