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I veri Bush

Proponiamo un commento di Pino Cabras, parlamentare M5S, su George Bush. Nel 
fiume di retorica totalmente acritica, se non addirittura agiografica, questo è 
uno dei pochi commenti che merita di essere letto.

3 Dicembre 2018

di Pino Cabras

In morte dell’ex presidente USA George Herbert Walker Bush (1924-2018), si 
stanno già sprecando i commenti giornalistici e istituzionali che ne esaltano 
la figura. Preparatevi a una scorpacciata di buone parole e santificazioni 
postume. Molti commentatori che quando parlano di Putin aggiungono sempre in 
automatico, quasi fosse un secondo cognome, la formula «ex-spia-del-Kgb», 
trascureranno, altrettanto in automatico, un dettaglio biografico che riguarda 
Bush, l’essere stato direttore della Cia.
Trascureranno cioè una qualificazione più accurata di uno dei quadri dirigenti 
della guerra fredda, un personaggio emblematico di un sistema che ha plasmato 
l’infrastruttura imperiale americana. L’appartenenza di Bush ai settori più 
opachi delle classi dirigenti statunitensi non è insomma una nota a margine 
della Storia, un incidente di percorso, una piccolezza, bensì la chiave per 
capire il suo ruolo con sufficiente respiro storico... Ho letto anni fa il 
documentatissimo saggio di Russ Baker “Family of Secrets” (Bloomsbury, 2008), 
che ripercorre l’incredibile galleria di azioni sporche collegabili in episodi 
decisivi della storia USA a quel gruppo patrizio di cui i Bush sono una 
componente centrale.

Poiché nei fatti quella dei Bush è una dinastia, come per tutte le dinastie ci 
si deve muovere dai patriarchi, a partire dal nonno del defunto, ossia Samuel 
Prescott Bush, tra il 1914 e il 1918 un fedelissimo di Percy A. Rockfeller 
(padrone della City Bank e della Remington Arms Co.), amministratore della War 
Industries Board (industria a produzione militare che si espanse moltissimo 
grazie alla prima guerra mondiale), socio del magnate della finanza Bernard 
Baruch e del ‘banchiere nero’ Clarence Dillon , habitué dei circoli esclusivi 
dell’alta finanza che originarono il CFR (Council of Foreign Relations).

Si deve poi passare a suo figlio (e padre del defunto), Prescott Sheldon Bush, 
amministratore e socio della Union Banking Corporation (UBC) [Ben Aris, Duncan 
Campbell, “How Bush’s grandfather helped Hitler’s rise to power,” «The 
Guardian», 25 settembre 2004. 
http://www.guardian.co.uk/usa/story/0,12271,1312540,00.html 
<http://www.guardian.co.uk/usa/story/0,12271,1312540,00.html>.] Il suo partner 
più importante in Germania era l’industriale nazista Fritz Thyssen: la banca fu 
fondata per finanziare la riorganizzazione dell’industria tedesca. Investiva ad 
esempio nell’Overby Development Company e nella Silesian-American Corporation 
(diretta dallo stesso Bush), da cui l’industria bellica di Hitler si 
approvvigionava di carbone anche dopo l’entrata in guerra degli USA. Investiva 
inoltre nella compagnia di navigazione Hamburg-Amerika Line (poi denominata 
Hapag-Lloyd dopo la fusione con un’altra società), le cui navi, negli anni 
trenta, fornivano le milizie naziste di armi provenienti dagli Stati Uniti. 
L’attivismo del senatore Prescott Sh. Bush fu premiato: venne insignito dal 
regime nazista dell’‘Aquila tedesca’. Il certificato di attribuzione di questa 
onorificenza in data 7 marzo 1938 fu firmato da Adolf Hitler e dal segretario 
di Stato Otto Meissner, come risulta dagli archivi del Dipartimento della 
Giustizia statunitense. Nel corso del 2001 sono venuti a galla dei documenti 
impressionanti sui traffici di Prescott Sh. Bush. Queste recenti ricerche 
dimostrano che quel Bush installò una fabbrica nei pressi di Auschwitz, dove 
lavorarono, ridotti in schiavitù, i prigionieri dei vicini campi di 
concentramento [Gli archivi vennero compulsati da John Loftus, presidente del 
Florida Holocaust Museum. Si veda Toby Rodgers, “Heir to the Holocaust, How the 
Bush Family Wealth is Linked to the Jewish Holocaust”, in «Clamor Magazine», 
maggio-giugno 2002.]

La nostra attenzione a questo punto può finalmente spostarsi su George Herbert 
Walker Bush, vicepresidente nell’amministrazione Reagan (1981-1989) e poi 41° 
presidente degli Stati Uniti (1989-1993). I suoi vasti interessi in zone oscure 
della morale politica hanno spaziato dalla copertura di certi traffici di droga 
a quelli di armi e petrolio, solo a stare alla vicenda Iran-Contra.

Citiamo alcuni passaggi di questa sfolgorante e spregiudicata carriera. 
Seguendo le orme dei suoi familiari, George debutta molto presto nei circoli 
anticomunisti dell’alta finanza nordamericana. Oltre ad aver occupato le 
massime cariche alla Casa Bianca, il suo cursus honorum lo vede fra i 
coordinatori del fallito sbarco nella Baia dei Porci a Cuba nel 1961, poi punto 
di riferimento del narco-dittatore panamense Noriega, infine superconsulente di 
Carlyle Group , ossia uno dei principali azionisti di molti fornitori delle 
forze armate americane. Ma fu anche direttore della CIA tra il 1976 e il 1977. 
Tra il 1981 e il 1986 – da vicepresidente degli Stati Uniti – Bush selezionò 
decine di figure chiave dell’amministrazione coinvolte in colossali traffici 
nel mercato internazionale della droga.

Nello stesso periodo, e anche questa è cosa ben nota, furono molto fitti e 
costanti i rapporti tra la famiglia Bush e quella bin Lāden (tanto che entrambe 
hanno ricoperto posizioni rilevanti nel Carlyle Group). Khalifa, Bin Mafouz, 
Salem bin Lāden (fratellastro di Osāma) erano nel consiglio di amministrazione 
della BCCI quando scorrevano immensi flussi di denaro per l’affare Iran-Contra. 
Quando, alla fine del 1980, alcuni emissari repubblicani s’incontrarono in 
segreto a Parigi con i khomeinisti moderati per far rimandare il rilascio degli 
ostaggi americani a Teheran e sconfiggere così Jimmy Carter alle elezioni, 
George padre arrivò in tutta fretta al vertice a bordo dell’aereo di Salem bin 
Lāden. I bin Lāden investirono nel Carlyle Group circa 1,3 miliardi di dollari 
e James Baker, a capo dello staff di Bush Senior, ha ammesso ufficialmente che 
Bush ha incontrato i bin Lāden anche nel novembre 1998 e nel gennaio del 2000.

Possiamo dunque cogliere già con pochi cenni che questo pezzo di “patriziato 
americano” rappresentato dalla dinastia dei Bush si tramanda una grande 
spregiudicatezza nei rapporti di potere con presunti nemici. Dentro le guerre, 
dentro i grandi affari dell’industria a produzione militare, dentro le 
consorterie di petrolieri che brindano all’uccisione dei Kennedy e al trionfo 
delle petromonarchie.

Sono strutture di potere che durano al di là delle singole persone, al punto 
che perfino una persona di ridottissime capacità come George W. Bush, figlio di 
George Herbert Walker Bush, è riuscito poi a diventare anche lui presidente, 
orgogliosamente dichiaratosi «a president of war» e dunque corresponsabile dei 
grandi disastri bellici di cui oggi ereditiamo le conseguenze.

Non uniamoci perciò alle canonizzazioni di Bush. Misuriamo semmai la serietà 
dei giornali dalla capacità di farne il vero ritratto.


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