BHL prepara la "rivoluzione colorata" anche in Italia?

1) Bernard-Henri Lévy [BHL] in "tournée'" in Italia "contro il populismo" (F. 
Santoianni, 22/01/2019)
2) “In Europa, il popolo non deve essere l’unico sovrano!”, parola di 
Bernard-Henri Lévy (D. Barontini, 29/1/2019)
3) Un'élite liberale europea ci attira ancora verso l'abisso (J. Cook / 
Globalresearch.ca, 1/2/2019)


N.B. Sulle prodi gesta di BHL, teorico della superiorità morale 
dell'imperialismo occidentale, si vedano i numerosi post degli scorsi anni in 
JUGOINFO: dalla amicizia con il mercante di armi Jean-Luc Lagardére
http://www.cnj.it/home/it/informazione/jugoinfo/1417-1427-intellettuali-di-servizio-bernard-henri-levy.html
fino alla torta presa in faccia a Belgrado due anni fa
http://www.cnj.it/home/it/informazione/jugoinfo/8663-8706-visnjica-broj-968-bis.html
http://www.cnj.it/POLITICA/nkpj_skoj.htm#bhl2017 
<http://www.cnj.it/POLITICA/nkpj_skoj...htm#bhl2017>


=== 1 ===

https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-bernardhenri_lvy_lalfiere_dellimperialismo_francese_in_tourne_in_italia_contro_il_populismo/6119_26816/
 
<https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-bernardhenri_lvy_lalfiere_dellimperialismo_francese_in_tourne_in_italia_contro_il_populismo/6119_26816/>

Bernard-Henri Lévy, l'alfiere dell’imperialismo francese in "tournée'" in 
Italia "contro il populismo"

Nella verosimile speranza che qualche imbecille gli “rinfacci” il suo “essere 
ebreo” - per potere così attestare l’”antisemitismo” che permeerebbe il 
“populismo” e ravvivare così la sua imminente tournée italiana - scalda i 
motori con ben tre articoli (vedi qui 
<https://www.lastampa.it/2019/01/21/cultura/bernardhenri-lvy-leuropa-sta-morendo-il-populismo-sta-vincendo-far-di-tutto-per-evitarlo-S5zT7LNeVeXU4RSNcPxu6J/pagina.html>,
 qui 
<https://www.lastampa.it/2019/01/21/cultura/bernardhenri-lvy-a-milano-lantisemitismo-in-europa-dilagante-al-circo-della-le-pen-e-salvini-dobbiamo-resistere-MSJFS3ACCVVNNJPuoKNHUI/pagina.html>
 e qui 
<https://www.lastampa...it/2019/01/21/esteri/bernardhenri-lvy-ecco-perch-vado-a-milano-a-raccontare-il-populismo-OVkoXgT8FPKYgy85p7ErJL/premium.html>)
 e un video 
<https://www.lastampa.it/2019/01/21/cultura/bernardhenri-lvy-a-milano-lantisemitismo-in-europa-dilagante-al-circo-della-le-pen-e-salvini-dobbiamo-resistere-MSJFS3ACCVVNNJPuoKNHUI/pagina.html?fbclid=IwAR2mC8hB2zkVzm4nm3mzwUQA8Iv9xe64QARs3H7KYcRK9R5tW2vuslGbCBM>
 pubblicati in tre giorni su La Stampa. Stiamo parlando di Bernard-Henri Lévy, 
salito agli onori delle cronache in Italia  quando, nell’ormai lontano 1977, 
spacciandosi per “rivoluzionario 
<https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2015/11/11/glucksmann-lindignazione-al-potere48.html>”,
 insieme ad altri tre “filosofi 
<https://it.wikipedia.org/wiki/Nouvelle_philosophie>”, riuscì a dirottare sulle 
secche dell’antioperaio “Movimento degli indiani metropolitani 
<https://operavivamagazine.org/intorno-al-77/>” quello che restava del “68. 
Forse il primo tentativo di creare uno pseudo movimento “rivoluzionario” che, 
dopo il crollo del Muro di Berlino, sarà poi perfezionato e applicato, dai 
Think tank del Dipartimento di Stato 
<https://zecchinellistefano.blogspot..com/2018/12/ong-organizzazioni-non-poco-governative.html?fbclid=IwAR3Hv3wLJeW0ua-Tvzhy6i4OeYxhR9lswOkJ8UvRZI0NAp9X0HNkSFvRhgM>,
 in tutto il mondo, fino ad arrivare al trionfo del “movimento dei diritti 
umani 
<https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-ong_il_cavallo_di_troia_del_capitalismo_globale_il_libro_che_mancava_finalmente_c/82_25459/>”
 e, quindi delle Primavere colorate 
<http://www.sibialiria.org/wordpress/?p=3549>.

Primavere colorate - e, quindi, guerre 
<https://www.tpi.it/2015/08/09/libia-intervento-sbagliato-bernard-henry-levy/> 
- delle quali Bernard-Henri Lévy si direbbe essere il principale promotore 
<http://www.marx21.it/index.php/fr/42-articoli-archivio/17983--rieccolii-sanguinosi-manipolatori-delle-guerre-umanitarie>.
 Ma su questo già molto si è scritto. Meglio accennare, invece, sul progetto 
politico che sta dietro la sua scesa in campo per le elezioni europee e, 
soprattutto, sulla titubanza dei media italiani (ad eccezione del Gruppo 
editoriale de Benedetti) ad appoggiarlo. A spiegarlo è, sostanzialmente, il 
disfacimento della base del Partito Democratico dilaniata dalla tentazione di 
appoggiare, in funzione anti-Salvini, o  quella che si ritiene “l’anima di 
sinistra del Movimento Cinque Stelle 
<http://www.today.it/politica/migranti-roberto-fico-ultime-notizie-festa-unita.html>”
 o gli euroinomani, capitanati da Carlo Calenda 
<https://www.lastampa.it/2019/01/21/italia/calenda-il-mio-manifesto-europeista-non-unammucchiata-no-a-leu-e-forza-italia-IWQ9rm29gCoWZyi4RGq3yJ/pagina.html>
  (in questi giorni galvanizzati e dall’endorsement 
<https://www.lastampa.it/2019/01/22/italia/a-teatro-rianimo-questeuropa-pigra-la-battaglia-di-lvy-contro-i-populismi-AA1ANmVh9P8v9Odrx98J8K/pagina.html>
 di Bernard-Henri Lévy).

In tal senso la scesa in campo dell’alfiere dell’imperialismo francese (forte 
del Trattato di Aquisgrana 
<https://www.lantidiplomatico..it/dettnews-finalmente__stato_pubblicato_il_trattato_di_aquisgrana_tra_francia_e_germania_alcune_considerazioni/82_26763/>
 tra la Merkel e Macron) attiva una dinamica da seguire con attenzione.

Francesco Santoianni, 22/01/2019


=== 2 ===

http://contropiano.org/news/politica-news/2019/01/29/in-europa-il-popolo-non-deve-essere-lunico-sovrano-parola-di-bernard-henri-levy-0111877

“In Europa, il popolo non deve essere l’unico sovrano!”, parola di 
Bernard-Henri Lévy

di Dante Barontini, 29 gennaio 2019

Proprio quando senti in giro dire “ma a che serve più la filosofia?”, ecco che 
arriva un arrogante intellettuale imperialista – uno che addirittura può 
raccontare di aver partecipato ad assemblee del ‘68 – a dimostrare che in 
effetti serve. Ed anche a molto. Ovviamente, non era questa la sua intenzione…

Bernard-Henri Lévy è così abituato a dare spettacolo di sé che, alla fine, ha 
messo su uno spettacolo vero e proprio con cui si appresta a girare per il 
Vecchio Continente, intitolato proprio «Looking for Europe» (In cerca 
dell’Europa). Scopo dichiarato: “ rinnovare un’idea romantica dell’Europa, 
un’idea che porta speranza”. Si vede che la realtà. In questi ultimi decenni, 
ne ha fatto vedere e toccare una molto diversa, e quindi vai con la propaganda 
“romantica” per stendere cerone sulle lacerazioni dovute all’austerità…

Ma che c’entra la filosofia con uno spettacolo? Per un verso andrebbe chiesto a 
lui, che si inserisce nella tendenza a “spacciare pillole filosofiche” in 
piazze più o meno improbabili, dove si volgarizza alla meglio il pensiero 
teorico che ha per sua natura bisogno di scrittura e dialogo, invece della 
modalità broadcasting…

Per un altro verso, invece, Bernard-Henri Lévy va quasi ringraziato per aver 
infilato, in un profluvio di parole abusate, un concetto di filosofia politica 
che nessun pensatore liberaldemocratico aveva fin qui osato proporre: “In 
Europa, il popolo non deve essere l’unico sovrano!”.

I pensatori reazionari dell’Ancien Régime settecentesco, ovviamente, erano 
stati assai più drastici (“il popolo non deve essere sovrano”), ma a partire 
dal 1789, relativa presa della Bastiglia e successiva decapitazione dei 
monarchi, e con la ben più contrastata affermazione della democrazia 
liberal-borghese moderna il popolo è diventato lentamente l’unico legittimo 
titolare della sovranità entro un determinato spazio geografico; nazionale, 
sovranazionale o internazionale che fosse.

Dunque, stupisce a prima vista un’affermazione del genere in bocca a un 
liberal-liberista che ha fatto della forma della democrazia parlamentare 
l’architrave fondamentale del suo discorso in pubblico. Un pensiero violento, 
interventista, imperiale da punto di vista culturale e antropologico, che 
arroga alle – appunto! – democrazie occidentali il potere di decidere se un 
certo assetto politico-istituzionale di un certo paese rientra nei parametri 
della “democrazia” oppure in quelli della “dittatura”. E, nel secondo caso, di 
intervenire militarmente per imporre un assetto diverso, magari anche 
altrettanto anti-democratico…

Posizione interventista diventata “pensiero unico” a partire dal crollo del 
Muro, infiocchettata nella definizione di “ingerenza umanitaria” con il 
corollario ossimorico della “guerra umanitaria”. Bosnia, Iraq (due volte), 
Libia, ecc. Henri Lévy non ha mancato mai un appuntamento di guerra, elaborando 
ogni volta un’apposita narrazione giustificativa. Allegrotta e sgangherata sul 
piano concettuale, ma utilissima al giornalista medio che ha bisogno di frasi 
precotte da infilare come mantra nei suoi “pezzi”.

Solo questa affermazione sulla sovranità che non deve appartenere solo al 
popolo è in effetti una vera novità. Per lo meno, lo è il fatto che venga detto 
con questa nettezza, davvero “quasi filosofica”… da Bignami, insomma. Wolfgang 
Schaeuble, ex ministro tedesco più portato per l’economia, l’aveva detto in 
modo più indiretto: “non si può assolutamente permettere ad un’elezione di 
cambiare nulla” (con una certa enfasi su quell'”assolutamente”, che lascia 
spazio zero a qualsiasi ipotesi di “superamento dei trattati”).

Il giornalista di Le Temps 
<https://www.letemps.ch/monde/bernardhenri-levy-europe-peuple-ne-seul-souverain>,
 come spesso accade davanti a certi “mostriciattoli sacri” che non vanno 
contraddetti, non pone la domanda che sarebbe ovvia: ma se la sovranità – il 
potere politico di decidere – non deve appartenere solo al popolo, quali altri 
soggetti o istituti ne debbono essere titolari?

Non si tratta di una curiosità intellettuale, ma della questione fondamentale 
che distingue – appunto – le democrazie (comprese quelle popolari, presenti e 
passate, che Bernard-Henri invece odia) dalle dittature, dalle monarchie, e da 
altre forme ibride oligarchiche che non sono ancora classificate con chiarezza.

Bernard-Henri non ci dice dunque chi siano questi altri “condomini” della 
sovranità – e ci deve essere un motivo non nobile, diciamo – ma una cosa la 
dice proprio fuori dai denti: “smettiamo di sacralizzare la gente. […] La 
democrazia ha bisogno della trascendenza”.

Ossia di un “ente” da rispettare quasi religiosamente perché sa “meglio del 
popolo” cosa è bene fare e cosa no (“ Se ripetiamo: il popolo, il popolo, il 
popolo… andiamo dritti a una crisi di civiltà”). E chi sarà mai questo 
fantozziano Megadirettore Galattico che deve sostituirsi alla sovranità del 
popolo? Ma l’Unione Europea, ovvio! L’unica struttura che contiene le 
competenzetecniche per esaudire la volontà dei “mercati”.

Non c’è molto altro da commentare, potere leggere l’intervista tramire il link.

C’è solo da ringraziarlo, ripetiamo, per la sua involontaria chiarificazione: 
chi tuona contro “i sovranismi”  
<http://contropiano.org/news/politica-news/2018/09/24/la-cura-del-linguaggio-3-sovranita-sovranismo-e-sciocchezze-0107841>sta
 semplicemente dicendo che la democrazia deve finire, in Europa, perché ci sono 
poteri molto più potenti e “razionali” dei popoli. Che in fondo, si sa, sono 
“come un bambino…”.

Benvenuti nel piccolo mondo dell’intellettuale macroniano…



=== 3 ===

ORIG.: A European “Liberal Elite” Still Luring Us Towards the Abyss (By 
Jonathan Cook / Global Research, February 01, 2019)
https://www.globalresearch.ca/liberal-elite-luring-us-towards-abyss/5667136


https://www.resistenze.org/sito/os/mp/osmpjb04-021199.htm
www.resistenze.org <http://www.resistenze.org/> - osservatorio - mondo - 
politica e società - 04-02-19 - n. 700

Un'élite liberale europea ci attira ancora verso l'abisso

Johnathan Cook | globalresearch.ca 
<https://www.globalresearch.ca/liberal-elite-luring-us-towards-abyss/5667136>
Traduzione per Resistenze.org <http://www.resistenze.org/> a cura del Centro di 
Cultura e Documentazione Popolare

01/02/2019

Un gruppo di 30 rispettati intellettuali, scrittori e storici ha pubblicato un 
manifesto lamentando l'imminente collasso dell'Europa e dei suoi presunti 
valori illuministici di liberalismo e razionalismo. L'idea di Europa, 
avvertono, "sta cadendo a pezzi davanti ai nostri occhi", mentre la Gran 
Bretagna si prepara alla Brexit e i partiti "populisti e nazionalisti" sembrano 
pronti a incassare ampi successi nelle elezioni in tutto il continente.

Il breve manifesto è stato pubblicato nelle riviste europee dell'élite 
liberale, in giornali come The Guardian.

"Dobbiamo ora combattere per l'idea di Europa o perire sotto le ondate del 
populismo", si legge nel documento. Fallire significa che "il risentimento, 
l'odio e una pletora di infelici passioni ci circonderanno e sommergeranno".

A meno che non si possa cambiare la situazione, le elezioni in tutta l'Unione 
europea saranno "le più calamitose che abbiamo mai conosciuto: una vittoria per 
i sabotatori, la disgrazia per coloro che credono ancora nell'eredità di 
Erasmo, Dante, Goethe e Comenius; il disprezzo per l'intelligenza e la cultura; 
esplosioni di xenofobia e antisemitismo ovunque; il disastro".

Il manifesto è stato scritto da Bernard-Henri Levy, il filosofo francese devoto 
ad Alexis de Tocqueville, un teorico del liberalismo classico. Tra i firmatari 
figurano i romanzieri Ian McEwan, Milan Kundera e Salman Rushdie, lo storico 
Simon Shama e i premi Nobel come Svetlana Alexievitch, Herta Müller, Orhan 
Pamuk e Elfriede Jelinek.

Sebbene non nominati, i loro eroi politici europei sembrano essere l'Emmanuel 
Macron di Francia, attualmente impegnato nel tentativo di schiacciare le 
proteste popolari contro l'austerità dei Gilet gialli e la cancelliera tedesca 
Angela Merkel, a presidio delle barricate per l'élite liberale contro una 
rinascita dei nazionalisti in Germania.

Mettiamo da parte, in questa occasione, la strana ironia che molti dei 
firmatari del manifesto - non ultimo lo stesso Henri Levy - hanno una ben nota 
passione per Israele, uno stato che ha sempre respinto i principi universali 
apparentemente incarnati nell'ideologia liberale e che invece si schiera 
apertamente per un nazionalismo etnico simile a quello che ha squassato 
l'Europa nel secolo scorso.

Concentriamoci invece sulla loro affermazione secondo cui "il populismo e il 
nazionalismo" sono sul punto di uccidere la tradizione liberale democratica 
dell'Europa e gli stessi valori più cari a questo illustre gruppo. La loro 
speranza, plausibilmente, è che il loro manifesto serva come un campanello 
d'allarme prima che le cose prendano una svolta irreversibile in senso 
peggiorativo.

Il crollo del liberalismo

In un certo senso, la loro diagnosi è corretta: l'Europa e la tradizione 
liberale si stanno sgretolando. Ma non perché, come insinuano con forza, i 
politici europei assecondano gli istinti più bassi di una marmaglia insensata, 
vale a dire la gente comune verso la quale hanno così poca fede. Piuttosto 
perché il lungo esperimento nel liberalismo ha finalmente fatto il suo corso. 
Il liberalismo ha chiaramente fallito, e ha fallito catastroficamente.

Questi intellettuali si trovano, come ognuno di noi, su un precipizio dal quale 
stiamo per saltare o cadere. Ma l'abisso non si è aperto, come dicono loro, 
perché il liberalismo viene respinto. Piuttosto, l'abisso è l'inevitabile 
risultato della reiterazione del modello liberista come soluzione alla nostra 
attuale situazione, anche da parte di questa élite sempre più ristretta e 
contro ogni evidenza razionale. È la tenace trasformazione di un'ideologia 
profondamente viziata in religione. È l'idolatria verso un sistema di valori 
che ci distrugge.

Il liberalismo, come la maggior parte delle ideologie, ha aspetti positivi. Il 
suo rispetto per l'individuo e le sue libertà, il suo interesse nel coltivare 
la creatività umana e la promozione dei valori universali e dei diritti umani 
rispetto all'approccio tribale, con alcune conseguenze positive.

Ma l'ideologia liberale è stata molto efficace nel nascondere il suo lato 
oscuro o più precisamente, nel persuaderci che questo lato oscuro è la 
conseguenza della rinuncia del liberalismo piuttosto che un fattore inerente al 
progetto politico liberale.

La perdita dei tradizionali legami sociali - tribali, settari, geografici - ha 
lasciato le persone oggi più sole, più isolate di quanto fossero in qualsiasi 
precedente società umana. Possiamo sostenere a parole i valori universali, ma 
nelle nostre comunità atomizzate, ci sentiamo alla deriva, abbandonati e 
arrabbiati.

Sottrazione di risorse umanitarie

La professata preoccupazione liberale per il benessere degli altri e per i loro 
diritti ha, in realtà, fornito una copertura cinica per una serie di 
sottrazioni di risorse sempre più sfacciate. Lo sfoggio di credenziali 
umanitarie del liberalismo ha permesso alle nostre élite di lasciare una scia 
di massacri e macerie nel loro passaggio in Afghanistan, Iraq, Libia, Siria e 
presto, a quanto pare, in Venezuela. Abbiamo ucciso "con gentilezza" e poi 
rubato l'eredità delle nostre vittime.

L'inconfondibile creatività individuale ha forse favorito l'arte, seppur 
feticizzata, e anche i rapidi sviluppi meccanici e tecnologici. Ma ha anche 
incoraggiato la concorrenza sfrenata in ogni ambito della vita, sia utile 
all'umanità o meno, e comunque con un enorme spreco di risorse.

Nel peggiore dei casi, ha letteralmente scatenato una corsa agli armamenti, che 
- a causa di un mix della nostra libera creatività, della nostra mancanza di 
Dio e della logica economica del complesso militare-industriale - è culminata 
nello sviluppo di armi nucleari. Abbiamo escogitato i modi più completi ed 
efferati inimmaginabili per ucciderci a vicenda. Possiamo commettere un 
genocidio su scala globale.

Nel frattempo, la priorità assoluta dell'individuo ha sancito 
un'auto-concentrazione patologica, un egoismo che ha fornito terreno fertile 
non solo per il capitalismo, il materialismo e il consumismo, ma per fondere il 
tutto in un super-neoliberismo. Ciò ha permesso a una piccola élite di 
accumulare e sottrarre la maggior parte della ricchezza del pianeta e porla al 
di fuori della portata del resto dell'umanità.

Peggio ancora, la nostra creatività sfrenata, il nostro autocompiacimento e la 
nostra competitività ci hanno reso ciechi a tutte le cose più grandi e più 
piccole di noi stessi. Ci manca una connessione emotiva e spirituale con il 
nostro pianeta, con gli altri animali, con le generazioni future, con l'armonia 
caotica del nostro universo. Quello che non possiamo capire o controllare, lo 
ignoriamo o lo deridiamo.

E così l'impulso liberale ci ha portato sull'orlo di estinguere la nostra 
specie e forse tutta la vita sul nostro pianeta. La nostra spinta a esaurire i 
beni, ad accumulare risorse per il guadagno personale, a saccheggiare le 
ricchezze della natura senza rispettare le conseguenze è così travolgente, così 
folle che il pianeta dovrà trovare un modo per riequilibrarsi... E se 
continuiamo, quel nuovo equilibrio, che va sotto il nome di "cambiamenti 
climatici", richiederà di rinunciare al pianeta.

Nadir di una pericolosa arroganza

Si può plausibilmente asserire che è un po' che gli umani si trovano su questa 
sozza strada. La concorrenza, la creatività, l'egoismo, dopotutto, precedono il 
liberalismo. Ma il liberalismo ha rimosso le ultime restrizioni, ha schiacciato 
qualsiasi sentimento contrario come irrazionale, incivile, primitivo.

Il liberalismo non è la causa della nostra situazione. È il nadir di una 
pericolosa arroganza verso la quale noi, come specie, abbiamo indugiato per 
troppo tempo, dove il bene dell'individuo supera qualsiasi bene collettivo, 
definito nel senso più ampio possibile.

Il liberale ossequia il suo piccolo e parziale campo di conoscenze e 
competenze, eclissando le saggezze antiche e future, quelle radicate nei cicli 
naturali, nelle stagioni e nella meraviglia per l'ineffabile e sconosciuto. 
L'attenzione incessante ed esclusiva del liberale è sul "progresso", la 
crescita, l'accumulazione.

Per salvarci è necessario un cambiamento radicale. Non armeggiare, non 
riformare, ma una visione completamente nuova che rimuova l'individuo e la sua 
gratificazione personale dal centro della nostra organizzazione sociale.

Questo non è contemplato per le élite che pensano che la soluzione stia in una 
maggiore, e non minore, dose di liberalismo. Chiunque si allontani dalle loro 
prescrizioni, chiunque aspiri a essere più di un tecnocrate addetto a 
correggere i difetti minori dello status quo, viene presentato come una 
minaccia. Nonostante la modestia delle loro proposte, Jeremy Corbyn nel Regno 
Unito e Bernie Sanders negli Stati Uniti sono stati insultati da un'élite 
mediatica, politica e intellettuale pesantemente investita nel perseguire 
ciecamente il sentiero dell'autodistruzione.

Sostenitori dello status quo

Di conseguenza, ora abbiamo tre chiare tendenze politiche.

La prima è quella dei sostenitori dello status quo, quella degli scrittori 
europei del più recente - e ultimo? - manifesto sul liberalismo. In ogni 
passaggio del manifesto dimostrano quanto siano irrilevanti, quanto incapaci 
nel fornire risposte alla domanda su come dobbiamo andare avanti. Si rifiutano 
categoricamente di guardare all'interno del liberalismo per capire cosa è 
andato storto e di osservare l'esterno per comprendere come salvarci.

Irresponsabilmente, questi guardiani dello status quo raggruppano la seconda e 
la terza tendenza nella futile speranza di preservare la loro presa sul potere. 
Entrambe le altre due tendenze sono derise indiscriminatamente come 
"populismo", come politica dell'invidia, politica della folla. Queste due 
tendenze alternative e opposte sono considerate indistinguibili.

Ciò non salverà il liberalismo, ma aiuterà a promuovere il peggio delle due 
alternative.

Chi nelle élite ha capito che il liberalismo ha fatto il suo tempo, sfrutta la 
vecchia ideologia predatoria del capitalismo: mentre cercano di distogliere 
l'attenzione dalla loro avidità e dalla difesa dei loro privilegi, seminano 
discordia e insinuano minacce oscure.

Le critiche dell'élite liberale formulate dai nazionalisti etnici suonano 
convincenti perché poggiano sulle verità del fallimento del liberalismo. Ma 
sono ingannevoli, non offrono soluzioni a parte il loro avanzamento personale 
nel sistema esistente, fallito, destinato all'autodistruzione.

Il nuovo autoritarismo [la seconda tendenza] sta tornando ai vecchi e fidati 
modelli del nazionalismo xenofobo, offrendo gli altri come capro espiatorio per 
sostenere il proprio potere. Stanno abbandonando la sensibilità ostentata e 
coscienziosa del liberale per continuare il saccheggio sfrenato. Se la nave 
affonda, rimarranno al buffet finché le acque non raggiungeranno il soffitto 
della sala da pranzo.

Dove può risiedere la speranza

La terza tendenza è l'unico posto in cui risiede la speranza. Questa tendenza, 
dei "dissidenti", comprende che è necessario un nuovo pensiero radicale. Ma 
dato che questo gruppo è attivamente schiacciato dalla vecchia élite liberale e 
dai nuovi autoritarismi, ha poco spazio pubblico e politico per esplorare le 
sue idee, per sperimentare, per collaborare, come è urgentemente necessario.

I social media forniscono una piattaforma potenzialmente vitale per iniziare a 
criticare il vecchio sistema fallito, per sensibilizzare su ciò che è andato 
storto, per contemplare e condividere idee radicali e mobilitarsi. Ma i 
liberali e gli autoritari vivono la critica come una minaccia ai loro stessi 
privilegi. Sotto l'isteria delle "fake news", stanno rapidamente lavorando per 
spegnere anche questo piccolo spazio.

Abbiamo così poco tempo, ma la vecchia guardia vuole bloccare qualsiasi 
possibile via per la salvezza: anche se i mari sono pieni di plastica, se le 
popolazioni di insetti scompaiono in tutto il mondo e il pianeta si prepara a 
tossire un grumo di muco infetto.

Non dobbiamo essere ingannati da questi progressisti liberatori del manifesto: 
i filosofi, gli storici e gli scrittori - l'ala delle pubbliche relazioni - del 
nostro status quo suicida. Non ci hanno avvertito della bestia che giaceva in 
mezzo a noi. Non hanno visto il pericolo incombere e il loro narcisismo li 
acceca ancora.

Non dovremmo ascoltare i guardiani del vecchio, quelli che hanno trattenuto le 
nostre mani, che hanno indicato un sentiero che porta l'umanità sull'orlo della 
sua stessa estinzione... Dobbiamo evitarli, chiudere le orecchie al canto delle 
loro sirene.

Ci sono piccole voci che lottano per essere ascoltate al di sopra del ruggito 
delle elite liberali morenti e del barrito dei nuovi autoritarismi. Devono 
essere ascoltate, aiutate a condividere e collaborare per offrire visioni di un 
mondo diverso. Un mondo dove l'individuo non è sovrano. Dove impariamo modestia 
e umiltà e come fare ad amare nel nostro angolo infinitamente piccolo 
dell'universo.

* Jonathan Cook ha vinto il Premio speciale Martha Gellhorn per il giornalismo. 
I suoi libri comprendono Israel and the Clash of Civilisations: Iraq, Iran and 
the Plan to Remake the Middle East (Pluto Press) e Disappearing Palestine: 
Israel Experiments in Human Despair (Zed Books). Il suo sito web è 
www.jonathan-cook.net. È un frequente collaboratore di Global Research.

Rispondere a