Rattus Norvegicus ha scritto:

> 
> Leggendo su Repubblica di qualche giorno fa un articolo inviato da
> Condoleezza Rice, consigliere per la sicurezza nazionale
> dell'amministrazione Bush, mi e' tornata alla mente una riflessione inviata
> qualche tempo fa su Rekombinant riguardo le analisi di Nick Bostrom circa
> l'alto rischio di catastrofe planetaria.

> La Rice scrive dunque su Repubblica: "tutti comprendono l'orribile costo
> del terrorismo e il pericolo, in teoria prossimo alla catastrofe assoluta,
> derivante dalle armi di distruzione di massa".
> 
> C'e' un filo che tiene insieme il famoso articolo di Bill Joy sul pericolo
> legato alla diffusione di massa delle nanotecnologie, le teorie sul rischio
> della fine della specie elaborata da Bostrom e le recenti affermazioni
> della Rice. Al punto di poter pensare seriamente che la Rice abbia attinto
> ampiamente dai lavori di Bostrom.

> Quindi accanto a una questione di tutela, di protezione, che torna ad
> alimentare il nazionalismo e una cultura da "cinture sanitarie", nella
> guerra preventiva c'e' un forte elemento ideologico legato alle forme in
> cui il potere si e' rappresentato a se' stesso e si e' autolegittimato
> nella seconda meta' del novecento.

> Ma c'e' poco da illudersi: i potenti tendono a premiare quelli che gli
> dicono le cose che vorrebbero sentirsi dire.

Molto d'accordo con quanto scritto da Rattus, del resto vicino all'idea di
Bifo di "irreversibilità" (certe azioni portano a conseguenze che si
moltiplicano in maniera tale per cui non è più possibile tornare indietro e
porvi rimedio). 
Bene, anzi peggio. Il problema però è che questi che comandano e teorizzano
la guerra preventiva sembrano credere senza problemi alla "razionalità"
delle loro scelte. 

Lor signori mica si considerano dei fanatici; questi loschi figuri pensano
di voler fare il "reshaping the world": rivoltare il mondo, per ora il medio
oriente, come un guanto.
E lo pensavano, a onor del vero, già alcuni anche all'interno della
presidenza Clinton; e questo testimonia a favore di un'ipotesi: una svolta
idealista della politica statunitense, in cui (apparente paradosso e
inquietante ossimoro) l'idealismo coincide, per loro, con la teoria del
realismo nelle relazioni internazionali.
In un mondo di caos ciò che conta è il rapporto di potere, ed i vantaggi che
una data potenza può trarre da una certa situazione. Con il dovere di
aggiustare al meglio, a proprio vantaggio, la situazione stessa. Al minimo
la forza, il suo uso, diventano "fattore propulsivo" di un ordine
internazionale più sicuro per gli Stati Uniti e per i loro amici.
 
Come porre allora la questione? La Rice, Rumsfeld, Wolfowitz ecc. sono
convinti di voler e dover porre fine al rischio, al caos, alla "catastrofe
assoluta", attraverso la loro spaventosa onnipotente minaccia e forza.
Consapevoli del predominio, si chiedono quale sia il "miglior uso" che ne
possono fare. Ed è anche quello che ricorda Bifo: al tentativo di dominare
il caos seguirà l'impero del caos (titolo fra l'altro di un bel libro di
Alain Joxe).
E allora l'unica risposta sembra essere quella (sempre espressa da Joxe e da
altri) di progettare una "repubblica" che si sappia contrapporre all'impero
del peggio. 

Ma sotto quale forma? Un insieme, una rete delle città e dei saperi in grado
di lottare (I Comuni contro l'Impero?), di aprire delle crepe, al di là e
contro ritorni nazionali o inter-nazionali (tipo "Europa vs USA").
Sarebbe più bello vedere le municipalità, che ne so, di San Francisco, San
Diego e El Paso in gemellaggio con Amburgo o Napoli?
Bello, ma oggi il problema resta quello della forza. Anche se detestiamo la
guerra e il discorso di guerra.
E allora come fare delle crepe nella pareti della fortezza imperiale?
L'unico modo attuale (oltre al lavoro quotidiano in grado di creare, di
mettere in movimento queste reti municipali) è indurre le crepe nei muri
della rappresentazione. Far circolare foschi presagi e tristi profezie che
gli stessi signori della guerra avevano contemplato nelle loro dottrine e
teorie. Un esempio che sta cominciando a circolare in questi giorni: l'idea,
l'incubo del "pantano", l'invischiamento.
Ma oggi l'invischiamento, il pantano è anche e soprattutto fatto di immagini
e informazioni. Bisognerebbe insistere e segnalare, come molti stanno del
resto facendo, gli sfasamenti, le crepe, appunto, nell'informazione e nelle
immagini. E tutto quello che arriva e arriverà spesso via email ai soldati
al fronte. L'incubo di una nuova guerra di trincea: con quante possibilità
che si diffonda il grido dell'ammutinamento, dello sciopero militare, "del
tutti a casa", di questi neoproletari globali in divisa?

ciao
federico

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