ricevo e inoltro, perché mi sembra riflettere in pieno l'andamento
scolastico  attuale anche in Italia
t
----- Original Message -----
From: "paola capozzi" <[EMAIL PROTECTED]>



A proposito dell'approccio attraverso le competenze
Abbiamo bisogno di lavoratori competenti
O di cittadini critici ?


Di Nico Hirtt

(Appel pour une école démocratique)



Traduzione a cura di : Paola Capozzi



Sulla scia di numerosi paesi europei, la Comunità Belga Francese  si è
impegnata in una profonda revisione dei programmi a tutti i livelli
dell'insegnamento obbligatorio. L'obiettivo sbandierato è di  rendere tali
programmi conformi alla dottrina del così detto "approccio per competenze".

La tesi qui sostenuta è duplice. Da una parte quest'approccio sarà incapace
di realizzare le promesse d'emancipazione delle quali si vuole che esso sia
portatore. Dall'altra, e soprattutto, esso partecipa - senza dubbio
involontariamente nella testa dei suoi teorici -  di un vasto processo di
strumentalizzazione della Scuola al servizio di un'economia in  cerca di
deregolamentazione e di dualizzazione sociale.



Del concetto di competenza esistono tante definizioni quanti sono gli autori
che hanno scritto sul soggetto. Se dovesse servire una prova dell'estrema
flessibilità di questa nozione - e conseguentemente delle modalità con cui
viene messa in atto - eccone una. Nei testi emanati dalla Comunità francese,
la definizione più corrente è quella adottata Romainville e  compagni : «
una competenza è un insieme integrato e funzionale di sapere, saper-fare e
saper-divenire, che permette, di fronte a una vasta categoria di situazioni,
di adattarsi, di risolvere problemi e realizzare progetti» [BERNAERDT,
ROMAINVILLE, et. all].

La dottrina detta de « l'approccio per competenze » è volta essenzialmente a
mettere le competenze al centro delle preoccupazioni dell'insegnante. E
questo, ci viene detto,  in opposizione a « l'ampliamento delle
conoscenze ». Tale approccio non è dunque riducibile ad una pedagogia : esso
integra chiaramente una determinata visione degli obiettivi
dell'insegnamento. A questo titolo esso è, d'altronde, parte integrante del
decreto della Comunità francese sulle "Missioni dell'insegnamento
dell'obbligo".

Tuttavia, l'approccio per competenze implica anche un certo tipo di
approccio pedagogico, dato che esso raccomanda di mettere in linea le
pratiche di insegnamento con il nuovo obiettivo : in quanto capacità di
risolvere dei problemi, la competenza non può che acquisirsi mettendo il «
discente » - soggetto del proprio apprendimento in opposizione all'allievo,
presunto passivo - « nella condizione » di far fronte a problemi di un dato
tipo, affinché esso si eserciti a « mobilizzare » il proprio saperi e
saper-fare in determinate categorie di situazioni concrete.

Questa pratica non è scevra dal  presentare qualche similitudine con quelle
proposte dalle scuole pedagogiche del movimento costruttivista. Anche  qui
si insiste spesso sul ruolo attivo dell'allievo e sulla necessità di
metterlo « nella condizione di ricerca » grazie alla messa in atto di
"cantieri di problemi". Vedremo comunque più avanti che la somiglianza si
ferma qua.



Un progetto generato dagli ambienti economici


I pensatori dell'approccio per competenze non nascondono la stretta
filiazione della loro dottrina dalla recente evoluzione dei tentativi e dei
discorsi del mondo economico in materia d'insegnamento. Così, per
Romainville e per i suoi co-autori, « ognuno si aspetta dalla scuola che
essa non si acconti di un apporto formale di contenuti, non corrispondente
più di fatto nè alle aspettative dei giovani nè alle richieste del mondo
economico » [BERNAERDT, ROMAINVILLE, et. all]. Per Jean-Marie De Ketele, « è
in effetti il mondo socio-economico che ha determinato la nozione di
competenza, perchè gli adulti che la scuola ha formato non erano
sufficientemente adeguati ad entrare nella vita professionale » [DE KETELE
2000].

François Perrenoud, che figura tra i maestri di pensiero dell'approccio per
competenze, ci rassicura certamente quanto al fatto che tale approccio sarà
«  riduttore per fare dell'interesse del mondo scolastico per le competenze,
il semplice segno della sua dipendenza dalla politica economica ». Egli non
riconosce di meno l'esistenza di "una giunzione tra un movimento
dall'interno e un richiamo dall'esterno. L'uno e l'altro si nutrirebbero di
una forma di dubbio sulla capacità del sistema educativo di rendere le nuove
generazioni capaci di affrontare il mondo di oggi e quello di domani.»
[PERRENOUD 2000, b].



Quale sarebbe dunque questo « mondo di oggi » ?.

Il nostro ambiente economico è caratterizzato da due elementi: un'estrema
instabilità e una forte dualizzazione sociale. L'instabilità genera
dall'inasprimento delle lotte concorrenziali, dalle ristrutturazioni , dalle
chiusure e delocalizzazioni che ne risultano, dal ricorso accelerato alle
più effimere innovazioni tecnologiche  (tanto nella sfera della produzione
che in quella dei consumi). In questo contesto, una delle principali
richieste del mondo padronale è quella relativa alla flessibilità:
flessibilità del mercato del lavoro, flessibilità professionale e sociale
dei lavoratori, flessibilità dei sistemi di educazione e di formazione,
adattabilità del consumatore.

Oggi il mercato del lavoro è ancora fortemente regolato sulla base delle
qualifiche, quindi dei diplomi. Il diploma è un insieme riconosciuto di
saperi e di saper-fare, che risulta oggetto di negoziati collettivi e
conferisce diritti in materia di salario, di condizioni di lavoro o di
protezione sociale. Per permettere una rotazione più flessibile di
manodopera, il padronato cerca ormai di sciogliere questo accoppiamento
rigido tra qualifiche e diplomi al fine di sostituirvi la coppia
competenza-certificazione modulare. Qui Perrenoud dà prova di una grande
lucidità : « Il riferimento alle competenze autorizza una loro costante
rivalutazione, alla stregua delle « ristrutturazioni dell'apparato
produttivo », del cambiamento tecnologico, dell'organizzazione e della
divisione del lavoro. Nel lavoro salariato, l'approccio per competenze
permette anche di sciogliere solidarietà statutarie e di individualizzare le
ricompense e le carriere aziendali, a pari qualificazione formale. Esso
contribuisce a ricomporre la logica delle qualifiche in una duplice logica
di valorizzazione e selezione" [PERRENOUD 1999]. Sfortunatamente questa
lucidità non costa niente perché ci troviamo precisamente là, in un dominio
in cui i due "approcci per competenza", quello che riguarda la Scuola e che
sostiene Perrenoud e quello che riguarda l'organizzazione del mercato del
lavoro e che desidera il padronato, non si implicano affatto l'uno con
l'altro. Si può perfettamente annullare il diploma senza cambiar niente
nell'insegnamento e si può altrettanto facilmente rifondare la Scuola sulla
base delle competenze senza toccare il diploma . Focalizzando la
similitudine degli approcci su questo punto preciso,  Perrenoud ha buon
gioco nel pretendere che non si tratti, giustamente, che di una somiglianza
e non di una stretta interdipendenza.



Lavoratori flessibili e adattabili


Ma la domanda di flessibilità non si ferma all'organizzazione del mercato
del lavoro. Per il lavoratore, l'instabilità tecnologica e industriale si
traducono in incessanti cambiamenti dell'ambiente di produzione, del posto
do lavoro, dell'impiego se non addirittura della professione. Per assicurare
una costante produttività della manodopera è quindi necessario che il
lavoratore sia esso stesso dotato di una grande flessibilità. Egli deve aver
integrato le competenze che gli permettono di adattarsi a situazioni nuove,
di acquisire nuovi saperi sul filo della propria carriera, deve essere
disposto ad investire di proprio a tal fine. In breve, egli deve essere in
grado di mobilitare sapere, saper-fare e saper-essere per adattarsi e per
risolvere problemi complessi e cangianti. Questo è precisamente ciò che si
propone di fare l'approccio per competenze  nel dominio dell'educazione :
« l'allievo dovrebbe essere capace di mobilitare le proprie acquisizioni
scolastiche al di fuori della scuola, in situazioni diverse, complesse,
imprevedibili » [PERRENOUD 1995 b].

Qui non si tratta più di somiglianza, ma di una reale identità tra gli
obiettivi dell'approccio per competenze e i tentativi del mondo economico
(identità che, per il momento, ci accontenteremo di constatare senza
giudicarla) .

Quando Perrenoud riconosce questa identità, lo fa sulla punta delle labbra,
svuotandola del suo carattere storico e perfino con una punta angelica : «
il fascino del mondo dell'economia per le competenze non è soltanto sul
versante della negazione delle qualificazioni (..). C'è nel mondo
dell'impresa, anche se c'è per una necessità ben comprensibile più che per
un umanesimo virtuoso, una forma di riconoscimento del lavoro reale e della
sua distanza rispetto al lavoro prescritto, una presa di coscienza del fatto
che se gli operatori meno qualificati non esprimono nel lavoro intelligenza,
creatività e autonomia, la produzione ne risulterà compromessa» [PERRENOUD
2000 a].

Ma questa  « presa di coscienza » padronale non cade dal cielo. Essa è il
risultato delle mutazioni economiche descritte sopra. Non dirlo permette di
non dover spiegare perché il successo dell'approccio per competenze nel
campo scolastico coincida storicamente con questi rivolgimenti economici.

Inoltre, egli è abile nel chiamare « intelligenza, creatività, autonomia »
le competenze che dovrebbero assicurare la flessibilità e l'adattabilità dei
lavoratori. Perché, chi oserebbe contestare che il ruolo della Scuola è di
condurre i giovani all'intelligenza, alla creatività e all'autonomia? Ma,
così facendo, ci si contenta di nascondere il vero dibattito sotto parole
prive di un gran contenuto. Certo, la comprensione del funzionamento di un
sistema di guida stradale informatizzata e la presa di decisioni rapide
sulla base di informazioni fornite da un computer, in vista di un
intrufolarsi tra gli ingorghi per andare a riempire distributori di
Coca-Cola ai quattro angoli della città, necessita di determinate forme di
intelligenza, creatività e autonomia. Ma a chi si vuol far credere che si
tratterà delle medesime forme di intelligenza, di creatività e di autonomia
che permettono , per esempio, di capire gli effetti della globalizzazione
dell'impresa e dei mercati sulla società per contrastarli?



Dualizzazione del mercato del lavoro


Ora, si dà che nel corso del decennio a venire gli Stati Uniti intendano
creare circa  300.000 impieghi nel riempimento di distributori automatici di
bevande e alimenti. Più in generale, il  56 % degli impieghi che
conosceranno la maggiore crescita numerica negli  USA saranno di tipo «
short term on the job training » (formazione di breve durata, sull'unghia).
Tocchiamo qui un secondo importante aspetto dell'ambiente economico attuale:
la dualizzazione del mercato del lavoro che si traduce in una domanda
crescente di manodopera altamente qualificata ma anche, paradossalmente, in
una massificazione degli impieghi precari a bassissimo livello di
qualificazione.

Pertanto, quando Perrenoud cui assicura che l'approccio per competenze  «
risponde a un'esigenza di efficacia da parte dell'insegnamento, di
adeguamento maggiore dell'apprendimento scolastico alle situazioni che si
incontrano sulla strada verso il lavoro e fuori dal lavoro » [PERRENOUD 1995
b], vien di fatto di interrogarsi. Per una parte notevole della popolazione,
tale "adeguamento" passa per competenze di livello elevato, che implicano
conoscenze generali in grado di permettergli effettivamente di utilizzarle
come strumento di potere. Ma per un'altra parte, ancora più numerosa, l'
« esigenza di efficacia » e di adeguamento dell'apprendimento « alle
situazioni che si incontrano sulla strada verso il lavoro » implica una
riduzione a poche competenze di carattere generale - saper leggere,
scrivere, fare di conto, comunicare e servirsi di una interfaccia
informatica - e sociali - disciplina, autonomia e flessibilità, per esempio.

Quanto gli ambienti economici reclamano oggi, è la razionalizzazione
dell'insegnamento in funzione dei loro interessi. Tale razionalizzazione
dovrebbe permettere di ridurre i costi complessivi assicurando una maggiore
differenziazione e una flessibilità crescente (tanto dello stesso sistema
educativo che della mano d'opera da esso prodotta). Questo non è sicuramente
l'obiettivo dell'approccio per competenze, almeno nella testa della maggior
parte dei pedagoghi che lo difendono. Ma la domanda principale che si pone è
di sapere se le loro buone intenzioni non saranno poi riciclate, piegate al
profitto di questi interessi mercantili. Bisogna dunque studiare le modalità
pratiche della messa in atto di questa dottrina, per analizzare in che
misura essa presta il fianco a un tale recupero.



L'abbandono dei saperi


Il primo rischio inerente all'approccio per competenze è lo spostamento del
centro di gravità da esso indotto, dai saperi verso i saper-fare. Nella
pedagogia dell'approccio per competenze, la messa al lavoro degli allievi su
cantieri di problemi non è concepita come un metodo (tra altri) in grado di
dare un senso al sapere, permettendo la sua costruzione attraverso o per gli
allievi, in grado di restituire tale saperi nella sua storicità e
permettendone così una comprensione  profonda. La metodologia diviene un
obiettivo in sè. Lo scopo non è più sapere, ma saper fare. Questo distingue
fondamentalmente l'approccio per competenze dall'eredità delle pedagogie
costruttiviste che vanno da Vigotsky, passando per Freinet, fino ai
pedagoghi progressisti degli anni '70 (come quelli del GFEN in Francia). In
quel caso il ricorso alla pratica viene messo al servizio dell'acquisizione
di conoscenze e, soprattutto, dell'accesso ad una comprensione profonda di
queste conoscenze. Invece, nell'approccio per competenze si opera un
completo capovolgimento: sono i saperi che sono ormai messi al servizio
della pratica metodologica.  Perrenoud : « Le competenze non volgono le
spalle ai saperi, perchè esse non possono emanciparsene, ma è necessario
accettare di insegnare meno conoscenze se si vogliono realmente sviluppare
competenze  » [PERRENOUD 1999].



Cambiando lo stato, diventando un fine e non più un mezzo, la pratica di «
far lavorare sui cantieri di problemi » assume un carattere dogmatico.
Sentiamo Perrenoud : « Si impara a camminare camminando, a cantare cantando.
Perché si dovrebbe imparare a riflettere, a osservare, a immaginare, a
comunicare, a analizzare, a negoziare altrimenti che non praticando tali
attività in situazioni molto diverse, dato che la competenze non è legata a
un solo tipo di contesto, di situazione o di rapporto?  » [PERRENOUD 1999].
Certamente, si impara a camminare camminando. Ma per quanto riguarda il
canto già non è più vero, meno ancora se si punta ad un livello elevato. E'
allora necessario passare attraverso vocalizzi, studio del solfeggio,
ascolto. attività di apprendimento altrettanto essenziali che non sono
canto. L'idea secondo cui l'apprendimento passerebbe essenzialmente per la
pratica non è più completamente vera quando si tratti di saperi complessi.
Non s'impara a servirsi degli integrali solo calcolando degli integrali, ma
assimilando prima sul piano teorico i concetti di funzione, di
differenziale, di primitiva, di limite e, infine, di integrale. Qui la
comprensione esige un andare e tornare permanente tra la pratica (per
scoprire concetti e per sviluppare competenze strumentali) e la teoria (per
sistematizzare e passare a livelli di astrazione sempre più elevati).



Questo dogmatismo pedagogico è ben percepibile nei nuovi programmi che
arrivano oggi nell'insegnamento secondario francofono e belga. L'approccio
per competenze vi domina in modo talmente oltraggioso che si abbandona
spesso ogni velleità di una programmazione articolata della materia.

Perrenoud sostiene questa deriva e la legittimizza :  « Non si può insegnare
per competenze sapendo in agosto di cosa si tratterà a dicembre. Questo
dipenderà dal livello e dal coinvolgimento degli allievi, dai progetti che
avranno preso corpo, dalla dinamica del gruppo-classe o dei suoi
sotto-gruppi. Questo dipenderà soprattutto dagli avvenimenti precedenti,
perché le situazioni-problemi ne solleveranno ulteriori. E' decisamente
possibile e sicuramente necessario tagliar corto su certi aspetti e
ripartire da tutt'altro punto. Ma non ci si può fermare all'eventualità di
costruire tutto l'anno scolastico passo dopo passo, perché una questione ne
genera un'altra, un progetto che si compie suggerisce un'altra avventura.
Avventura? La parola può sembrare troppo forte trattandosi di un'istituzione
anche burocratizzata e obbligatoria (socialmente, se non legalmente) che è
la Scuola . E' quindi proprio di avventure intellettuali che si tratta, di
imprese di cui non si conosce in anticipo nulla sull'argomento, in cui
nulla, neanche il professore, è mai stato vissuto esattamente nei medesimi
termini  » [PERRENOUD 1995 c]. Queste parole non mancheranno di sedurre
tutti coloro che mordono il freno nelle nostre opprimenti istituzioni
scolastiche, L'avventura è accattivante. Ma questo non deve farci
dimenticare che essa può anche essere pericolosa. Se alcuni vi  troveranno
divertimento e profitto, altri rischieranno di perdervisi. Gli uni , gli
altri ? Come fa Perrenoud a non capire che quelli che ne usciranno bene sono
quelli che troveranno altrove quel rigore e quella strutturazione dei saperi
che non troveranno a scuola ? Come fa a non essere cosciente della frattura
sociale che i suoi eccessi pedagogici ci stanno apparecchiando ?



Pericoloso perchè impossibile a realizzarsi


Spinto fino al suo obiettivo, fino alla visione estrema idealizzata da un
Perrenoud, l'approccio per competenze è senza dubbio difendibile. Ma nelle
condizioni attuali di funzionamento della Scuola e della società, esso è
impraticabile.  Esso pone un obiettivo inaccessibile e inoltre il suo
(tentativo) di messa in pratica approderà all'opposto esatto delle finalità
ufficialmente perseguite.

Nel lungo estratto che segue, Perrenoud per di più dimostra di essere
pienamente cosciente dell'impossibilità pratica di attuare realmente ciò che
propone. « Si presentano numerose strategie », dice. « La più conservatrice
è di partire dai saperi attualmente insegnati e di cercare di definire delle
competenze che potrebbero mobilizzarli.. [Queste strategie] aggiungono un
verbo di azione alle conoscenze teoriche (per esempio "sapersi servire del
principio di Archimede") [e] si limitano ad agghindare i contenuti abituali
degli strumenti di competenza, senza riflessione sulle fondamenta ». « Una
seconda strategia, continua Perrenoud, consiste nel lasciare i saperi alle
discipline e nel definire delle "competenze trasversali" ». « La terza
strategia è enunciare delle capacità talmente generali che non si sappia
nemmeno più se esse siano disciplinari o trasversali : sapere analizzare,
argomentare, ragionare, osservare, esprimersi, negoziare sono senza dubbio
capacità utili, ma rinviano ad un'enorme diversità di materie, di pratiche e
di situazioni  ».

Perrenoud conclude : « queste tre strategie, per quanto discutibili esse
siano, occupano una posizione privilegiata nelle odierne riforme dei
programmi in termini di competenze. Esse sono, allo stesso tempo, le meno
promettenti e le più probabili». Egli viene dunque a raccomandare di
abbandonare, per il momento, queste pericolose riforme ? Affatto. Propone di
avventarsi verso l'ignoto rassegnandosi in anticipo: « queste modalità
prudenti di impugnare i problemi sono probabilmente le sole praticabili, in
un primo tempo ».



Dualismo sociale della Scuola


Ora, in un contesto di de-finanziamento, di sovraccarico di lavoro, di
classi super-popolate, di de-motivazione dei docenti e degli allievi, di
crescente dualizzazione sociale, il dogmatismo pedagogico rischia fortemente
di volgersi in formalismo.  Volontariamente o involontariamente, l'idea che
si induce nella testa degli insegnanti è che il metodo è tutto e che
l'accesso alle conoscenze diviene secondario, accessorio. Per Perrenoud, «
La pratica orientata verso la formazione di competenza esige dallo studente
un coinvolgimento molto più forte nell'impresa. Non solo una presenza fisica
e mentale effettiva, richiesta tra l'altro sia dagli allievi che dagli
insegnanti, ma un investimento che implica immaginazione, ingegno,
susseguirsi di idee, etc. » [PERRENOUD 1995 c]. Ma se questo «
coinvolgimento » e questo « investimento » fanno difetto, allora la pratica
rischia di passare accanto ai suoi obiettivi. Non resta quindi che fare del
bricolage pedagogico, costoso quanto a tempo e ad energia, in cui l'allievo
impara meno, col pretesto di imparare meglio. Tra gli allievi più motivati
(ovvero nelle scuole riservate ai giovani dell'elite sociale) la pratica
forse potrà approdare a preservare le conoscenze sviluppando la capacità di
metterle in atto. Ma tra tutti gli altri, queste conoscenze marcheranno il
passo al profitto di vaghe competenze che riposeranno su poche solide
fondamenta. Quelli che lavoreranno in massa nei  fast-foods di domani,
avranno imparato a comunicare con i clienti, ma non avranno imparato il
francese e ignoreranno del tutto la letteratura. Sapranno fare senza errori
un addizione, ma l'astrazione matematica gli resterà estranea. Potranno
applicare la legge di  Ohm, ma non capiranno cos'è un campo elettrico. E,
aiutandosi con un foglio di lavoro, potranno situare i dinosauri lungo una
scala temporale, ma potrebbero non avere mai sentito parlare di  Karl Marx.



I nuovi programmi, in cui le conoscenze strutturali vengono relegate al
secondo posto, dopo le competenze e il metodo, aprono la porta ad
un'interpretazione differenziata. Le scuole frequentate dai ragazzi e dalle
ragazze dell'università non interpreteranno questi programmi come le scuole
dei bambini e delle bambine del popolo.

L'interpretazione dei livelli di competenza da raggiungere è, ben più che un
enunciato dettagliato in materia diversificabile all'infinito. Sapere
"comunicare" è un saper fare di alto livello, che esige "l'integrazione di
risorse cognitive multiple nel trattamento di situazioni complesse»
[PERRENOUD 1995 b]. E' dunque una competenza. Ma la comunicazione non
implica le stesse esigenze se si tratta di dibattere dell'impatto della
mondializzazione con un quadro del FMI o se si tratta di chiedere « il
vostro hamburger lo volete con cipolla o con ketchup ? ». Come si potrà
impedire all'insegnamento una deriva verso un'interpretazione dualista delle
competenze, prendendo come criterio il presunto destino sociale dei bambini
dei quali esso è responsabile, a dire, in definitiva, la loro origine
sociale? Così, l'approccio per competenze rischia di diventare un elemento
ulteriore nel processo di dualizzazione della Scuola, un elemento di
rinforzo per una selezione sociale gerarchizzante, alimentata da una
deregolamentazione in ogni direzione.



Sapere per sapere o sapere per fare ?


Il mio proposito non è quello di rifiutare ogni strumentalizzazione dei
saperi. Dopo tutto, a che serve imparare bene se ciò che si impara non serve
a niente? Se i saperi sono così importanti ai miei occhi, non è perché gli
attribuisco un qualsiasi valore astratto o sentimentale, ma perché vi vedo
un importante mezzo d'azione. Non c'è pratica che sia efficace senza teoria.
I saperi danno la forza di comprendere il mondo e, inoltre, di partecipare
alla trasformazione di questo mondo. Essi rappresentano uno strumento di
potere. E' d'altra parte evidente sia perché essi siano rimasti al centro
delle preoccupazioni della Scuola,  fintanto che questa era riservata ai
giovani delle classi dirigenti. Per 150 anni nessuno si è mai preoccupato di
sapere se gli studenti dei collegi e degli atenei avessero acquisito la
"competenza di mobilitare le loro conoscenze nei problemi complessi e vari".
L'importante era che essi accedessero alle conoscenze al fine di disporne,
all'occorrenza, per esercitare la propria autorità nel posto che avrebbero
occupato nella società. Dal momento in cui l'insegnamento generale si è
ampiamente aperto ai figli del popolo, ci si preoccupa improvvisamente di
strumentalizzare questi saperi.



Perrenoud s'interroga : « di che avranno bisogno i giovani per affrontare il
secolo che si annuncia ? Di saperi, senza dubbio. Ma di saperi viventi,
mobilizzabili nella strada verso il lavoro e fuori del lavoro, capaci di
essere trasferiti, trasposti, adattati alle circostanze, ripartiti,
ricomposti. L'idea della competenza non sostiene altro che la pratica di
fare dei saperi scolastici degli strumenti per pensare e per agire»
[PERRENOUD 1999]. E' estremamente generoso. Ma il problema principale, per
la maggioranza dei giovani che escono dalla Scuola di oggi, è di essere
forniti di conoscenze scientifiche, storiche, sociali, tecniche, culturali e
di non sapere come usarle ? Oppure il problema è che essi escono dalla
Scuola conoscendo poco, troppe poche cose. Sempre meno se si parla di
conoscenza reale, cioè di una comprensione approfondita.

Questo sì, testimonianza sicura del fallimento della Scuola. Ma la causa non
deve essere ricercata negli obiettivi dichiarati (trasmettere saperi),
quanto piuttosto nella carenza delle pratiche e - i due aspetti sono
indissociabili - nell'assenza dei mezzi e delle condizioni materiali per
mettere in atto tali pratiche.



Conclusione


Gli obiettivi dichiarati dai sostenitori dell'approccio per competenze sono
generosi. Ma nelle attuali condizioni di funzionamento della Scuola è
impossibile metterli in pratica. Il ri-centramento degli obiettivi sulla
capacità di « mobilitare" saperi, piuttosto che sull'acquisizione dei
saperi, porta al dogmatismo pedagogico. Si verifica allora, nei fatti, un
rovesciamento dei fini e dei mezzi: la metodologia - messa al lavoro dagli
allievi su cantieri di problemi - non è più al servizio dell'accesso alla
comprensione dei saperi, ma questi (i saperi)  si trovano relegati al rango
di strumenti del metodo. Tale de-qualificazione dei saperi arriva fino
all'abbandono degli enunciati articolati di materia nella definizione dei
programmi.

In questo modo, l'approccio per competenze, per generoso che sia nelle sue
intenzioni, partecipa di un vasto movimento di deregolamentazione
dell'insegnamento, ed è reclamato dagli ambienti economici. Con la scusa
della flessibilità, questi assegnano alla Scuola la missione di inculcare
competenze trasversali, interdisciplinari, assicurando la capacità di
adattamento dei lavoratori ad un ambiente economico e tecnologico in
mutazione permanente. D'altra parte, la deregolamentazione indotta dall'
"afflato artistico" che caratterizza gli obiettivi cognitivi nei nuovi
programmi, favorisce lo sviluppo duale dell'insegnamento. Questo risponde ad
un altro "bisogno" dell'economia: l'adeguamento dell'insegnamento
all'evoluzione duale del mercato del lavoro.



Bibliografia


Ginette BERNAERDT, Christian DELORY, Alain GENARD, Albert LEROY, Léopold
PAQUAY, Bernard REY, Marc ROMAINVILLE, José-Luis WOLFS. À ceux qui
s'interrogent sur les compétences et leur évaluation, Le Point sur la
Recherche en Education - n° 2 c (non daté).



Marcel CRAHAY, Echec des élèves, échec de l'école? La Communauté française
de Belgique en échec scolaire. Recherche en Education (théorie et pratique),
11-12, 3-40, 1992.



J.M. De Ketele, Interview publiée dans J-L Jadoulle et M. Bouhon Développer
des compétences en classe d'histoire, unité de didactique de l'histoire de
l'UCL. Louvain-la-Neuve, 2001



Jean DONNAY, Marc ROMAINVILLE, Sandrine BIEMAR, Mireille HOUART,
Marie-Christelle PHILIPPE, Les douze travaux de l'enseignant face aux
competences transversales, Département Education et Technologie, Facultés
Universitaires Notre-Dame de la Paix, Recherche n°001/98



ERT, Education et compétences en Europe, Bruxelles, 1989.



Nico HIRTT, Les nouveaux maîtres de l'École, EPO & VO-editions,
Bruxelles-Paris, 2000.



Philippe Perrenoud, Enseigner des savoirs ou développer des compétences :
l'école entre deux paradigmes, Faculté de psychologie et des sciences de
l'éducation,Université de Genève, 1995



Philippe Perrenoud, Des savoirs aux compétences : de quoi parle-t-on en
parlant de compétences ?, Faculté de psychologie et des sciences de
l'éducation, Université de Genève, 1995



Philippe Perrenoud, Des savoirs aux compétences : les incidences sur le
métier d'enseignant et sur le métier d'élève, Faculté de psychologie et des
sciences de l'éducation, Université de Genève, 1995



Philippe Perrenoud, Construire des compétences, est-ce tourner le dos aux
savoirs ?, Faculté de psychologie et des sciences de l'éducation, Université
de Genève, 1998



Philippe Perrenoud, L'école saisie par les compétences, Faculté de
psychologie et des sciences de l'éducation, Université de Genève, 1999



Philippe Perrenoud, L'approche par compétences, une réponse à l'échec
scolaire ?, Faculté de psychologie et des sciences de l'éducation,
Université de Genève, 2000



Philippe Perrenoud, Construire des compétences dès l'école, Paris, ESF,
1997, 3e éd. 2000.


[Sono state eliminare la parti non di testo del messaggio]






___________________________________________
rekombinant .network
http://rekombinant.org
http://rekombinant.org/media-activism
http://urbantv.it

Rispondere a