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IN DEUTSCHLAND TABU (GFP 10.7.2020.)
Ein im europäischen Ausland populärer, der Bundesregierung gegenüber kritischer 
Film kann in den Programmkinos der Bundesrepublik nicht gezeigt werden. Der 
Film "Adults in the Room" des mehrfachen Oscarpreisträgers Costa-Gavras, der 
die Auseinandersetzungen um die Griechenlandkrise im Jahr 2015 schildert, ist 
in mehreren EU-Staaten im Kino zu sehen und ruft etwa in Italien ein positives 
Echo hervor, ist aber in Deutschland von keinem Filmverleih in das Programm 
aufgenommen worden. Zur Begründung wird intern vorgebracht, die Thematik sei 
nicht aktuell. Tatsächlich drehen sich die gegenwärtigen Auseinandersetzungen 
um die EU-Maßnahmen im Kampf gegen die Eurokrise um einen sehr ähnlichen 
politischen Kern. Zudem hat das deutsche Spardiktat, dessen Durchsetzung der 
Film beschreibt, in Griechenland gravierende Folgen hervorgebracht - unter 
anderem eine hohe Arbeitslosigkeit und krasse Armut, die das Land bis heute 
zeichnen. Berichten zufolge hat ein hochrangiger deutscher EU-Funktionär 
versucht, die Entstehung des Films zu verhindern...
https://www.german-foreign-policy.com/news/detail/8331/


https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-adulti_nella_stanza_delle_torture_il_film_sul_mes_e_troika_che_non_vogliono_farvi_vedere/82_36611/
 
<https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-adulti_nella_stanza_delle_torture_il_film_sul_mes_e_troika_che_non_vogliono_farvi_vedere/82_36611/>

Adulti nella stanza (delle torture). Il film sul Mes e Troika che non vogliono 
farvi vedere

Di Matteo Bortolon - La Fionda
 
Il film di Costa-Gavras propone lo sguardo di Varoufakis sulla crisi europea in 
merito al braccio di ferro fra Grecia e Troika nel 2015. Ma è uno sguardo che 
se illumina bene il blocco di potere vigente, svela i limiti di tale punto di 
vista

Adults in the Room è l’ultimo film del maestro quasi novantenne, Costa-Gavras, 
il più famoso regista greco vivente. Molto impegnato politicamente, ha segnato 
la storia del cinema con capolavori quali Z-L’orgia del potere e L’Amerikano. 
Dopo aver affrontato temi del potere nel senso più novecentesco, l’autore si 
confronta con i labirintici percorsi delle istituzioni europee, e precisamente 
uno dei loro momenti più decisivi e drammatici del decennio: la Grecia del 2015.
 
Com’è noto, a gennaio di tale anno vince le elezioni la sinistra di Syriza, 
portando a capo del governo Alexis Tsipras; tale partito, considerato di 
sinistra radicale, aveva vinto sull’onda della veemente critica della austerità 
portata dalla Troika, la gestione congiunta di Fondo monetario, Commissione UE 
e BCE del debito ellenico. I vincitori avevano promesso di mettere una parola 
fine alla serie infinita e mortificante di licenziamenti pubblici, 
privatizzazioni selvagge, tagli alla spesa sociale ecc. Tutti si aspettavano 
uno scontro con le istituzioni europee e Yanis Varoufakis, brillante 
economista, scelto come titolare del dicastero delle Finanze, era l’uomo che 
avrebbe condotto le trattative. Dimessosi nel giugno 2015 e avendo rotto con 
gli ex compagni, l’ex ministro ha pubblicato un libro nel 2017 in cui racconta 
la sua esperienza, spifferando un bel po’ di passaggi istituzionali da insider. 
Il film segue tale testo nel raccontare la vicenda.
 
Lo spettatore viene catapultato nella concretezza delle negoziazioni sulla 
austerità in seno all’Eurogruppo in modo straordinario. Tale raggruppamento 
informale – di cui la maggioranza ignora l’esistenza – comprende tutti i 
ministri dell’Economia dei paesi dell’Eurozona, e non esistono registrazioni o 
verbali ufficiali, ma si sa solo quanto i suoi membri raccontano alla stampa a 
posteriori. 

Fino ad oggi.
 
Ad un primo sguardo si disegna una polarizzazione un po’ manichea – buoni i 
greci di sinistra, cattivi i tedeschi e le autorità comunitarie – ma in realtà 
lo sguardo è più complesso, entrambi gli schieramenti sono più ondivaghi e 
frammentati: se il cupo Schäuble, il superfalco tedesco tiene uno dei discorsi 
più franchi e chiari, all’interno dello schieramento del governo di Syriza non 
manca chi sotto sotto tifa austerità e lo stesso primo ministro è molto 
ambiguo. Il ritmo è incalzante e procede con la spedita precipitazione di un 
thriller.
 
Probabilmente è la prima volta che vengono mostrate così apertamente le 
dinamiche delle alte sfere europee: il disprezzo per il pensiero dissenziente, 
la avvilente incompetenza in materia economica, la disgustosa e abbietta 
arroganza dei suoi rappresentati, la abominevole spregiudicatezza dei vertici 
nel cambiare le carte in tavola pur di spingere sugli interessi dominanti, la 
viscida doppiezza dei francesi, l’algida indifferenza dei britannici (che 
dicono chiaramente che non interferiranno negli affari dell’eurozona, seppur 
alla fine il conservatore Osborne sia una delle figure meno detestabili del 
quadro), il modo padronale e autoritario in cui i tedeschi dominano 
completamente la situazione con tutti gli altri che scodinzolano ubbidienti. 
Non si salva davvero nessuno: il mellifluo e viscido Macron (“vai a Berlino!”); 
l’olandese Dijsselbloem – allora presidente dell’Eurogruppo, ex ministro del 
governo Rutte, e oggi consulente per il MES (ma guarda un po’!) – un 
concentrato di servilismo e ipocrisia; Christine Lagarde, allora a capo del 
FMI, falsamente benevola; Draghi, gelido burocrate che fa balenare sotto i 
tecnicismi velate minacce. Su ogni cosa incombe la cancelliera Merkel, presenza 
sempre solo evocata (se non nella sequenza finale, un po’ felliniana), che 
nelle telefonate con Tsipras si mostra intrigante e falsa (“ci chiuderanno le 
banche!” “Ho parlato con la Merkel, mi ha garantito che non accadrà!” 
Invece…).. Più che un amabile consesso una gabbia di leoni.

Ma soprattutto aleggia lo spirito del tempo, la tecnocrazia: nemmeno un’ombra 
di rispetto per la democrazia. Se lo stesso Varoufakis mostra un certo grado di 
realismo piuttosto cinico (“una cosa sono le promesse elettorali, altro è la 
realtà”), nessuno pensa che la volontà popolare debba essere minimamente 
considerata: si deve firmare il MoU (l’accordo che applica la austerità), 
riconsiderarlo non è pensabile, e un debito è un debito. Nessun tipo di 
negoziazione è pensabile, nemmeno per salvare posti di lavoro, vite, o dare un 
po’ di respiro all’economia per una restituzione del debito in termini 
plausibili.
 
A più riprese nelle negoziazioni si pronunciano le parole fatidiche: dovete 
firmare il MoU (cioè capitolare tradendo le promesse elettorali) o vi chiudiamo 
le banche (qui il ruolo giocato da Mario Draghi e dalla BCE). Scene che 
sembrano prese di peso da Il Padrino di Coppola, vere e proprie minacce di 
ritorsione.
 
In una scena Varoufakis spiega il senso del circolo vizioso dell’austerità: un 
debito impagabile determina tasse alte, minori salari, pensioni, investimenti, 
e quindi minor prelievo fiscale e… più debito. Una lezione non troppe difficile 
da capire.
 
Che però è sempre troppo per la logica da ragionieri di quart’ordine dei 
rappresentati della Troika, che chiedono (altra scena inquietante) un 
abbassamento dei salari del 30%; a fronte della stralunata reazione di 
Varoufakis che fa notare che sono già stati abbassati del 40%, loro rispondono 
che per onorare il debito occorre abbassarli di un altro 40%. L’osservazione 
che queste brillanti politiche hanno fatto aumentare il debito del 6% e 
diminuire il reddito nazionale del 26% non li scalfisce: “non siamo qui per 
discutere le sue lamentale, se continua chiuderemo la riunione”.

Chiudono e aprono il film le immagini delle manifestazioni di massa che 
sanciscono la vittoria di Syriza (all’inizio) e la vittoria del “no” al 
referendum indetto da Tsipras. Una festa di popolo, calda ed entusiasta, che 
incornicia la miserabile vicenda delle negoziazioni in seno all’Eurogruppo; 
immagini strazianti per chi ha anche indirettamente percepito la voglia di 
democrazia e di giustizia. Manifestazioni di piazza, scioperi, e alla fine il 
voto alla sinistra radicale: si può dire che i greci le hanno provate tutte per 
invertire la austerità che la Troika ha inflitto al Paese.

 
In seguito al referendum in cui la popolazione ha votato “no” (il famoso Oxi) 
il governo di Tsipras ha accettato MuO e austerità.. Questi eventi vengono 
narrati di passaggio al termine del film da una voce fuori campo, senza 
spiegazioni né approfondimenti; ciò costituisce una chiave per disvelare la 
narrativa che si basa sulla posizione di Varoufakis, cui la pellicola dà veste 
visiva (in modo plastico e accattivante, e talora visionario) ma che richiede 
di andare oltre tale superficie per essere colta appieno.
 
L’allora ministro in una delle prime scene così spiega la sua strategia ad un 
collega economista statunitense: “arrivare ad un compromesso senza 
compromettersi”. Ma diversi personaggi lo avvertono sul fatto che nessun 
compromesso è possibile, o firmano il MoU o cercheranno di distruggerli – lo 
dice anche Schäuble con grande chiarezza. Quindi ha senso insistere in tale 
strategia? Nei dibattiti Varoufakis contesta le conseguenze delle politiche di 
austerità, non la loro legittimità formale o sostanziale. Va tenuto conto che 
già nell’europarlamento a febbraio 2014 era stata sollevata la questione 
dell’llegittimità della Troika, e che organismi come il Consiglio d’Europa 
avevano chiaramente criticato la lesione di diritti umani dalle politiche poste 
in essere – e non solo verso i greci. L’economista greco a fronte di ciò chiede 
che nelle conclusioni ufficiali dell’Eurogruppo venga detto che è in corso una 
“crisi umanitaria”. Cioè chiedeva agli stessi fautori di tali politiche di 
denunciarle come criminali. Aveva senso una simile richiesta? Questa vocazione 
al compromesso ad ogni costo, rinunciando ad azioni unilaterali come la 
sospensione del pagamento degli interessi è stata duramente stigmatizzata da 
Eric Toussaint, coordinatore della Commissione per l’audit del debito greco 
(realtà di cui Varoufakis non rammenta) come un orientamento inadeguato e 
perdente.
 
Altro elemento che rimane inspiegato è la volontà dogmatica di restare 
nell’euro. A più riprese viene ingiunto ai rappresentanti greci di fare una 
scelta: firmate il MoU o uscite dall’euro. Tale eventualità viene 
categoricamente esclusa. Anche quanto Syriza trova dei miliardi dimenticati 
dalla BCE che potrebbero essere usati per non farsi chiudere le banche, Tsipras 
vuole usarli, ma il suo ministro lo avverte: “lo possiamo fare se usciamo 
dall’euro”. E quindi nulla di fatto. Ma perché? Perché le conseguenze sarebbero 
devastanti? Perché l’Europa (meglio: la Ue) è bella? Mistero. La cosa è data 
per scontata. Varoufakis prepara un gruppo anche per affrontare la situazione 
se il paese venisse buttato fuori dall’eurozona. Ma solo come estrema ratio, se 
sono gli altri a costringerli a uscire. Questa necessità di rimanere a tutti i 
costi conferisce al film una sfumatura di tragicità: stante la volontà ferrea 
degli eurocrati di mantenere le condizioni di austerità e il predominio della 
Troika (salvo letture semplicistiche che dissolvono il nodo di ineluttabilità 
nelle volontà soggettive: colpa del “cattivo” Schäuble o dell’ “ambiguo” 
Tsipras) e l’impossibilità di sciogliersi dal mortale abbraccio europeo 
(ricordiamo, anche se il film non lo fa, che proprio essere membri 
dell’Eurozona permette a Draghi di ricattare il governo lesinandogli la 
liquidità per le banche), il destino del paese è segnato e, a mano a mano che 
cadono le speranze di ammorbidire l’inflessibilità eurocratica, il guadagnare 
tempo e procrastinare non ferma il destino.
 
Come lettura politica però non è accettabile e delle due l’una: o la “natura 
delle cose” in ambito economico è tale da invalidare ogni possibilità di 
alternativa rispetto alla austerità, ed in tal caso sarebbe meglio – e più 
onesto – dichiarare apertamente che si tratta solo di gestire l’equilibrio dei 
rapporti di potere vigenti, dando ragione (horribile dictu!) a Renzi e ai suoi 
simili, che non blaterare di istanze fantastiche come l’Europa sociale o altre 
inezie, illudendo i militanti e i lavoratori. O è la prospettiva politica che 
va cambiata perché all’interno di quella esistente non è possibile far 
compromessi, ma solo – appunto – compromettersi. Forse va richiamata la oramai 
profetica frase di Emiliano Brancaccio risalente a fine 2014: “se Syriza, un 
partito della sinistra europea, si trova con responsabilità di governo e non ha 
un piano B, è la fine storica della sinistra”.


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