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Cresce la tensione nei Balcani con sullo sfondo le dispute interimperialiste


Redazione de La Riscossa (organo del Partito Comunista), 8.3.2017


Sempre più tesa la situazione nei Balcani dove si acuisce pericolosamente la 
competizione tra gli USA-NATO-UE e la Russia con particolare riferimento al 
conflitto per il controllo delle fonti di energia e le vie di trasporto, la 
promozione degli interessi geostrategici, a beneficio dei gruppi monopolistici 
su ogni lato. Questo ha il suo riflesso sulle mai sopite tensioni 
etniche-nazionaliste della regione. La NATO prosegue il suo “accerchiamento” 
della Russia muovendosi di recente anche sul Mar Nero, gli USA e l’UE 
incrementano le loro ingerenze in relazione con i piani della Russia che, dopo 
il riavvicinamento contradditorio con la Turchia, si muovono nella direzione 
del transito del gasdotto russo “Turkish Stream” dalla Macedonia e la Grecia, 
così come i piani della Cina che sono volti a promuovere una rapida via di 
comunicazione delle merci verso i mercati europei, anche attraverso un sistema 
ferroviario ultraveloce Salonicco-Budapest.


Su queste basi, la tensione nella regione aumenta costantemente, e non a caso 
il capo della politica estera e della sicurezza comune dell’UE, Federica 
Mogherini, ha appena concluso un tour di 4 giorni nei Balcani, dove rilevante è 
stato l’atteggiamento ostile del Parlamento serbo.


Nel frattempo, i politici americani intervengono ponendo la questione del 
ridisegno dei confini nei Balcani, come nel caso recente del senatore 
repubblicano Dana Rohrabacher che ha proposto uno scambio di territori tra la 
Serbia e il Kosovo, affermando ad inizio febbraio che «la Macedonia non è 
Stato», che dovrebbe esser quindi sciolta in modo che le regioni con 
popolazione di etnia albanese si uniscano al Kosovo e ciò che resta diventare 
parte della Bulgaria, della Grecia e altri paesi della regione.


Macedonia – Albania


Nella Repubblica di Macedonia si intensifica lo scontro politico a seguito 
della decisione del presidente del paese, Gjorge Ivanov, di non dare il mandato 
di formare un governo al leader dell’opposizione del Partito dell’Unione 
Socialdemocratica (SDSM), Zoran Zaev, nonostante egli sia riuscito ad ottenere, 
tramite un accordo di cooperazione con tutti i partiti parlamentari albanesi, i 
voti di 67 deputati su un totale di 120. Ivanov e l’ex primo ministro Nikola 
Gruevski, del Partito Democratico di centro-destra (VMRO-DPMNE) rifiutano 
l’entrata nel governo dei partiti albanesi.


Ivanov ha giustificato la scelta citando la Costituzione che vieta di 
compromettere la sovranità del paese, visto che se si formasse un governo di 
coalizione con i partiti di etnia albanese si consegnerebbe il potere a forze 
che stanno “sotto controllo straniero”, con riferimento all’Albania. La 
cosiddetta “Piattaforma Albanese”, posta dai partiti parlamentari 
macedoni-albanesi a sostegno del nuovo governo prevede: a) di stabilire 
costituzionalmente l’albanese come seconda lingua ufficiale in tutto il paese, 
b) cambio della bandiera e dei simboli nazionali per rappresentare la minoranza 
albanese, c) la promozione della procedura di adesione all’UE e alla NATO e la 
risoluzione della disputa con la Grecia sul nome costituzionale del paese con 
la partecipazione attiva dell’etnia albanese in essa. Edi Rama, Primo Ministro 
albanese, ha commentato che «non ci può essere Macedonia senza albanesi» e che 
l’albanese «non è la lingua del nemico, ma la lingua di una componente etnica 
in Macedonia». Hashim Thaçi, presidente dei Kosovari albanesi, ha definito 
“preoccupante” la decisione di Ivanov. Il primo ministro della Macedonia, 
Ntimitrief ha reagito accusando il suo omologo albanese di «un nuovo 
coinvolgimento negli affari interni della Macedonia», definendolo «dannoso per 
i rapporti di vicinato».


Gli sviluppi in questa repubblica balcanica meridionale, mostrano come, al 
momento, sia tra le situazioni più pericolose a seguito dello smantellamento 
della Jugoslavia, anche se non si possono sottovalutare i rischi negli altri 
paesi della regione. Significativa è la reazione del ministero degli Esteri 
russo che ha accusato i membri dell’UE e della NATO di star cercando di imporre 
«in Macedonia la piattaforma albanese progettata nell’ufficio del primo 
ministro albanese a Tirana», basata sulla mappa della “Grande Albania”, 
«esprimendo le aspirazioni territoriali a spese del vicino Montenegro, Serbia, 
Macedonia e Grecia». Stoltenberg ha invece sottolineato come la NATO «resta 
impegnata nel processo di adesione» della Macedonia, mentre il Commissario UE 
per le relazioni di vicinato, Johannes Hahn ha sollecitato «il Presidente della 
FYROM a rispettare l’esito delle elezioni» ribadendo la stessa posizione 
affermata in precedenza dall’ambasciatore USA, Bailey.


Montenegro


La situazione del paese rimane tesa dopo che il governo filo-occidentale di 
Milo Djukanovic ha “rivelato” di un tentato colpo di stato alla vigilia delle 
elezioni del 16 ottobre, accusando «gli elementi nazionalisti serbi e russi» 
che avrebbero tentato di occupare il Parlamento, assassinare il primo ministro 
e installare un governo ostile alla NATO. Nel mese di febbraio si sono aperte 
le procedure definitive per l’integrazione del Montenegro nella NATO che 
dovrebbe esser ufficializzato nel prossimo vertice di maggio della NATO a 
Bruxelles che «manderà un chiaro segnale di stabilità e di sicurezza in tutta 
la regione» costituendo «la base per la prosperità e rafforzerà la sovranità» 
del Paese dieci anni dopo l’indipendenza, secondo quanto ipocritamente 
commentato dal Segr. generale della NATO. Il governo montenegrino è 
intenzionato fortemente a proseguire nell’ingresso nell’alleanza militare 
imperialista euro-atlantica nonostante le forti obiezioni della Russia che da 
tempo ha messo in guardia sulle «negative gravi conseguenze» e le opinioni 
della maggior parte della popolazione che, secondo recenti sondaggi, non è 
d’accordo con i piani della borghesia di aderire alla NATO.


Bosnia –Erzegovina e Republika Srpska


La Bosnia-Erzegovina continua ad essere essenzialmente ancora sotto occupazione 
della UE e della NATO che perpetuano la sofferenza dei popoli della regione 
alimentando le tensioni in un paese composto da tre popoli (musulmani, serbi e 
croati) diviso in due entità amministrative: la Republika Srpska (RS – che 
comprende il 49% del territorio a maggioranza serba) e la Federazione 
croato-musulmana (BH – il 51% del paese dove vivono bosniaci musulmani e 
croati) sulla base degli accordi di Dayton (1995).


Il presidente dei serbi bosniaci, Milorad Dodik, ha stretti rapporti con la 
Russia e sta spingendo per l’indipendenza dell’Entità Serba criticando 
l’attuale assetto istituzionale troppo “centralistico” a vantaggio della 
componente croato-musulmana. Durante la visita della Mogherini, Dodik ha 
voltato le spalle scegliendo di andare a Mosca per incontrare, tra gli altri, 
il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov. Mosca ha colto così l’occasione 
per cercare di promuovere i propri piani geopolitici ed ha espresso 
«preoccupazione per gli sforzi dell’Occidente di rivedere il compromesso del 
trattato di Dayton». La Serbia, tramite le parole a fine dicembre del 
presidente della repubblica, Nikolic, sostiene che la Republika Srpska sia in 
grave pericolo. La Croazia con il sostegno degli USA e della NATO starebbe 
lavorando a costruire un pretesto per abolire l’Entità Serba in Bosnia, 
scatenando così la reazione della Serbia. Questo spiegherebbe la corsa agli 
armamenti da parte di Zagabria con la fornitura da parte degli Stati Uniti 
d’America di missili a lunga gittata. A segnalare quanto la tensione sia alta, 
durante il voto referendario dello scorso settembre nel quale i serbi bosniaci 
votarono a favore del mantenimento della loro festa nazionale identitaria, l’ex 
leader militare bosniaco Sefer Halilovic ha affermato che «se necessario con 
una nostra reazione militare vinceremmo contro Dodik in 10-15 giorni», con 
Dodik che ha subito risposto: «siamo pronti a difenderci e capaci di farlo». Di 
recente il Partito Democratico Serbo (Pds) è uscito dalla maggioranza centrale 
bosniaca affermando che «lavorerà nel prossimo periodo soltanto per la tutela 
degli interessi della Repubblica Srpska, l’entità serba della Bosnia».


Serbia – Kosovo


La Serbia entra nella fase elettorale prima delle elezioni presidenziali di 
aprile, in un periodo di escalation di tensione con la leadership degli 
albanesi kosovari. Il dialogo tra Belgrado e Pristina avviene tramite la 
mediazione dell’UE per la “normalizzazione” del loro rapporto dopo l’intervento 
degli USA-NATO-UE nel 1999. L’ultimo focolaio nei rapporti Belgrado-Pristina si 
è acceso lo scorso dicembre, quando le forze speciali della polizia albanese 
kosovara hanno impedito il passaggio di un treno sulla linea ferroviaria da 
poco ristabilita tra Belgrado e Mitrovica, in quanto sui vagoni vi era 
riportato lo slogan in 21 lingue “Kosovo è Serbia”. Il Presidente serbo 
nazionalista Tomislav Nikolic ha minacciato di inviare truppe al nord del 
Kosovo per proteggere la comunità serba. Il Primo Ministro serbo A. Vucic, che 
ha un approccio più cauto con l’Occidente, cerca di placare Nikolic 
nell’obiettivo di portare avanti il progetto di una parte della borghesia serba 
che spinge per accelerare il processo di adesione all’UE che viene utilizzato 
da potenti potenze europee, come la Germania, come leva per promuovere i propri 
interessi.


A sua volta il protettorato della NATO del Kosovo è alla ricerca di un 
ulteriore riconoscimento dalla maggior parte dei paesi. Funzionari degli Stati 
Uniti stanno lavorando a questo obiettivo di riconoscimento come nel caso del 
nuovo ambasciatore degli USA alle Nazioni Unite, Haley, per unire il 
protettorato all’Agenzia in palese violazione del diritto internazionale. Il 
presidente Thaçi ha annunciato, inoltre, l’intenzione di trasformare le Forze 
di Sicurezza del Kosovo (KSF) in esercito regolare allo scopo di proteggere la 
sovranita e l’integrita territoriale. Nonostante il Kosovo sia in base della 
Risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite parte 
integrante della Serbia, Thaçi considera “legale” tale iniziativa «necessaria 
per avviare ufficialmente il processo di adesione delle KSF alla NATO». Non si 
è fatta attendere la risposta della Serbia che ha affermato che «non accetterà 
mai la costituzione di un esercito del Kosovo». Il Kosovo di fatto è gia una 
base NATO nel centro dei Balcani come risultato della guerra del 1999 con 
l’occupazione del Kosovo e Metohija, regione di importanza strategica. Una 
delle più grandi basi americane nella regione è situata proprio in Uroševca, 
Kosovo. Intanto, il prossimo 24 marzo (giorno del 18° anniversario dell’inizio 
dell’aggressione imperialista degli Stati Uniti, la NATO, l’UE col pretesto dei 
diritti dell’etnia albanese in Kosovo) la Russia consegnerà all’Air Force serba 
6 caccia Mig-29 a prezzo simbolico, nel quadro di un processo di riarmamento 
serbo.


«La situazione attuale può solo surriscaldare il nazionalismo serbo e quello 
albanese a discapito dei serbi in Kosovo» – spiega in una intervista 
all’International Communist Press, 
<http://www.resistenze.org/sito/te/po/se/posehb13-018866.htm> il segretario 
generale del Nuovo Partito Comunista di Jugoslavia (membro della Iniziativa 
Comunista Europea), Aleksandar Banjanac – «L’occupazione imperialista deve 
volgere al termine. Sostenere la pace e la realizzazione della solidarietà tra 
i popoli albanesi e serbi non è utile alla NATO. Entrambe le parti sono vittime 
della NATO. I popoli dei Balcani saranno in grado di determinare il proprio 
futuro solo se i Balcani gli apparterranno».


Nazionalismo e divisione etnica: cuneo del capitale contro i lavoratori a 
vantaggio degli imperialisti


In questi giorni siamo inondati nei media dai messaggi filo-europei per il 
sessantennale dei Trattati che diedero vita all’UE che avrebbe “garantito 
libertà e pace ai popoli europei” manipolando la realtà e cercando di 
cancellare dalla memoria dei popoli il macello, lo spargimento di sangue e le 
conseguenze della guerra condotta nei Balcani.  Poco più di vent’anni dopo 
delle bombe della NATO che hanno disgregato la Jugoslavia occupandola e 
dividendola in più parti sottraendo le sue risorse con l’espansionismo di 
potenze europee, gli sviluppi generali nei Balcani sono ragionevolmente causa 
di preoccupazione raggiungendo oggi il picco della tensione nel quadro generale 
di acutizzazione delle dispute inter-imperialistiche. E’ necessaria la massima 
vigilanza e solidarietà internazionale, denunciando ogni coinvolgimento 
dell’imperialismo italiano, dell’Ue e della NATO che già tanti disastri hanno 
prodotto nel recente passato nella regione.


I motivi reali di questa escalation nella regione vanno ricercate nei piani 
geopolitici ed energetici dei centri imperialistici rivali dimostrando se ce ne 
fosse ancora bisogno che le ragioni dell’intervento degli anni ’90 degli 
USA-NATO-UE non avevano nulla a che vedere con la “pace” ma è avvenuto per la 
stessa ragione per cui oggi raggiunge il picco lo scontro, vale a dire il 
controllo delle risorse in competizione con la Russia, portando ulteriori 
frizioni tra i popoli.


«Il nazionalismo è stata l’ideologia che ha legittimato le classi dirigenti e 
gli obiettivi imperialisti» afferma il NPCJ, «questa idea ha diviso la classe 
operaia su base etnica, portandola a un crollo sociale e materiale». La 
divisione etnica-nazionale beneficia solo corrotti politici filo-capitalisti, 
“uomini d’affari” e magnati, uomini di guerra, rappresentando da anni un cuneo 
contro i lavoratori per dividerli a vantaggio del capitale e delle 
multinazionali che in questi anni hanno imposto il loro dominio con la 
borghesia locale di recente formazione che si è formata dai ranghi di coloro 
che hanno venduto la proprietà del popolo, saccheggiato l’economia, tradito gli 
interessi del popolo spingendolo ad una guerra fratricida per interessi altrui.


L’unico “freno” ai disegni delle classi borghesi, che non esitano a portare i 
popoli sull’orlo di un nuovo spargimento di sangue per rispartire e ridisegnare 
la regione sulla base degli interessi delle diverse potenze imperialiste, può 
provenire solamente dalla lotta antimperialista delle classi lavoratrici sulla 
base dei propri interessi comuni per il rovesciamento finale del potere del 
capitale, mettendo fine all’occupazione della NATO, ai rispettivi nazionalismi, 
le ingerenze straniere e le varie argomentazioni borghesi al servizio del 
capitalismo imperialista che cercano di separare e dividere i lavoratori per 
indebolirne e disarmarne la lotta e la solidarietà tra i popoli.




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