Sara’ che mi sono rovinato il cervello passando anni della mia vita sulla logica di Hegel, ma per me identita’ e’ una categoria che appartiene alla sfera della riflessione e non dell’essere, una determinazione che assume e risolve in se’ la differenza, meglio il differire. L’identita’ culturale e’ un differire in se’, un processo di reinvenzione creativa del proprio essere nel tempo e nello spazio (lo spazio infatti e’ depositario del senso dell’origine) e non un dato o una determiazione d’essere che non si puo’ trascendere. Anzi .. proprio l’essere, il dato valgono nel sistema delle relazioni riflessive identitarie solo come un posto, un essere tolto. Per cui nell’essere identitico a se’ il soggetto, singolare o plurale che sia, differisce in se’ da se stesso e pone se stesso o l’unita’ con se’ come un limite, un altro da se’ l’unita’ con il quale e’ un compito ed il risultato di un processo.

Da cui anche risulta chiaro come la categoria riflessiva di identita’ sia una categoria chiave della relazione sociale. Nella prospettiva dell’identita’ il se’ e l’altro da se’ sono risolti una relazione dialettica in cui l’essere altro e’ integrato e posto come medio della relazione riflessiva di se’ con se’ stesso. Ed e’ cosi’ in effetti che le culture e gli individui si definiscono le une rispetto alle altre. Giacche esse cosi’ come questi certo non sorgono in splendido isolamento ma nel tessuto delle relazioni e degli scambi che le uniscono.

Pertanto io sono profondamente in disaccordo con l' affermazione che "un’identita’ non controbilancia un’altra, se mai entrano in conflitto". Poiche' in effetti vale l'opposto, che comunicazione, scambio, articolazione (non bilanciamneto pocihe' non si tratta della relazione fra due misure, due pesi, due cose) non e' possibile se non a partire da due identita'.

Dunque, non bisogna avere paura del concetto di identita'. L'identita' e' infatti processo, architettura della comunicazione e del dualogo. Se questa catgoria e' usata dalla destra, dai paranoici e dagli xenofobi io dico: appropriamoci di questa categoria, occupiamo questo spazio, rovesciamola contro coloro che la hanno promossa ed usata per articolare il discorso della destra ! Diamo spazio e voce alle identita' minoritarie, siano esse le comunita' indigene dell'amazonia o le comunita' alternative della metropoli. Sviluppiamo l'architettura politica della loro convergenza.

Certamente questo non e' possibile sulla base della determinazione soltanto formale, come dire trascendentale, della categoria. Nella sua determinazione concreta essa risponde alle pratiche biopolitiche, alla capacita' di aggregazione di un progetto politico-culturale che sorge dai movimenti sociali e dal conflitto che sanno articolare. Le lotte esprimono, pro-ducono identita'. Esse dipendono dal saper nominare questa identita', dargli un volto ed una faccia.

Bah, questi i miei 2 soldi ..

vt

----

tu esprimi un'identità resistenziale grande come una casa: l'identità comunista, oggi ridotta alla costante critica di ogni possibilità presente, avendo perso ogni ipotesi credibile di futuro. Io credo che il movimento non avrà mai la possibilità di incidere sullo stato delle cose presente se non sviluppa un'identità progettuale che possa allargare la partecipazione sociale al movimento in vista di una trasformazione democratica dell'Unione e quindi nel lungo periodo del pianeta (proprio perché siamo nazionalisti, genocidi, coloniali nel bastardo dell'animo, abbiamo sviluppato istituzioni pacifiche e relativamente rispettose dei diritti individuali, sociali, ambientali in misura maggiore che su ogni altra regione del pianeta).

Il potere costituente in Europa negli anni 90 lo detenevano i tecnocrati, l'hanno perso a favore degli stati-nazione, anche a causa dell'incapacità di far fronte ai movimenti tettonici della politica globale (in questo ti do ragione). Ci avviciniamo al vuoto costituente, con grande piacere dei neoliberisti che hanno già portato a casa l'euromercato. Il movimento del 15 febbraio si trova di fronte a un carapace europeo esangue: può definitivamente schiacciarlo, facendo un gran favore alla sopravvivenza dello stato-nazione e ai giochi della politica USA, oppure può rianimarlo e riorientarlo in un senso progressista e libertario, globalista e solidale, abbattendo le barriere della xenofobia, che rischiano di diventare, quelle sì, parte integrante di un'identità europea resistenziale intesa come fortezza che si oppone al sud del mondo. Buttare cinquant'anni di sviluppo istituzionale al vento, vuol dire solo riprendere la classica tradizione comunista di ostilità al progetto comunitario, che secondo me è stato uno dei più grandi errori del "pensiero critico" come dici tu, con espressione un po' sessantottarda.

Sono le strategie che trasformano la realtà, non la critica delle strategie,

af At 18.26 20/08/03 +0200, you wrote:

>A proposito di identita’ europea: trovo un po' inquietante che a sinistra >abbiano terreno fertile e siano presi sul serio (se non come segnale di >pericolo) questi progetti di creazione di identità tascabili - quasi che >non ci fossero oggi abbastanza identita’ in giro -, progetti di eugenetica >istituzionale o di biopolitica per costituzionalisti. Mi sembra assurdo >che il pensiero critico aderisca ad un’equazione cosi’ ridicola che >nemmeno i funzionari della Commissione hanno il coraggio di formulare >chiaramente: esigenza di un ruolo politico internazionale per l’Europa - >esigenza di democrazia in Europa - esigenza di sentimenti di appartenenza >identitaria e fedeltà al nuovo livello di governo. E’ chiaro che una >questione sono i contenuti dell’azione politica europea, i conflitti >sociali e le prassi politiche che costituiscono un governo democratico, e >anche, perche’ no?, i meccanismi giuridici formali che tale governo >dovrebbero garantire. Una questione del tutto diversa sono i sentimenti di >fedeltà a questo dispositivo costituzionale, di identità/alterità entro >questa realtà geopolitica. >Non è sentendoci meno americani, diversi dagli americani, che contrastiamo >il bushismo. Un’identita’ non controbilancia un’altra, se mai entrano in >conflitto: ma e' comunque un conflitto impolitico, perche' gia' >naturalizzato in termini di conflitto fra identita'. Forse puo' dirisi che >e' una politica internazionale, non un'identita', che puo’ bilanciare >l'unilateralismo egemonico americano. Ma anche ragionando cosi’, si fa >geopolitica e si capisce poco: questa geopolitica sfocia, poi, nel >folklorismo, quando parla il lessico identiario. Piuttosto, invece di >tracciare immaginarie distinzioni identitarie nelle sabbie mobili del >costituzionalismo contemporaneo, per una politica radicale si tratta di >riconoscere problemi e pericoli comuni, elaborare pr assi politiche comuni >(comuniste), di contrasto defezione resistenza, cosa che ovviamente è >impedita da un’identita’ presupposta (tanto siamo diversi…), da un >sentimento di specificita’ culturale, da un culturalismo eurocentirco (nel >progetto europeo ne andrebbero dei destini non solo dell’Europa, ma >dell’umanita’ intera… e andiamo, dobbiamo riproporre una missione >civilizzatrice dell’Europa per il governo del mondo? Ma se questa Europa >non guarda oltre il suo ombelico e si alambicca con i problemi della >propria identita’, specificita’, unità nella diversita’, ecc.). >E’ paradossale l’idea che questo progetto di costruzione di un’identita’ >europea in vitro (si’, mi sento europeo e sono orgoglioso di essere >europeo, evidentemente c’e’ una tradizione comune fra, chesso’, svedesi e >greci, che li distingue da canadesi e turchi…), un progetto che non teme >il grottesco ma e' efficace e gia’ si articola in una pluralita’ di >iniziati ve istituzionali (un inno europeo, una bandiera europea, una >costituzione per l’Europa, ecc.), debba trovare la solidarieta’ del >pensiero radicale. E’ un paradosso, in realta’ e' la conseguenza di una >impasse politica, come se, una volta bella e pronta l’identita’ europea, >fosse scontato che questa è destinata ad esprimere una politica >cosmopolitica e di integrazione in un ordine globale (una politica >cosmopolita a partire da un’identita’ particolare - identita’ europea?); >come se fosse in sé desiderabile questa politica cosmopolita e il >cosmopolitismo europeo non avesse gia’ dato la peggiore prova di se’ nella >stagione dell’imperialismo europeo. Come crederci? Come credere che un >sentimento di appartenenza all’Europa, un sentimento di fiducia nelle >istituzioni europee, sia una garanzia per obiettivi politici, quali che >siano (anche se molli e scivolosi come il cosmopolitismo rawlsiano)? >Sembra piu’ semplice dire che dei disco rsi identitari non ci importa >niente, soprattutto quando la costruzione di un’identita’ parte dall’alto, >dalle centrali tecnocratiche del governo globale ed europeo, e che se mai >ci interessano i contenuti di una politica europea (perche’ sicuramente >questo livello di governo c’e’ gia’ e bisogna farci i conti). > > > >At 13.38 19/08/2003 +0200, you wrote: >>Riprendo a distanza di mesi la riflessione sull'altra europa costituente. >>Ricorderete che Bifo non vedeva di buon occhio l'appello congiunto >>habermas-derrida-rorty per la costruzione di una nuova identità europea. >>Lo riteneva troppo eurocentrico e illuminista: un progetto la cui data di >>scadenza era già passata da temèp. Bene, adesso il dibattito si è >>infittito con altri interventi, fra qui quelli di Iris Marion Young e >>Daniele Archibugi, che hanno discusso alcuni dei limiti rilevati da Bifo. >>E la questione mi è diventata più chiara. > ;> >>Non ci crederete, ma è da due mesi che 'sta roba dell'identità europea mi >>tormenta. Un mio amico marxiano-americano che dalla California adesso va >>a insegnare a Budapest all'università di Soros, mi ha scritto di recente: >>"Ma avete almeno in mente gli elementi base su cui fondare un'identità >>europea di trasformazione?". Non gli ho saputo rispondere. Ma sulla >>scorta di Archibugi, propendo per la conclusione che non c'è futuro per >>la cosmodemocrazia se la parte transnazionalista del movimento non allea >>le proprie forze con l'intellettualità cosmopolita di segno rawlsiano. >> >>Prima di liquidare il suddetto trio, teniamo bene a mente una cosa. >>Quegli interventi postulano il 15 febbraio come data di nascita della >>società civile europea e di una possibile identità europea >>postnazionalista capace di controbilanciare l'unilateralità buscista. >>Tanto è vero che Dahrendorf e Ash Garton sono corsi ai ripari, cercando >>di sminuirne la portata, nel tentativo di disinnescare le conseguenze >>dirompenti che ciò avrebbe per l'establishment liberaldemocratico, ancora >>atlantista. >> >>Non diamo forse peso e rilevanza analoghi a quello straordinario evento? >>Come possiamo quindi liquidare come tromboni razionalisti giganti del >>pensiero che hanno chiaramente individuato nel movimento globale l'ultima >>speranza per l'Europa e il mondo di fronte all'Impero del caos? Sì, il 15 >>febbraio è stato globale, ma la sua potenza si è espressa in Europa, come >>ben mostrano i grafici politici di Rem Koolhaas su Wired. >> >>Iris Marion Young dice che Habermas vede in modo paternalista la >>relazione fra Europa e Sud del mondo, glissando sulle tremende sofferenze >>inflitte dal colonialismo europeo. Non solo, Habermas sottolinea >>acriticamente l'impegno della Comunità per i diritti umani, una >>giurisdizione internazionale e una governance globale a partire dagli >>settanta (sì, vaglielo a dire ai bosniaci). Ma sulla questione centrale >>ha ragione Habermas: senza Europa sociale e libertaria, transnazionalista >>e pacifista, ambientalista e multiculturale ci giochiamo di sicuro il 50% >>di possibilità di sopravvivenza della specie umana che Martin Rees, fra i >>massimi fisici viventi, ci attribuisce di qui alla fine del XXI secolo >>nel suo libro OUR FINAL CENTURY. >> >>Habermas&C senza movimento sono profeti nel deserto. Il loro manifesto è >>una mano tesa nei nostri confronti. Nel 999 potevamo anche dire: "basta >>coi soliti tromboni, pensioniamoli al più presto". Oggi che una guerra >>globale pienamente dispiegata getta la sua ombra funesta sul pianeta, >>credo che non possiamo permetterci di perdere alcun alleato per strada, >>nessuna compagna di strada, quand'anche continuassero a credere nella >>centralità della ragione europea. >> >>Bifo, Habermas ha bisogno di te: trattalo con comprensione. >> >>lx


Do you Yahoo!?
Yahoo! SiteBuilder - Free, easy-to-use web site design software

Rispondere a