Peter Handke tra Nobel e linciaggio morale / 3

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INTERVISTA A PETER HANDKE

effettuata dal giornalista televisivo tedesco Martin Lettmayer nel gennaio 1997


Oggi, molte settimane dopo l'apparizione del suo libro, come si sente? 

Come mi sento? Bene, sono contento di averlo scritto. Naturalmente sono grato 
al mio editore che lo ha pubblicato, dopo che ha riscosso tanta attenzione sui 
quotidiani. 

E' stato pubblicato per questo o nonostante questo? 

No, si era già deciso che questa storia sulla Serbia sarebbe uscita un paio di 
settimane dopo il pezzo sulla Suddeutsche Zeitung. 

L'idea di scrivere un libro e' nata insieme alla sua decisione di intraprendere 
il viaggio? 

Il viaggio volevo farlo comunque. Durante il viaggio, come ho sottolineato 
altrove, non ho preso appunti su quanto vedevo in Serbia. E' stato durante il 
viaggio di ritorno, lasciata la Serbia, mentre guidavo attraverso l'Ungheria 
verso Ovest, attraverso l'Austria e la Germania, che gradualmente mi sono reso 
conto del contrasto tra i vari paesi, ed ho sentito che bisognava scrivere 
qualcosa sulla Serbia. In questi anni non mi era mai accaduto. Cosi', l'idea 
del libro mi e' venuta durante il viaggio di ritorno. 

Qual e' stato il fattore decisivo? 

Come ho detto, tutte le storie che ho letto riguardanti la guerra sono state 
scritte come di fronte ad uno specchio. Io volevo arrivare al di la' dello 
specchio. Non si e' mai scritto niente sulla Serbia in quanto paese [durante la 
guerra]. Un'unica volta ho trovato qualche cosa su Belgrado, ma sempre 
frammista ad una marea di cliché: "e' tutto grigio, nessuno vuole parlare, 
l'opposizione e' debole, i feriti di guerra non hanno modo di ritornare a 
casa", ecc. ecc. Ogni reportage era lo stesso, e sempre Belgrado...Pensai che 
mi sarebbe piaciuto andare in Serbia, ma fuori, in campagna. Volevo farlo, 
dovevo andare nella Bosnia martoriata dalla guerra, ma non come la gran parte 
dei giornalisti. Loro arrivavano sempre da Ovest. Io volevo arrivare in Bosnia 
dalla parte opposta, dall'Est, attraverso la Serbia e passando la Drina, il 
fiume che segna il confine con la Bosnia. Ecco il mio piano di viaggio. Nessuno 
lo aveva fatto in tutti e cinque Gli anni di guerra. 

Si sentiva adirato... per questi reportage dei media? 

Si. All'inizio credevo ai reportage, ma sentivo che non c'era equilibrio. 
Continuavo a sentire lo stesso giro di frasi, la stessa contorsione 
grammaticale e nella scelta dei vocaboli... Sentivo che o non poteva essere, 
oppure, se e', allora ognuno - che sia giornalista o scrittore - almeno ha il 
dovere di considerare l'altra parte senza fare un processo. 

Una volta un giornalista ha scritto: "se osservi dalla torre d'avorio, allora 
e' tutto uguale". 

Beh, per me non e' tutto uguale, perche' io da sempre mi sento vicino alla 
Jugoslavia, e' stato cosi' per tutta la mia vita, a cominciare dai miei avi, 
che erano slavi, della Slovenia, o meglio della minoranza slovena che si trova 
in Carinzia, da parte di mia madre. In secondo luogo, per me la Jugoslavia era 
l'Europa. Io ci andavo, anche a piedi, non solo in autobus o in macchina o in 
aereoplano. La Jugoslavia, per quanto frammentata sia potuta essere, era il 
modello per l'Europa del futuro. Non l'Europa come e' adesso, la nostra Europa 
in un certo senso artificiale, con le sue zone di libero scambio, ma un posto 
in cui nazionalita' diverse vivono mischiate l'una con l'altra, specialmente 
come facevano i giovani in Jugoslavia, anche dopo la morte di Tito. Ecco, penso 
che quella sia l'Europa, per come io la vorrei. Percio', in me l'immagine 
dell'Europa e' stata distrutta con la distruzione della Jugoslavia.

Questa immagine dell'Europa... multiculturale, multietnica... [confuso]? 

Si, certo, cosi'. Ma non sopporto piu' la parola "multi-culturale". E' stata 
una scusa disonesta per far nascere dal nulla uno stato musulmano in Bosnia. 
Non posso accettarla, se la parola e' applicata a Sarajevo. Se invece ci si 
riferisce alla vecchia Jugoslavia, dove le nazionalita' vivevano insieme, l'una 
con l'altra, eppur autonomamente, allora posso accettare le parole 
"multi-etnica" e "multi-culturale" - non, tuttavia, se ci si riferisce alla 
Bosnia. Per me creare uno Stato da quella che era una regione, una pura unita' 
amministrativa - e questa era la Bosnia nella vecchia Jugoslavia - e' stata una 
infamia. La Bosnia non aveva mai costituito uno Stato sovrano. Per me, creare 
Stati autonomi in Slovenia, Croazia e Bosnia-Erzegovina e' stato proprio come 
fabbricare delle menzogne storiche. All'inizio credevo anch'io a tutto il 
discorso sulla liberta' ed i suoi paladini, in lotta contro il 
"panzer"-comunismo per la multietnicita'... All'inizio ci credevo. Ma adesso 
non credo piu' ad una sola parola di tutto cio'. 

Come spiega che gli sloveni ed i croati abbiano improvvisamente voluto i loro 
Stati nazionali?

Era un momento opportuno. Io non sono un commentatore politico e non lo saro' 
mai. Era un momento favorevole, dopo la morte di Tito, un momento in cui ognuno 
ha potuto scapicollarsi ad afferrare quanto piu' poteva per se' stesso. 

E' stato scritto troppo poco su quello che ha fatto Hitler, insieme con la 
Chiesa Cattolica, nei Balcani. Anche la Chiesa Cattolica e' stata terribilmente 
dannosa in Croazia, a tutti gli effetti fondamentalista e distruttiva - forse 
in misura solo un po' minore in Slovenia. E sui crimini commessi in Croazia 
durante la Seconda Guerra Mondiale dalla Chiesa Cattolica e dal nazismo, dal 
nazionalismo... C'era il campo di concentramento di Jasenovac, dove sono stati 
eliminati tra i seicentomila e gli ottocentomila serbi, ebrei, ed anche 
musulmani. Questo ha portato alla rivalsa degli uomini di Tito per i crimini 
del regime degli ustascia in Croazia e dei domobranci in Slovenia. Ci sono 
state deportazioni, spesso ingiustificate, dalla Croazia e dalla Slovenia verso 
tutta l'Europa, in Argentina, ed anche in America. 

Il terreno di coltura in cui si sono poste le basi per la distruzione della 
Jugoslavia e' la Croazia, con la sua ignota storia nazi-cattolica della Seconda 
Guerra Mondiale, ed anche prima. Noi europei, e tutto il mondo attorno, 
sappiamo troppo poco di tutto questo. E proprio mentre la storia degli ebrei 
prima e durante la Seconda Guerra Mondiale viene esaminata e chiarita, come ho 
detto nel mio libro, adesso e' necessario portare alla luce tutto quello che ha 
fatto il fascismo durante la Seconda Guerra mondiale in Jugoslavia, ed il suo 
Olocausto degli ebrei. 

A piu' riprese sentiamo pronunciare la parola "Jasenovac". Questo per i serbi 
e' un trauma. La guerra attuale, nonostante il lungo intervallo di tempo 
intercorso, e' in fondo una continuazione di quella di 40 anni fa? 

Si, e' una metamorfosi, anzi: una metastasi, come si dice per il cancro. E' una 
continuazione della Seconda Guerra Mondiale. E' significativo che, mentre i 
Croati conquistavano l'area di Jasenovac [di nuovo il primo maggio 1995, dopo 
le distruzioni del 1991; n.d.crj], abbiano distrutto ogni monumento a chi li' 
fu ucciso. Il campo di Jasenovac - in quanto monumento - e' stato distrutto di 
nuovo quest'anno [1996]. E' significativo. Ecco che cosa mi ha portato a 
scrivere. 

Il suo libro non e' proprio politico, oppure si? 

Che vuol dire "politico"? Il mio libro tratta dei problemi. Racconta dei 
problemi, i problemi che ha un lettore di quotidiani a capire. Parla dei 
problemi di un lettore di storia. Parla dei problemi di visuale di uno che 
osserva una foto, i problemi di uno spettatore televisivo. Parla inoltre dei 
problemi di come un lettore distante, come me, come quasi tutti noi, come veda, 
come legga i reportage di guerra. La critica e' rivolta alle strutture. Uno 
critica le forme estetiche della tecnica di ripresa, della grammatica, 
dell'arte dell'inviato di guerra. Al mio libro vengono rivolte critiche di 
cecita' estetica. La politica e la poetica si fondono nel mio libro. 

E' perche' lei afferma che tanto il politico quanto il poetico sono presenti 
nella sua storia sulla Serbia. 

Non c'e' contraddizione. 

C'e' una frase nel suo libro: "Wilhelm, non farti instupidire dal tuo afflato 
poetico verso il mondo". 

Io ci ho messo tanto prima che il mio sentimento per il mondo divenisse 
sentimento poetico, un sentimento delle piccole cose, un sentire i "pars pro 
toto". Io credo che nei piccoli fenomeni si possa intravedere un grande 
affresco. E' un metodo induttivo (...). Mi piace partire dal fenomeno piccolo e 
vedere dove riesco ad arrivare. Naturalmente voglio andare il piu' lontano 
possibile. Questo e' il processo induttivo, o poetico. 

Anche Peter Handke può essere tratto in inganno talvolta dal suo senso poetico 
per il mondo? A questo ha pensato qualche volta, o no? 

No, non posso esserlo. Se e' inganno allora e', come si dice, un metodo del 
tipo 'prova e sbaglia': uno impara dai propri errori. Ecco il mio atteggiamento 
di base quando scrivo delle cose del mondo. Sbagliando mi rendo conto di cosa 
non andava. Non posso affermare in anticipo che quello che scrivo e' la 
verita', ma facendo un errore capisco come puo' essere la verita'. E' tutto qui 
il mio lavoro di narratore. 

C'e' un'altra frase: "Se solo la dimensione poetica e quella politica potessero 
essere una ed una sola..." In questo libro lo sono solo parzialmente? 

Io penso che non siamo molto lontani da una sintesi ideale tra la dimensione 
storica, quella politica e quella poetica, proprio come tre percorsi separati 
che si riuniscono formando una specie di radura dentro ad un bosco, il bosco 
della storia. Non sono molto lontano da questo. 

Cito ancora: "Quella sarebbe la fine della nostalgia, e la fine del mondo". E 
lei ha detto da qualche parte di non sapere, dopo la pubblicazione del libro, 
se non tornerà mai a scrivere qualcosa. 

E' assurdo. Questo e' quello che hanno scritto di me solo come per reagire al 
mio libro sulla Serbia. In primo luogo, vogliono reagire proprio contro la mia 
impudenza per aver scritto questa storia. (...) [Qui inizia un lungo scambio di 
battute di argomento letterario che poco hanno a che vedere con il problema 
della Serbia] 

Lei ha affermato che l'osservazione vale di piu' dell'immaginazione quando si 
scrive. 

Per quanto riguarda i libri, in altre parole la letteratura - in una parola, la 
scrittura - io non sono un amante del fantastico. A questo riguardo uno 
scrittore svizzero, Ludwig Hohl, ha detto che la fantasia e' una evocazione 
degli oggetti che ti sono di fronte, come un tavolo, una pietra, l'occhio di 
un'altra persona. Tutto questo acquista significato e senso improvvisamente. 
(...) 

Immagino che il suo libro ha provocato una tale opposizione in Germania ed in 
Austria soprattutto perche' mette in discussione due dogmi assolutamente 
essenziali della politica occidentale. Il primo e' la questione 
dell'aggressore: esiste un aggressore? 

Non per come e' stato rappresentato. Ecco ripresentarsi il problema 
dell'autorita'. La "Repubblica di Croazia" [come ex-unita' amministrativa della 
SFRJ] diventa uno Stato. Di essa e' stato arbitrariamente fatto uno Stato 
sovrano con poteri costituzionali, ma questo su di un territorio abitato da 
600mila persone di un'altra nazionalita'. Prima della Seconda Guerra Mondiale, 
prima del regime ustasha di Pavelic', li' abitavano un milione di serbi. 
Persino adesso [all'inizio della guerra] in Croazia vivevano circa 400mila 
serbi. Almeno un quinto della popolazione apparteneva ad un'altra nazione. 
Sotto la costituzione croata questi sono diventati cittadini di seconda classe, 
una minoranza. Si era ritenuto che questi fossero d'accordo ad essere trattati 
come cittadini di seconda classe. Ecco la questione che ho sollevato nel mio 
libro: come si puo' creare uno Stato laddove esiste una minoranza cosi' forte, 
considerevole, appartenente ad un'altra nazionalita'? Non si puo' considerare 
un'aggressione questa? Non puo' uno difendere la sua nazione di fronte a cio'? 
Non c'e' modo di confutare il fatto che questa e' un'aggressione contro l'altra 
nazionalita' [da parte del nuovo Stato]. 

Ma tutto questo non e' un po' troppo in bianco-e-nero, come i bambini che 
strillano "hai cominciato tu, hai cominciato tu!"? 

Questo e' proprio quanto affermo nel mio libro. Posso difendere me stesso in 
base a quanto ho scritto. Naturalmente io ho le mie opinioni e le mie 
convinzioni, ma quello che ho scritto non ha niente a che fare con esse: ha a 
che fare esclusivamente con questioni basilari. La mia espressione migliore per 
questo e' la seguente: si tratta di raccontare una storia, per come essa e', 
come ho fatto sempre nella mia letteratura sin da quando cominciai a scrivere. 
Non ho mai lasciato trapelare le mie opinioni. Ecco perche' trovo incredibile 
questa esplosione di odio ed astio contro il mio libricino, soprattutto in 
Germania. 

Lei sarebbe disposto ad "allungare il collo" tanto da affermare che gli 
aggressori non si sa chi siano, ma certamente non sono i serbi? 

Non sono loro gli aggressori. E' precisamente cosi'. Le cose possono e devono 
essere viste diversamente. E' quello che chiedo nel mio libro.

Il secondo dogma: lei riflette su Srebrenica e si pone degli interrogativi su 
questo [seconda cassetta] (...) 

Come per Srebrenica, dove il massacro e' stato commesso subito prima della 
fine, nel giugno-luglio 1995, io mi chiedo: "perche' [sarebbe successo]?". Per 
fini argomentativi, diciamo ch'io non mettero' in dubbio i fatti nemmeno per un 
attimo. Non sono competente per dare giudizi... Ma gli altri dovrebbero avere 
dei dubbi sui fatti, visto che la storia del massacro e' stata rivenduta per 
cinque volte su tutta la stampa mondiale. Finora nessuno ha provato che siano 
state ammazzate tra le tre e le ottomila persone. Non e' stato provato. - 
Pero', chiedo io, se dopo tre anni di spargimento di sangue e' potuta accadere 
una cosa del genere, perche'. Come si e' potuto verificare li' un massacro di 
3-8mila uomini musulmani. Perche' questo? E perche' si leggono di nuovo e di 
nuovo interventi su quel fatto? Dal giugno 1995 la storia del massacro e' stata 
riciclata quattro o cinque o sei volte nella stampa mondiale. Nell'autunno ci 
sono state delle copertine sul Time, sul Nouvel Observateur, sullo Spiegel e 
cosi' via. Di nuovo e di nuovo, in primavera, in autunno... Vengono mostrate 
fotografie aeree di zone dove, si dice, sarebbero situate delle fosse comuni. 
Da una fotografia satellitare ricavano che un bulldozer avrebbe dilaniato i 
cadaveri. Ma anche assumendo, a soli fini argomentativi, che tutto questo sia 
accaduto, perche', chiedo io, dopo tre anni, mentre tutti erano cosi' stanchi 
di ammazzare, sarebbe dovuta o potuta accadere una cosa del genere? Io mi 
chiedo perche' il generale Mladic' avrebbe potuto far saltare in aria tutta 
quella gente. Ecco cosa mi chiedo. Sarebbe bene che uno storico, od un 
giornalista, sollevasse questa questione - perche'? 

Qui ho ascoltato due cose, il "perche'?" e ... 

Quel "perche'" sta nel mio libro. Io chiedo "perche'?". 

Ha una risposta?... 

Alcuni serbi della regione mi hanno detto - ed io non so se questo corrisponde 
a verita', mi limito a riferire quanto mi hanno detto - mi hanno detto che i 
villaggi attorno a Srebrenica furono attaccati dai musulmani. Srebrenica e' una 
cittadina piccola, di modeste dimensioni, abitata da musulmani. I villaggi 
rurali che la circondano sono serbi. Laggiu', da tempo immemorabile, le citta' 
sono musulmane ed i villaggi di campagna sono serbi. All'inizio della guerra, 
contadini serbi furono fatti a pezzi da musulmani. La guerra e' stata una 
guerra delle citta' contro la campagna. Il comandante musulmano di Srebrenica 
era particolarmente portato a distruggere. Prima della caduta dell'enclave 
questo comandante di Srebrenica, uno dei pochi musulmani sospettati di crimini 
di guerra, [Nasir] Oric, fu trasferito a Tuzla dal Comando Generale 
bosniaco-musulmano una settimana prima della caduta della citta'. Nel frattempo 
costui ha aperto una discoteca a Tuzla. Bisogna chiedersi se questo tizio non 
sia uno dei profittatori di guerra. 

Personalmente non ho informazioni dirette di prima mano, ma i miei amici serbi 
mi dicono che il massacro, se ha avuto luogo, e' stato per rivalsa per tutti i 
villaggi serbi attorno a Srebrenica, distrutti [dai musulmani] in tre anni di 
guerra. E' stata una rivalsa per le distruzioni e gli annientamenti, e 
sicuramente per i massacri attuati a danno dei serbi attorno a Sarajevo. Questo 
e' cio' che mi e' stato raccontato. 

E non la preoccupa il fatto ... [incomprensibile] 

Per lo meno quella e' una spiegazione, una spiegazione che non ho mai visto 
dare sulla stampa occidentale. Ho anche sentito che molti soldati musulmani che 
scappavano da Srebrenica non cercavano rifugio ad ovest, nella loro Bosnia 
musulmana, ma nel paese del nemico, al di la' della Drina, all'est... Cercavano 
la loro salvezza nella madrepatria dei serbi. Hanno attraversato la Drina su 
zattere e simili. Hanno attraversato la Drina verso est e tanti di loro li' 
sono stati internati in campi di concentramento, dove certamente non venivano 
trattati bene, eppure sono sopravvissuti. Ora, bisogna che si chiarisca a 
quanti dei soldati musulmani in ritirata e' stata garantita la liberta' di 
transito. Pare chiaro che qualcuno ha attraversato la Drina per andare in 
Serbia e qualcun altro ha cercato di muoversi a nord-est di Srebrenica, per 
raggiungere il cuore della Bosnia musulmana. Io vorrei sapere quanti sono stati 
e che cosa e' realmente successo loro. 

E la disturbano le speculazioni su questa sofferenza? 

Mi preoccupano molto. 

E la preoccupa la manipolazione... 

Inizialmente non la vedevo in questa maniera. Come molti altri ritenevo che 
l'esercito dei serbi di Bosnia fosse un manipolo di meri assassini. Questo 
pensavo. Stazionando sulle alture strategiche attorno a Sarajevo, pensavo, 
questi potevano proprio giocare con la citta' di Sarajevo. Era tremendo. Di 
nuovo e di nuovo un bambino colpito a morte sulla strada. Vedevi le foto, e 
sembrava giustificato il paragone con i peggiori crimini di questo secolo. Nel 
frattempo ho cambiato opinione. 

Hans Koschnick, amministratore della citta' di Mostar, ha detto bene quando ha 
affermato che la creazione di una Bosnia-Erzegovina dominata dai musulmani e 
dalla quale i serbi erano esclusi comportava un terribile vuoto di potere. 
Perche' la Bosnia e' un paese montagnoso, fatto di villaggi isolati che si 
susseguono. Qualcuno come Karadzic, o persino uno come il generale Mladic, non 
potrebbe assolutamente esercitare il potere dappertutto. Percio' abbiamo creato 
a tutti gli effetti un sistema di bande, proprio secondo il vecchio stereotipo 
balcanico, che non e' completamente errato. Ma questa idea del vuoto di potere, 
laddove la forza bruta riempie il vuoto, e' solo una spiegazione. Tutti noi 
cerchiamo spiegazioni - e questa non mi sembra del tutto errata.

Nel suo libro si legge: "Quasi tutti ritengono che la Jugoslavia non risorgera' 
per i prossimi cento anni." Risorgera' o no? 

Credo che non possa essere altrimenti. Risorgera'. E' l'unica cosa sensata. 
Guardiamo l'economia, la geografia - i fiumi, le catene montuose. La storia 
comune dopo il 1918 non e' stata poi cosi' malvagia. C'e' stato il Regno di 
Jugoslavia, c'e' stata la Jugoslavia comunista dei partigiani di Tito. 

Con il 1980 il comunismo finisce. Per me quello e' stato un fatto dal sapore 
quasi religioso. A differenza di molti Stati europei, la Jugoslavia era un 
modello per tutta l'Europa. Essa non puo' restare spezzettata, a dispetto di 
questi poteri occulti, come la Chiesa Cattolica. La Chiesa Cattolica ha un 
potere incredibile - io stesso sono cattolico e tale voglio restare per tutta 
la vita. - Ma nei Balcani la Chiesa Cattolica pratica le conversioni.. Questa 
e' l'essenza della Chiesa Cattolica, il proselitismo: qualcosa che la Chiesa 
serbo-ortodossanon ha mai fatto. A parte le uccisioni a danno dei serbi, 
durante la seconda Guerra mondiale ci sono state ripetutamente conversioni 
forzate, violente di Serbi da parte dei cattolici. In molte epoche della storia 
la Chiesa e' stata accusata di questo. Cosi', finché ci sara' il nazionalismo 
ed una chiesa militante, non si potra' far rinascere la Jugoslavia. 

Quali sono le cose che l'hanno colpita in particolare? 

Ho chiesto qualcosa sulla leggenda del Memorandum dell'Accademia Serba delle 
Scienze del 1986, come racconto nel mio libro. Si dice che nel libro si 
sostiene che ovunque nel mondo abiti un serbo, li' c'e' uno Stato serbo. Questo 
diventa poco a poco un mito del "back stab" [pugnalata alla schiena] [come la 
"teoria della pugnalata" relativa alla sconfitta tedesca nella seconda Guerra 
Mondiale, ndt]. Ma personalmente ritengo che questo Memorandum non sia nulla in 
confronto con le molteplici attivita' dei desperados e degli agit-prop croati, 
e forse anche rispetto a quelli della "diaspora" - in Germania, America, 
Argentina, Italia, qualcuno di meno in Francia, eppure anche li' -, forse anche 
in buona fede. E' un fenomeno molto piu' massiccio e con caratteri di 
militanza. C'e' stato un vero movimento per la Grande Croazia. Il Memorandum 
dell'Accademia Serba delle Scienze del 1986, consistente di pochi paragrafi 
neanche ben articolati, e' stato usato come un coltello affilato contro la 
gente serba. Contemporaneamente io ho smesso di credere alle storielle sulla 
"Grande Serbia". Eppure c'e' molta piu' evidenza dell'esistenza di una 
ideologia della Grande Croazia che di quella della "Grande Serbia". L'ideologia 
della Grande Croazia era e rimane un fatto.

Le persone generalmente hanno percezione del mondo attraverso i media - 
televisione, giornali... 

Anche io. 

E cosi' tutti quelli che non vanno in loco 

Ma anche se uno va in loco, ci va con gli interpreti, per cui io non credo 
necessariamente nell'evidenza che uno trae solo dall'essere stato in un posto. 
Molti giornalisti possono rimediare a questo quando usano gli interpreti, ma e' 
molto raro che ci riescano. La maggior parte dei giornalisti occidentali 
prendono un interprete che parli inglese o tedesco. Dove lo prendono? Cosa gli 
racconta poi quell'interprete? Dove li porta? Prima di tutto, i giornalisti di 
solito non capiscono l'idioma locale. Non sanno leggere l'alfabeto cirillico e 
non hanno la minima idea, per tacere poi di conoscenze reali, su cosa fosse la 
Jugoslavia prima dello scoppio della guerra. Vengono sempre portati dove sono 
le vittime o in base ad accordi, o in base a notizie giornalistiche. Tutti sono 
stati a Sarajevo. Questo ha sempre destato dei sospetti in me, a parte tutto. 

Sente che sarebbe stato strumentalizzato, depistato, ingannato? 

Molti giornalisti, della cui bravura non ho dubbi, sono stati "nuetzliche 
Idioten" ["useful idiots", nelle parole di Lenin] nelle mani dei due regimi che 
si sono dichiarati prime vittime, cioe' quello croato e quello dei musulmani di 
Bosnia. 

Lei personalmente che esperienza ha avuto dei serbi? Sono un popolo 
intollerante, privo di interesse per le altre culture? 

Questa e' una delle bugie peggiori e piu' mostruose. Quasi degna di Goebbels. 
Cio' che si dice sul conto dei serbi e' falso. Io credo che non si tratti solo 
della mia esperienza personale, ma di chiunque abbia avuto a che fare con la 
cultura serba e con la gente serba. Se c'e' un popolo nei Balcani aperto sia 
all'Est che all'Ovest, al Sud o semplicemente che ha una qualche sensibilita' 
nei confronti del resto del mondo, questo e' in Serbia, non certo in Croazia 
ne' in Slovenia. Dov'e' che si possono trovare libri provenienti dal mondo 
intero, oggi come ieri, pubblicati e tradotti? In Serbia. Molto di meno in 
Croazia, ed ancor meno in Slovenia. La Serbia posso raccomandarla 
entusiasticamente a chiunque si interroghi su come puo' essere un paese. Un 
paese di fiumi, che altro puo' essere un paese situato lontano dal mare? 
Naturalmente, la Serbia e' svantaggiata nella visuale dei media se la 
confrontiamo con la Croazia - Dubrovnik, Spalato, Zara... Ma a parte queste 
citta' incantevoli sull'Adriatico, la Croazia e' un paese che si estende 
interamente all'interno, quasi sconosciuto al viaggiatore o al turista... Ma la 
Serbia, direi, e' un paese caldo... Nella sua storia la Serbia e' stata sempre 
tollerante. Nella seconda Guerra Mondiale se c'era un paese che accettava gli 
ebrei, che li proteggeva, che li ospitava nelle sue case, questo non era la 
Croazia, ne' la Slovenia, ma la Serbia. La Serbia fu l'unico paese filosemita 
nei Balcani, insieme alla Grecia - benche' la Grecia, a voler essere precisi, 
non e' Balcani... Quello che e' stato fatto al popolo serbo ed alle sue terre 
negli ultimi cinque anni e' una enorme ingiustizia. E' una ingiustizia da 
urlare fino al cielo il fatto che si sia paragonata la Serbia alla Germania 
nazista. Ma qual era lo slogan durante la guerra civile spagnola? - no 
pasaran!, non passeranno. Ecco, non potranno continuare cosi' per sempre. 

Cosa pensa delle illazioni sugli interventi militari occidentali contro i 
serbi? 

Le trovo oscene. Disgraziatamente, il governo francese e quello britannico, che 
inizialmente mostravano scetticismo sulla propaganda anti-serba, sono 
sprofondati in tutto questo agitar di braccia e questa violenta propaganda 
anti-serba. La Francia e la Gran Bretagna hanno preso parte a questo terribile 
affare della NATO contro Pale, con giustificazioni da santarellini. Percio' non 
mi sarei sorpreso se alla fine, per costringere alla pace, avessero bombardato 
Belgrado per la terza volta in questo secolo. Prima furono i nazisti, poi gli 
inglesi e gli americani, a distruggere Belgrado di nuovo nel gennaio del 1944. 
Ed anche stavolta probabilmente a Belgrado ci sono andati vicino. 

....Kinkel affermo' che gli aggressori serbi dovevano essere messi in 
ginocchio. Questa per lei e' arroganza ed infamia. Cosa si sente di dire? 

Se uno come Klaus Kinkel dice una cosa del genere, beh secondo me si tratta di 
una persona che e' priva di ginocchia, che non sa cosa siano le ginocchia, che 
ha soltanto trampoli o forse una baionetta al posto della gamba. Nessuno 
dovrebbe parlare in quella maniera, eppure stanno succedendo un sacco di cose 
nella politica e nella pubblica opinione tedesca... Io credo che il mio libro 
abbia portato un soffio d'aria fresca. 

Lei e' austriaco, e anche l'Austria ha giocato un ruolo significativo con gli 
interventi del Ministro degli Esteri Alois Mock. Egli e' stato uno dei primi a 
riconoscere Slovenia e Croazia, e quindi a demolire il paese. Ma almeno egli si 
e' mosso dalla sua scrivania. 

Io conosco appena l'ex Ministro degli Esteri austriaco. Ma credo di poter dire 
che egli e' un convinto antifascista, poiche' egli proviene, come una volta mi 
disse, dalla regione del campo di concentramento di Mathausen. Egli ha passato 
li un'infanzia e un'adolescenza scioccante. Non credo che abbia fatto cio' 
cercando qualche rivincita. Il regime austriaco e' piu' meritevole di biasimo. 
Piu' o meno consapevolmente noi rimproveriamo ai serbi, collettivamente, di 
aver fatto crollare l'impero asburgico. Il popolo austriaco, ovviamente non 
tutto, ancora mantiene un grande odio per l'assassino di Sarajevo, Gavrilo 
Princip. Gli austriaci sono convinti che egli fu mandato li' dal governo serbo 
e dallo stato serbo. Essi incolpano i serbi di aver ridotto l'Austria a un 
paese cosi' piccolo. Per me questo e' un evidente atavismo (...). Per quanto mi 
concerne, Alois Mock non e' personalmente responsabile per il riconoscimento di 
Slovenia e Croazia. 

Questo diritto all'autodeterminazione veniva sbandierato da tutti, ma non l'ho 
mai sentito applicato ai serbi. 

Questo e' il massimo dell'assurdo. La nazione serba in Croazia e il 35% dei 
serbi in Bosnia Erzegovina: nessuno ha riconosciuto per loro il diritto 
all'autodeterminazione. Dove sta la giustizia? Ci sono un mucchio di 
chiacchiere ipocrite sul diritto alla'autodeterminazione nazionale. Ma queste 
nazioni, i croati e gli sloveni, credo, se ne era gia' andate via dallo stato 
Jugoslavo. Specialmente nei dieci anni dopo la morte di Tito, esse non si sono 
mai lamentate di maltrattamenti o di essere svantaggiate sotto il governo 
federale di Belgrado. I loro (recenti) reclami per questi motivi, sono delle 
bugie provate storicamente. I croati e gli sloveni, al contrario, hanno 
ricevuto trattamenti privilegiati, economicamente, per quanto riguarda il 
commercio con il Mediterraneo, e per il turismo, e altro. Il loro cattolicesimo 
li ha collegati di piu' all'Europa di quanto non sia stato per gli ortodossi. 

Ha notato che i serbi, per anni, hanno lasciato in pace il ponte, ma che i 
croati lo hanno fatto saltare in aria? 

Certo, a Mostar, e' stata una evidente pazzia. 

Ha qualche spiegazione per questo fatto? se i serbi avessero ridotto il ponte 
di Mostar a pezzi, allora avremmo letto articoli su questo sui giornali, un 
giorno e si e un giorno no? ... Si puo' dire che i serbi hanno piu' rispetto 
per la cultura e i suoi tesori, come Dubrovnik, dei croati? 

Questo puo' avere a che fare con il vuoto di potere. Io non mi considero 
competente e autorizzato a dire che l'esercito croato porta delle 
responsabilita' per la distruzione del ponte, ma apparentemente non c'erano 
vuoti di potere, la'. Ancora: non mi piace speculare. 

La Germania ha un grande interesse per il diritto all'autodeterminazione, 
specialmente di Slovenia e Croazia. Sospetta che ci sia sotto un altro motivo? 

Sospetto? Che cosa potrebbe essere piu' chiaro di cosi! Temo che sia la solita 
lezione amara della storia per cui accade sempre quando la Germania si espande. 
Non c'e' sempre bisogno di un piano dietro a cio'. Io credo che questo avviene 
attraverso il magnetismo economico. I negoziati politici vengono fatti sempre 
attraverso il potere economico. Non credo che avvenga nell'altro modo, cioe' 
che la politica venga prima. 

Quale puo' essere l'interesse della Germania nella dissoluzione della 
Jugoslavia? 

Mi chiede troppo. Non mi piace parlare di politica. Ci sono libri che lei 
conosce, in cui si dice che i servizi segreti tedeschi hanno collaborato con il 
governo croato (jugoslavo) e hanno sistematicamente preparato il collasso della 
Jugoslavia. Anche prima della guerra, negli anni '80, ci sono documenti che 
azzardano tali sospetti. Ma come autore, io devo tenere la bocca chiusa. 

Una volta, lei disse che la Germania aveva interesse ad avere dei piccoli stati 
lacche' attorno ai suoi confini... 

E' vero. Dopo il crollo della Jugoslavia, sono stato spesso in Slovenia, che 
una volta era una delle regioni mie favorite, in parte per via dei miei 
antenati, mia madre e i fratelli di mia madre, che erano sloveni. Ci sono 
andato spesso, e ogni volta ho constatato... che lo stato [indipendente] di 
Slovenia veniva ridisegnato o come una provincia dell'Austria o come una fonte 
di manodopera per la Germania. Anche le persone che si trovavano a capo della 
Repubblica di Slovenia, quando faceva parte della Jugoslavia, avevano piu' 
presenza, piu' potere, piu' carisma come uomini di Stato di quanto ne abbiano 
adesso. La leadership della Slovenia e' diventata un tirapiedi, come degli 
inservienti di teatro, e neanche cosi' capaci, per servire Germania, Austria, e 
in qualche modo, anche l'Italia. E questo e' qualcosa che chiunque va li' puo' 
notare subito. 

Con Tudjman hanno fatto male i calcoli... 

Ora e prima della guerra, ho apprezzato molto alcuni articoli apparsi sul 
supplemento della domenica della "Frankfurter Allgemeine Zeitung" ["FAZ" - 
Gazzetta Generale di Francoforte, il principale quotidiano tedesco; n.d.crj].. 
Essi hanno sempre presentato la Slovenia in un modo che a me piaceva molto; per 
esempio c'era una fotografia di una chiesa barocca in un campo di grano e cosi' 
via. Mi piacevano questi articoli; non c'era irredentismo, ma soltanto un 
soffermarsi sul paesaggio, sulle regioni, sulla vita di villaggio. Non si stava 
scrivendo la storia, la'. Ma appena la guerra e' iniziata, tutto questo ha 
avuto fine. Non lo notai sul momento, ma non sono da biasimare (...) 

.... Il sig. Reissmueller [editorialista della FAZ per le questioni 
internazionali, n.d.crj] e' molto aggressivo... 

Per me quell'uomo e' un criminale di guerra. Qualcuno dovrebbe raccogliere con 
precisione tutto quello che ha scritto, esaminarlo alla lettera. Lo farei molto 
rispettosamente. E' trasparente incitamento alla guerra, come dicevano loro, un 
chiaro caso di odio etnico. Non c'e' niente di piu' da dire. 

Ho sentito delle storie di stupro. Su queste storie sono state fatte pochissime 
ricerche. Ma poi il parlamento tedesco ha tenuto una sessione speciale.. Mi 
chiedo se non sia venuta prima l'iniziativa politica e poi gli articoli e i 
commenti.

No, seppure strano, non penso sia stato cosi'. Non e' venuta prima la politica 
tedesca e poi la stampa. E' stata la stampa tedesca, specialmente la stampa di 
destra, la "Frankfurter Allgemeine Zeitung" e i suoi giornalisti, che hanno 
fortemente influenzato la politica tedesca. E' chiaro! E' un fenomeno strano, 
questo immenso potere che oggi hanno i media e la stampa. Avevo ragione a dire, 
forse con durezza, che per quanto riguarda la Germania, la stampa, e in 
particolare il Frankfurter Allgemeine, costituisce il "Quarto Reich". 
Esattamente come Viktor Klemperer, ebreo, ha di recente studiato il linguaggio 
del Terzo Reich, cosi' oggi noi possiamo caratterizzare, in base al linguaggio, 
il Frankfurter Allgemeine come il linguaggio del Quarto Reich. 

.... e Reissmueller e' il Goebbels del Quarto Reich. 

Quello di Reissmueller e' un misto di visionario piu' Goebbels. Ma Reissmueller 
non ha il gergo sportivo di Goebbels. Egli parlava sempre come un pugile o un 
maratoneta. No e' piu' un misto tra un utopista e un boia. Questa gente 
dovrebbe essere portata davanti a un giudice e incriminata. [Essi richiedono] 
questo e quello; sarebbe meglio fare questo, oppure... Questo e' il modo in uso 
nei Tribunali del popolo nazisti [Volksgericht]. Ricordiamoci di Mr. Roland 
Fleicher [avvocato nazista]. Anche se il confronto puo' sembrare un po' 
forzato, ogni epoca ha i suoi demonizzatori e nuove forme di maliziosita' e 
disprezzo per l'umanita' e sempre nuove tecniche di travestimento. Al momento, 
le cose sono state camuffate per bene. La cosa peggiore e' che gli affari del 
Quarto Reich non si fermano mai. Andra' avanti fino alla fine del tempo. La 
stampa, un certo tipo di stampa, avra' potere fino al Giudizio Universale. E a 
sua disposizione ha apparenze civilizzate. Un racconto di un testimone oculare 
funziona sempre. Notevole. Ho fatto una ricerca sulla grammatica e sulla 
struttura di questi racconti apparentemente obiettivi. Dallo stile grammaticale 
della prima frase, gia' si capisce quale sara' la conclusione. Pochi mesi fa 
sul New Yorker Magazine ho letto una storia ambientata a Tuzla. La guida 
dell'autore vive la' e naturalmente parla inglese. E' andata ad una scuola 
americana. Si trovavano a Tripoli, in Libia.... Questo giovane uomo che parla 
inglese, diventa cosi' l'eroe della storia.. La prima frase dice: "Harun - 
oppure Haris - subi' la pulizia etnica giocando a carte con gli amici a 
Sarajevo." Questa e' la prima frase, e, io penso, prima di tutto, che questa e' 
pessima letteratura. In secondo luogo il taglio della storia diventa 
immediatamente trasparente. Terzo: e' politicamente miope scrivere certe cose. 
E la cosa va avanti cosi' per tutto l'articolo. 

Per me il modo come sono stati trattati i serbi, come popolo intero, e' 
chiaramente il primo grande passo dei media verso il Quarto Reich. 

.... un breve chiarimento: In Austria, attualmente, circola l'idea del Quarto 
Reich come una nuova edizione, se non una continuazione, del Terzo Reich. E' 
questo quello che intende? oppure lei ha in mente in Quarto Reich come un 
quarto potere nello stato? 

E' una metastasi del Terzo Reich. Il Quarto Reich e' proprio altrettanto 
pessimo come lo fu il Terzo. La sola differenza e' che si nasconde sotto una 
superficie umana. Esso scatta per aiutare le vittime. Ma e' altrettanto 
pessimo. E' un altro cancro, che temo non sia curabile. Si diffonde soltanto. 

Il sig. Levy e il sig. Finkielkraut, naturalmente l'hanno attaccata... 

Esatto. Ma loro non sono scrittori. Loro sono "I nuovi filosofi". Non so perché 
siano stati chiamati "nuovi" o "filosofi". C'è stata un'epoca all'inizio della 
guerra in cui loro hanno avuto bisogno di me. Avevano bisogno di qualcuno che 
non fosse un filosofo, ma un autore, un autore riconosciuto che, al contrario 
di loro, avesse una qualche conoscenza della Jugoslavia. Dopo alcuni incontri 
con Finkielkraut e Bernard Henri Levy, mi fu chiaro che loro volessero soltanto 
usarmi. Ma appena presi le difese della Serbia, non mi vollero più vedere. 
Questo è un gruppo veramente poco comunicativo. E appartiene al Quarto Reich. 
Ci sono un sacco di soldi in ballo. E potere. In Francia i libri e i mezzi 
elettronici sono completamente controllati da una catena di gente come questa. 
Non si riesce più a far arrivare nessuna notizia. La stampa francese e la TV 
sono pressoché totalmente sotto il controllo di Bernard Henri Levy, così come 
di Finkielkraut. Alcune persone lo ridicolizzano, ma in virtù di tutti quegli 
indecenti, decorati, pessimi diari che lui [Levy] pubblica sulla guerra in 
Bosnia, nessuno lo attacca più. Non un singolo attacco. Prendono tutto come una 
buona letteratura. Tutto quello che basta fare è prendere un paio di frasi nel 
dizionario Robert's dei luoghi comuni. Il suo lavoro è sbagliato nei suoi punti 
di vista, e pieno di errori di grammatica.. Da non credere. Ma nessuno fa 
niente. C'è in giro un sacco di denaro, e di potere. Tutto questo mi fu chiaro 
dopo che mi incontrai un paio di volte con i "nuovi filosofi". Decisi di non 
firmare nulla. E non sarei più andato ai loro incontri. Hanno usato questo 
fatto contro di me, ma è meglio così. 

Questi signori Finkielkraut e Levy pero' mi interessano. Potrebbero guadagnare 
soldi scrivendo altro, invece il primo elogia la democrazia di Tudjman, l'altro 
dice che l'Europa inizia a Sarajevo. Chi li ha ingaggiati? 

Gli intellettuali (non intendendo niente di negativo) non sono a corto di 
denaro, oggigiorno. Perciò non è il denaro che li spinge. E' il potere, il 
potere più del denaro. Certamente denaro e potere sono strettamente connessi. 
Bernard Henri Levy, credo, non ha una spiegazione per la sua demonologia. E' 
taciturno, ma ingannevole. Taciturno e ingannevole, malizioso. E' una 
meraviglia speculare come il suo diario di Bosnia ci mostri una quadro in cui 
esiste un secondo potere, oltre a quello del governo, di Chirac, etc., un 
potere etico e morale. Questo è quello che lui immagina. Ma questa è la 
difficoltà, poiché moralmente ed eticamente, lui è una papera morta. (Come noi 
diciamo in un proverbio austriaco, "sotto il cane"). 

Una volta vidi una scena girata, penso, dalla TV tedesca, in cui Levy va al 
Centro Culturale Jugoslavo a Parigi, con un gruppo di suoi seguaci. A questo 
punto la donna che dirige il centro desidera chiudere l'edificio. Lei rifiuta 
di passare la chiave agli intrusi. Levy e il suo assistente, prendono la chiave 
alla donna con la forza. Per due o tre minuti questa donna, abbastanza anziana, 
urla, grida: "No, non voglio darvi la chiave, non vi appartiene. Non potete 
entrare qui." 

Levy rimane li, proprio come il commissario comunista dei film di seconda 
categoria con il suo soprabito di pelle nero, e, sorridendo, osserva il suo 
amico mentre rigira e strappa la chiave dalle mani della donna. Questa immagine 
dovrebbe essere trasmessa dai notiziari della sera, per tutti i tre minuti, su 
ogni emittente TV del mondo per far vedere come questo autoproclamato difensore 
di Sarajevo e della Bosnia, si comporta con la gente di tutti i giorni. Mi 
piacerebbe che tutto il mondo lo guardasse. 

E' convinto che tutte queste persone che oggi fanno queste cose, potranno 
correggersi? 

No, sarebbe troppo facile. E' tragica, la storia della Jugoslavia, la storia 
dell'Europa in questo secolo. Come la storia avviene e come la storia viene 
scritta, sono due cose unite insieme. Questa storia va insieme con la storia 
del popolo ebreo. Queste sono le due storie tragiche. E probabilmente non 
saranno corrette. Pensare in questo modo, che un giorno le cose potranno essere 
viste differentemente, penso, sarebbe un falso ottimismo. Questa gente non 
cambia. Con il loro linguaggio e le loro immagini hanno commesso così tanti 
crimini, crimini veri, contro la Jugoslavia. Ci sono crimini che possono solo 
essere perpetuati. Non c'è via di ritorno. 

Quale è stata la sua peggiore esperienza dopo la pubblicazione del libro? Ha 
ricevuto incoraggiamenti da qualcuno al di fuori della sua famiglia? 

Non ho avuto nessuna brutta esperienza. Ci sono stati insulti e manifestazioni 
di odio verso di me nei media, specialmente nei tedeschi, austriaci e svizzeri, 
e anche francesi e spagnoli. Mi hanno colpito, ma come un personaggio di Kafka, 
li accetto, come se appartenessero alla storia. 

....Posso incassare tutto quello che dicono di me, senza che mi colpiscano 
realmente... 

La "Frankfurter Allgemeine Zeitung" (di destra) scrive del mio "respirare 
l'odore di sangue, di terra, di corpi e di guerra" etc. E la "Frankfurter 
Rundschau" (di sinistra) dice che io "passeggio sui corpi", con quello che 
scrivo. Questo mi colpisce. Ma quando vado indietro e passo al setaccio ogni 
frase che ho scritto, trovo, dopo tutto quello che viene detto e fatto, che io 
non ho scritto una sola frase che sottovaluti le vittime. Ognuna delle mie 
frasi, credo, è estetica, morale e giusta. 

In Francia il mio libro uscirà tra due mesi. E sono pressoché certo che la 
critica dirà, come in Germania, che io ho macchiato il mio lavoro precedente 
con quello che ho scritto qui. Il mio unico traduttore in Francia, mi disse: 
"Non osare pubblicare quella cosa, oppure farai kaputt da te stesso, o sarai la 
rovina di te stesso." Ma sono grato alla Gallimard che mi ha pubblicato il 
libro. 

Reissmueller la bolla come profittatore di guerra. 

Non credo di esserlo. Per la prima volta in 24 anni, ho dato una lettura 
pubblica del libro, in Austria e in Germania. E il piccolo guadagno che ho 
fatto l'ho donato per aiutare le vittime. Il viaggio nella Serbia l'ho pagato 
con i miei soldi, di tasca mia - biglietto aereo, albergo, cibo, tutto - Mi 
piacerebbe sapere se i giornalisti fanno la stessa cosa, se esiste un solo 
giornalista in tutto il mondo che abbia viaggiato nelle zone di guerra a 
proprie spese. 

I media sono i più grandi profittatori di guerra. Chi li appoggia? 

Molta, molta gente che io non conosco mi scrive, molti lettori. Essi dicono: 
"almeno prendiamo una boccata di aria fresca. Almeno leggo qualcosa di diverso 
sulla guerra." 

Nessun personaggio pubblico ha avuto la ventura di appoggiarla? 

Nessuno, ma non ne ho bisogno. 

Sarebbe potuto succedere che qualcuno dicesse: "Bene, ci uniremo al movimento. 
Hai ragione." E' impossibile avere questa opinione in Europa Occidentale? 

E' impossibile. E' anche peggio del politically s-correct. E' come un tabù. E' 
come rompere un tabù o commettere un crimine contro la storia. E' qualcosa che 
non deve essere fatto, non ora, almeno. Nel frattempo, prima del mio, sono 
apparsi altri libri, ma parzialmente nascosti alla visione pubblica. Altri 
ancora appariranno. Il giornalista Mira Becher, che probabilmente lei conosce, 
ha pubblicato una storia dei media in tutte le guerre degli ultimi 150 anni, 
cominciando con la guerra di Crimea e terminando con la guerra in Bosnia. 
L'editore e' la DTV. E' un buon segno che questo libra esca con la DTV, poiché 
è un grande editore. Ma rimane da vedere se questo problema verrà discusso sul 
serio. Finora ci sono stati uno o due casi di pensiero alternativo sulla guerra 
in Jugoslavia, ma nessuno ha raggiunto il pubblico. Anche l'articolo di 
Bittermann, che avete pubblicato. Io non credo neanche che abbia attratto un 
gran numero di lettori. Il mio e' stato il primo e potrebbe essere l'ultimo 
libro sulla guerra in Jugoslavia. Potrebbe anche non essere mai letto, ma la 
parola è uscita, rivolta al popolo tedesco, al popolo austriaco - semmai esiste 
un "popolo tedesco".

Cio' che sento per strada è: "Hai ragione". La gente dice: "I serbi non 
dovrebbero essere trattati così". Una cosa, allora, è venuta fuori: i serbi non 
possono essere così. E anche se il libro non venisse letto, sarà utile quando 
la gente in questo paese penserà: "No, non possiamo più accettare questa roba".


(Le note tra parentesi quadre sono del traduttore J. Peter Maher, a meno di 
altra indicazione.  La versione italiana è a cura del Coordinamento Romano per 
la Jugoslavia, 1997: http://www.cnj.it/CULTURA/handke.htm#intervista )




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